AnalisiParlamento europeo, prove tecniche di governissimo

Parlamento europeo, prove tecniche di governissimo

«Sono molto triste per la Francia». Così nella notte il capogruppo uscente del Partito popolare europeo all’Europarlamento, il francese Joseph Daul, ha commentato l’inarrestabile ascesa del Front National di Marine Le Pen, il vero grande choc di queste elezioni europee. Il «terremoto» pronosticato da Nigel Farage, il leader dell’Ukip britannico, l’altro grande vincitore di queste elezioni (ha scavalcato i due partiti tradizionali Laburisti e Conservatori), si è verificato.

Ma l’altro elemento di questo voto, che complica la vita ai leader Ue, è il netto distacco tra popolari e socialisti, un distacco di quasi 30 punti: il Ppe è a 212 seggi contro i 187 del Pse. Complica, perché – sebbene in termini assoluti il Ppe abbia perso circa 5 punti rispetto al 2009 – è chiaro che per il “candidato” alla presidenza della Commissione Europea Jean-Claude Juncker è un trionfo, e adesso «stopparlo» è più difficile. «Abbiamo un vantaggio a due cifre, voglio essere presidente» ha scandito nella notte l’ex premier lussemburghese. «Non farò posto a nessun altro nome del Ppe», ha avvertito. Il suo diretto sfidante socialista, il presidente uscente dell’Europarlamento Martin Schulz, ha dovuto concedere: «è chiaro che il candidato del gruppo risultato primo ha diritto a tentare di trovare una maggioranza», anche se ha fatto capire che il Pse venderà cara la pelle. «Se vorrà il nostro sostegno – ha avvertito – Juncker dovrà accogliere i nostri punti più importanti, anzitutto la lotta all’evasione fiscale e nuove politiche per l’Ue». «Non cadrò in ginocchio davanti ai socialisti – è stata la replica – cercherò la maggioranza più ampia possibile».

Alivello di Parlamento Europeo sarà un negoziato difficile, Schulz non abbandona la speranza di trovare il modo di essere lui, alla fine, il successore di José Manuel Barroso, e si dice «sicuro» che alla fine troverà la maggioranza in aula. Difficile, i numeri parlano chiaro: senza popolari niente maggioranza, a meno di alleanze improbabili (ad esempio gli euroscettici e i conservatori britannici, che però lo avversano). Può solo sperare – cosa improbabile – che alla fine a Juncker sia offerto il posto di presidente del Consiglio europeo. Certo, non sarebbe facile neppure per il lussemburghese, anche se lui potrebbe farcela – sebbene domenica notte abbia giurato: «nessun’alleanza con l’estrema destra». Sullo sfondo, gongola il leader degli euroliberali Guy Verhofstadt, che spera di fare da ago della bilancia in cambio di qualche ricca ricompensa. Su un punto è chiaro: «noi – ha detto Verhofstadt – non voteremo per nessun nome che non sia uno dei candidati ufficiali».

Il problema, lo dicevamo, è anche dei leader. Con il testa a testa che pronosticavano i sondaggi, sarebbe stato più facile trovare una scusa per ignorare i candidati ufficiali e piazzare un altro nome. Soprattutto di fronte alla massiccia avanzata degli euroscettici, sarebbe un pessimo servizio alla democrazia (anche se, certo, gli elettori non hanno votato pensando a chi potesse prendere il posto di José Manuel Barroso al Berlaymont). Non a caso ieri sera, improvvisamente, un alto esponente della Cdu, il capogruppo al Bundestag Volker Kauder, ha detto che «Juncker deve diventare presidente della Commissione». A sentire Kauder la vede ormai così – almeno formalmente – anche la stessa cancelliera Angela Merkel, di fronte a una simile avanzata, e questo potrebbe decisamente cambiare la partita. Del resto anche Sigmar Gabriel, il leader socialdemocratico alleato della Merkel, ha detto secco: «non voterò per nessun nome che non sia stato candidato».

Naturalmente niente è scontato, gli scenari possibili sono molteplici. Anche perché il premier britannico David Cameron, che vede come fumo negli occhi l’idea che siano gli elettori a scegliere il presidente della Commissione, come accade con i governi nazionali, resta contrarissimo a dare il via libera a Juncker. E comincia a trovare alleati, domenica sera il premier ungherese Viktor Orban ha detto di essere contrario a Juncker «perché sono contrario all’idea che il voto decida del presidente della Commissione». Al Consiglio europeo, trattato di Lisbona alla mano, si sceglie a maggioranza qualificata, dunque Londra potrebbe essere scavalcata, ma la prassi vuole che si cerchi un nome consensuale. D’altro canto molti diplomatici riflettono che «Cameron potrebbe pagarla cara se blocca, soprattutto in termini di portafoglio del suo commissario». É anche vero però che Angela Merkel vorrebbe evitare lo strappo con Cameron, magari la leader tedesca potrebbe cercare qualche «compensazione» per ammansire il britannico. Si vedrà.

Certo è che la partita si annuncia decisamente ardua, un primo assaggio sarà questo martedì 27 maggio: al mattino si riuniscono i presidenti uscenti dei gruppi del Parlamento europeo per valutare chi possa avere più chance di trovare una maggioranza, o almeno chi debba essere il primo a provarci. É molto probabile che sarà Juncker. Nel pomeriggio si riuniscono a livello di capi di Stato e di governo le rispettive famiglie politiche, la sera poi i leader si rivedono a cena per un summit straordinario. Nomi difficilmente ci saranno, per un barlume di intesa tra di loro ci vorranno settimane, almeno fino al summit di giugno. Poi si dovrà negoziare con il nuovo parlamento europeo che si riunisce il primo luglio a Strasburgo. E c’è già chi ipotizza che alla fine sarà necessario prolungare di qualche settimana il mandato di José Manuel Barroso, che scade a fine a ottobre.

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