Oh boy, che game!

Oh boy, che game!

Fu giallo e rotondo, in Giappone, il mese di maggio del 1980, con qualche fragola o ciliegia sparsa qua e là, dei puntini bianchi da sgranocchiare e quattro terribili fantasmini cui dare la caccia o da cui fuggire, a seconda delle situazioni. Lo sapevi che si chiamano Blinky, Pinky, Inkey e Clyde?! Fu in quei giorni che il simpatico e affamato Pac-Man entrò nel nostro mondo, rendendolo un po’ più giallo, un po’ più rotondo e molto più divertente.

Il racconto

QUATTRO AMICI AL BAR

Il primo ad arrivare fu Blinky, fantasma di colore rosso acceso, e come possa essere rosso un fantasma, quando spiriti e spettri sono per definizione invisibili, fumosi e trasparenti, questo non lo so. Fatto sta che arrivò per primo, per quanto gli altri fantasmi, appunto invisibili, non è detto che non fossero arrivati prima di lui. C’è sempre un velo di mistero, quando si entra in certi argomenti…

Dopo di lui arrivò Pinky, che con Blinky faceva rima, ma era di un bel rosa vivace, che era rosa per lo stesso motivo per cui il rosso di Blinky era rosso.

Terzo arrivò Inkey, avvolto nel suo bell’abito blu intenso, com’erano intensi e profondi i suoi pensieri, invisibili come tutti i pensieri, ma ben più concreti e grandiosi di uno spiritello qualsiasi, rosso o rosa che fosse.

Buon ultimo arrivò Clyde, unico a non fare rima, sempre in ritardo almeno di un po’, sempre arraffato, spesso arruffato, con il colore arancione tipico di quei semafori, dove non sai mai se puoi andare oppure no.

Si sedettero, Blinky, Pinky, Inkey e Clyde, e ordinarono non so cosa al barista, che tanto non ci badò e non servì proprio nulla, che non si è mai visto un barista portare alcunché a dei fantasmi, con lo zucchero o senza, con la cannuccia doppia, né con una spruzzata di selz. Ecco, Selz sarebbe stato un bel nome per un quinto fantasma, che però non arrivò mai, o forse sì, però nessuno lo vide.

«Potremmo giocare a briscola!» Propose Blinky.

«O ai quattro cantoni!» Rilanciò Pinky.

«Hmmm.» Mugugnò Inkey.

«A nascondino! A nascondino!» Esclamò Clyde, sull’onda dell’entusiasmo. I fantasmi sono bravissimi a giocare a nascondino, tanto che di alcuni si sono perse le tracce da anni e nessuno li ha mai avvertiti che il gioco è finito… Però quei quattro, colorati com’erano, avrebbero avuto non poche difficoltà a mimetizzarsi con qualcosa di altrettanto variopinto.

«Se giochiamo a scopa io faccio il Settebello!» Mise in chiaro Blinky.

«Se giochiamo a scacchi io sarò il re!» Sentenziò Pinky, senza dar peso al fatto che un re così rosa sarebbe stato scambiato per la regina…

«Hmmm.» Mugugnò Inkey.

«A mosca cieca! A mosca cieca!» Esclamò Clyde. I fantasmi sono bravissimi anche a mosca cieca e non serve nemmeno bendare gli occhi a chi rincorre, per non essere visti e sfuggire senza affanno.

Finché il cameriere, forse soprappensiero, non posò sul tavolo un vassoio con una ciliegia, una fragola, un’arancia, una mela, dell’uva, una nave spaziale, una campana e una chiave. Chi avesse ordinato tutto quel ben di dio era un mistero e ancor meno chiaro era chi alla fine avrebbe saldato il conto. Nessuno, invece, si chiese come cavolo facesse una nave spaziale a starci dentro al vassoio, quindi non me lo chiedo nemmeno io.

Provarono, i quattro, a far finta di nulla e continuare nei loro giocosi discorsi. Si guardarono l’un l’altro di sottecchi, senza mai incrociare gli sguardi, ma attenti ad anticipare chiunque avesse fatto la prima mossa, quando d’un tratto la porta si spalancò e un tipo tondo con la faccia gialla fece il suo ingresso, con la bocca adesso aperta, adesso no, adesso aperta, adesso no, adesso aperta, adesso no.

«Get ready!» Strillò il cameriere, in piedi sul bancone, che pensò anche bene di lanciare un po’ dappertutto tante golose zollette di zucchero, bianche bianche, che si sparsero sul pavimento.

Si guardarono negli occhi, i fantasmi, con il classico sguardo di chi non ci stava capendo nulla. E come facessero a guardarsi negli occhi in quattro, anche questo è un mistero, ma credo che Blinky guardò Pinky, Pinky guardò Inkey e Inkey guardò Clyde, che a sua volta guardò Blinky. Altra soluzione non riesco a immaginarla.

Ma guardandosi negli occhi in questo modo così circolare si dimenticarono di guardare il tipo con la faccia gialla e tonda, che ingurgitò una dopo l’altra tutte le zollette poi, per nulla sazio, sbranò la ciliegia, la fragola, l’arancia, la mela, l’uva, la nave spaziale, la campana e la chiave, guadagnando tredicimilaseicento punti.

«Burp!» Digerì.

Ecco, Burp sarebbe stato un altro bel nome da fantasma, ma non ci fu tempo per un secondo burp, che il tipo con la faccia gialla e tonda azzanno anche Blinky, Pinky, Inkey e Clyde, senza nemmeno prendere fiato e…

GAME OVER!

Il tipo giallo se ne uscì trionfante e nel bar non rimase più ombra di fantasma. Qualcuno, però, soprattutto di notte, giura di sentire strane voci sussurrare:

«La prossima volta lo acchiappiamo noi, maledetto Pac-Man!»

La fotografia

Se la nonna di tutti i videogames è la sala giochi, piena zeppa di marchingegni e trespoli bippanti, il bisnonno è senza dubbio il flipper, primo aggeggio da divertimento collegato a una presa elettrica. In realtà, l’idea di una pallina che se ne va rimbalzando lungo un piano inclinato fa quasi parte della preistoria dei giochi, ma il flipper degli anni Cinquanta vide aggiunte le due palette, azionabili dal giocatore premendo due grossi pulsanti laterali e il gioco – davvero – fu fatto, dando vita a sfide appassionanti e interminabili a forza di abili tocchi più o meno forti. Inutile dire che i flipper popolarono in fretta ogni luogo di ritrovo, dall’America all’Europa, a cominciare dal mitico Humpty Dumpty, primo storico esemplare, che se ne avessi uno in salotto non uscirei più di casa.

Il video

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E se Pac-Man diventasse realtà, con tanto di inseguimento? C’è chi ha provato a immaginarselo e i corridoi di un supermercato sembrano davvero uno schema dove rincorrersi e fuggire, dove mangiare una fragola ogni tanto o andare a caccia di pallini bianchi, con un’uscita ogni tanto verso l’esterno e… E chissà cosa si trova là fuori, in questo mondo pieno di pericoli. Che poi anche vestiti di giallo e con la testa tonda tonda i pericoli restano dietro ogni angolo, come i fantasmini colorati e alla fine chissà ci vincerà.

La pagina web

Allora giochiamoci, a Pac-Man, come facevano i ragazzi di trent’anni fa. Non sono pochi i siti come questo che offrono la possibilità di divertirsi gratuitamente. Clicca su play or free, poi clicca su play game, get ready per due o tre secondi e via! Gira di qua, torna indietro, mangia un puntino dopo l’altro, svolta di là, vai in su, torna in giù, fai la giravolta, falla un’altra volta… Ah, no, quella è un’altra cosa, ma che ci importa?! Pronti… via! Ma ricorda che hai solamente tre vite.

Ti consiglio un libro

Autori Vari – Storie straordinarie per vite ordinarie – Multiplayer.it edizioni

Questo è un libro, ma è anche un gioco. O meglio, una raccolta delle storie di tanti giochi che, messe insieme, formano un libro insolito, coinvolgente, intrigante, con i pixel sparsi qua e là. Immagina un videogioco ormai passato di moda, che racconta la sua gioventù, o un personaggio con il suo avatar; immagina mondi lontani nello spazio o nel tempo, immagina un livello dopo l’altro. Immagina e lasciati acchiappare dalle 33 storie di un libro tanto insolito da non riuscire a uscirne fino al THE END, o meglio, al GAME OVER.

I nostri eroi

Cosa c’entra la pizza con il Pac-Man? Nulla, direi, finché è intera, ma se se ne taglia una grossa fetta la somiglianza balza subito agli occhi. Pare, infatti, che il giapponese Tohru Iwatani, che di lavoro inventava giochi, fosse un giorno a cena con alcuni amici in una pizzeria dalle parti di Tokyo. Se la pizza in Giappone sia buona come a Napoli, davvero non lo so, ma so che da quelle parti le invenzioni tecnologiche sono molto, molto gustose e Tohru ne escogitò una proprio masticando la pizza, margherita o capricciosa, non so. Tagliata in quel modo sembrava una grossa faccia con la bocca spalancata e, sempre scherzando, le diede in pasto piccoli bocconi, facendo ridere tutta la compagnia. Quella sera Tohru Iwatani non chiuse occhio, ma non certo per problemi di digestione. L’indomani si presentò al lavoro, alla software house Namco, con un gioco fatto e finito, in cui una grossa faccia tonda si faceva una scorpacciata di golosi pallini bianchi. Bravo Tohru, ma anche un bravo al pizzaiolo!

La caratteristica dei giochi elettronici è che ci vuole un marchingegno che li faccia funzionare. Non basta un mazzo di carte o una scacchiera. Le sale giochi furono un vero e proprio punto di ritrovo per i giovani degli anni Ottanta, piene imballate di giochi di ogni genere, purtroppo un po’ troppo grandi per portarseli a casa. Finché non arrivò la Nintendo, nell’aprile del 1989, con il suo piccolo e magnifico Game Boy: la prima console che stava comoda sul palmo di una mano, in un tempo in cui telefonini e smartphone erano fantascienza. Il successo fu mondiale e quell’oggettino oggi fa sospirare di nostalgia chi ormai ha i capelli più bianchi che neri. Il gioco preinstallato era il Tetris, lo schermo era piccino, si andava solo su e giù e a destra o a sinistra, un po’ più veloci o un po’ più lenti, ma la magia inscatolata in quell’aggeggio fu tale da rapire per ore e ore decine di milioni di giocatori.

I primi videogiochi della storia altro non erano che la riproduzione, sul monitor con le lucine verdi al fosforo, di giochi che da sempre si facevano sulla carta, come il tris, che divenne OXO. Più avanti si simularono anche giochi sportivi, come il ping pong, che perse il ping e si chiamò solo pong. Ma noi qui vogliamo parlare di alieni e astronavi. Si era all’inizio degli anni Sessanta quando arrivò Spacewar, che si giocava non contro il computer, bensì uno contro l’altro, sfidando qualche amico: fu in quel momento che cominciò l’era dei giochi avventurosi, delle sfide contro l’ignoto, con situazioni che potevano mutare all’improvviso. Un po’ come tutti i giochi di oggi, solo che si era allora ed allora quella cosa era una grande novità. Novità che ne portò un’altra, di novità, forse ancor più grande: il joystick. Quel trespolo infernale, simbolo dei giochi elettronici per più generazioni, prima non c’era e da quel momento sì, per girare, sparare, muoversi, roteare, scappare e quello che si voleva, tutto con una mano.

L’avvento dei videogiochi portò anche al successo dei personaggi fatti a pixel, come se fossero star del cinema o supereroi dei fumetti. Proprio come il rotondo Pac-Man. Uno famosissimo, se non di più, fu il mitico Mario: Super Mario Bros, per gli amici. Siamo nel regno dei funghi, mica a Los Angeles o a Singapore… E se capita un guaio, chi meglio dei fratelli Luigi e Mario per risolvere ogni cosa? Ecco, che un idraulico baffuto e paffuto, con la B e con la P, diventi l’eroe del più gioco di tutti, questa è veramente una magia, di cui solo i videogame sono capaci, tra draghi, mostri e fantasticherie di ogni genere. E chi alla fine non ci capisse un tubo… Beh, che chiami Mario pure lui!

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