La scossa di Soros: Europa, la tua crisi è politica

La scossa di Soros: Europa, la tua crisi è politica

Conosci te stessa. George Soros, finanziere, filantropo, speculatore, sostenitore di movimenti anti-regime, insomma un personaggio che è tutto e il suo contrario, e in cui il confine tra leggenda e realtà risulta piuttosto labile, intima all’Europa di guardarsi allo specchio, di riconoscersi e di riconoscere che la crisi economico-finanziaria è diventata una crisi politica. La conseguenza è che merita risposte politiche, sia all’interno dei singoli Stati sia nei rapporti con il mondo esterno. 

Soros è a Torino, per il Salone Internazionale del Libro. Ha appena scritto un saggio, “Salviamo l’Europa”, assieme a Gregor Peter Schmitz, corrispondente a Bruxelles per il giornale tedesco Spiegel. E non è un caso se i suoi interventi, in risposta alle domande del giornalista di Repubblica Federico Fubini, partano dall’economia per arrivare alla politica, disegnino una traiettoria che da Berlino e a Bruxelles arriva fino a Kiev. Parla moltissimo di Ucraina, Soros, e non solo perché la sua Open Society Foundations ha investito nel corso degli anni 8 miliardi di dollari per promuovere il rafforzamento della società civile, anche nell’Est del Vecchio Continente. Lo fa perché, se l’Europa, guardandosi allo specchio, decide di ritagliarsi un abito politico, il Paese giusto per dimostrarlo è l’Ucraina. C’è bisogno di altre sanzioni? No, dice il creatore del Quantum Fund. Le sanzioni «hanno solo un ruolo simbolico, servono ad indicare che non possiamo accettare ciò che ha fatto la Russia in Crimea e ciò che sta facendo a Donetsk, perché è contrario al diritto internazionale e al memorandum di Budapest (firmato da Mosca e Kiev nel 1994, garantiva l’integrità territoriale dell’Ucraina, ndr)». Ma le sanzioni non cambiano lo stato delle cose.

Ciò che potrebbe veramente fare la differenza è la nascita dell’Europa politica. Bruxelles dovrebbe sostenere finanziariamente e politicamente Kiev, contribuire alla nascita di una nuova Ucraina. Come? Fornendole i mezzi per sopravvivere in questa fase di incertezza, cioè permettendo alle imprese private europee di investire o di realizzare partnership con le compagnie locali, attraverso una copertura assicurativa dal rischio politico. Non costerebbe un penny, dice. Sarebbe una svolta, ripete, perché solo i privati possono fornire a Kiev i capitali di cui ha bisogno. Sarebbe una svolta perché la “nuova Ucraina” di cui parla Soros è una minaccia per Putin e il suo modello, ragione per cui l’abile scacchista del Cremlino è assolutamente determinato ad impedire una simile prospettiva. La Russia, che nei prossimi cinque anni dovrà investire cinquanta miliardi di euro in Crimea, per mostrare la bontà dell’annessione, non può sobbarcarsi l’onere di Donetsk. Vuole solo destabilizzare il Paese, per sventare la minaccia di un’Ucraina europeizzata. Le sue ultime mosse lo confermano. La richiesta, fatta agli autonomisti dell’Est, di sospendere il loro referendum, sta preparando il terreno al probabile rifiuto del loro ingresso nella Grande Madre Russia. 

Vincere in Ucraina è essenziale anche per sconfiggere quei populismi europei che strizzano l’occhio a Putin. Si tratta di un conflitto tra modelli politici. Marine le Pen e il premier ungherese Orban, per fare due esempi, non sono attratti da Mosca in maniera strumentale. In gioco c’è la sfida alla Ue e al suo dna, fatto di rule of law e cooperazione internazionale, da parte di una forma di governo, incarnata da Putin, che è si nuova, ma in realtà riprende un paradigma vecchio, quello di Mussolini e del portoghese Salazar. Una perversione della democrazia, per cui formalmente si tengono le elezioni, ma c’è un leader carismatico che utilizza il nazionalismo allo scopo di controllare lo Stato e favorire i propri interessi personali. Salazar, dice Soros, «aveva un gruppo di oligarchi, proprio come Putin». E’ una grandissima minaccia, ribadisce, perché completerebbe il cerchio, facendo tornare il Vecchio Continente al periodo di conflitti ritenuti sepolti dalla storia.

Questo rischio non è percepito a sufficienza in Europa. L’Ucraina non ha ottenuto l’appoggio che avrebbe dovuto ottenere, anche se Angela Merkel, ammette il filantropo, a Kiev sta agendo da leader europeo, non legato ad interessi nazionali. Peraltro il finanziere non lesina critiche alla cancelliera tedesca. La crisi economica si è sviluppata quando gli interessi dei Paesi debitori e di quelli creditori hanno cominciato a divergere («L’Unione europea, concepita come associazione volontaria ed equa di Stati che sacrificavano la loro sovranità, a causa della relazione tra debito e credito non è più nè volontaria nè equa»). Adesso la Germania deve riconoscere di essere di fatto il leader d’Europa e deve agire da leader, occupandosi anche dei debitori, come fecero gli Stati Uniti con il piano Marshall, dopo la seconda guerra mondiale. Soros è da tempo sostenitore degli Eurobond, e a Torino non ha mancato di rimarcarlo. L’inazione aggraverebbe la crisi generazionale («i giovani si sentono vittime di un incubo perpetrato dalla Ue e votano movimenti anti-sistema, come quello di Grillo») e quella istituzionale («l’Europa sta sperimentando una crisi di deflazione analoga a quella che vive il Giappone da 25 anni. La differenza è che il Giappone non ha distrutto la propria nazione, mentre l’Europa rischia di farlo, perché è un’associazione incompleta di nazioni»). 

La ricetta Soros contempla un radicale cambio di policy: meno burocrazia, meno potere delle toghe  (vedi alla voce Corte Costituzionale tedesca e dipartimento legale della Bce), meno spazio al consiglio europeo e più al Parlamento. Via all’austerity (il debito, dice, «non viene compreso a sufficienza: è assurdo sostenere che non si può spendere quello che non si ha, perché il denaro si può creare»), più interesse al surplus commerciale (il bersaglio polemico è la Germania), non solo al famigerato tre per cento di deficit. Bisogna agire su due piani: le riforme strutturali devono riguardare sia il sistema Ue che i singoli Stati, in particolare la Francia, “il vero malato d’Europa”, seguita dall’Italia. La risposta alla crisi deve avere il volto della politica. E, ancora una volta, si ritorna all’Ucraina. Non cedere di fronte alle mosse dello scacchista, arringa Il finanziere. Nessuna complicità con Putin, nessuna cooperazione con la Russia per arrivare a una Costituzione federale per Kiev. L’Ucraina può e deve fare da sè. Soros ne ha anche per John Kerry e i suoi disperati tentativi di strappare il consenso di Mr. Lavrov.

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