Paul Niente, ovvero il noir è una questione di tempi

Paul Niente, ovvero il noir è una questione di tempi

L’altro giorno ero al Napoli COMICON come intruso al banchetto de L’Antitempo, un gruppo di giovani autori e disegnatori di Milano che fanno cose bellissime come La Pompa, un fumetto su Roberto Saviano, dei tatuaggi da marinaio e la rivista omonima.

Leggendo a scrocco le loro pubblicazioni, grasse risate alternate da profondi momenti di riflessione risuonavano (e riflettevano) tra i padiglioni. Tra le mie vergini mani da sceneggiatore Disney, infatti, stavano frusciando le cupe pagine del primo volume di Paul Niente, detective, intitolato Falsipiani. Paul Niente è un noir scritto e disegnato rispettivamente da Stan e Caviglia — e Stan e Caviglia sono due geni. Ripeto: due geni. Ecco perché.

Nelle storie di Paul Niente non accade, appunto, niente. Ma succedono un sacco di cose. La prima cosa che succede è che si ride moltissimo. I tempi comici sono perfetti e le cazzate che sparano quei due sono da antologia. E già questo basterebbe.

Ma Paul Niente, oltre a fare ridere, fa anche pensare. E mi ha fatto pensare a questo: i generi letterari (e i generi in generale, scusate il bisticcio) non sono una questione di etichetta, di ambientazione, di toni, di tinte, di trame o di qualche altro pleonasmo. I generi sono una questione di tempi. E di ritmo. E Stan e Caviglia ce lo dimostrano in maniera esemplare. Ecco come.

La migliore definizione di noir che io abbia mai sentito l’ha detta Paolo Roversi (non so se sia sua o di qualcun altro, ma noi con le paternità aforistiche ci facciamo la birra) ed è: il noir è la storia di Cappuccetto Rosso raccontata dal lupo. Un’idea troppo bella per essere vera. E infatti. Il noir non è (solo) la storia dal punto di vista del criminale.

Non è (solo) una riflessione sulla realtà che ci circonda. Non è (solo) un accumulo di ammazzamenti e battute corrosive. Non è (solo)… avete capito. Il noir è una grammatica strutturale che crea posizioni vuote che si interdefiniscono tra loro per differenza. Magari l’ho sparata un po’ grossa, ma d’altra parte se non fosse così allora Paul Niente di noir non avrebbe tecnicamente proprio niente. E invece.

Con il fumetto si capisce meglio che con la narrativa scritta perché, effettivamente, l’alternarsi dei balloon mostra quello che tra le pagine di un libro può essere solo immaginato: dei grandi contenitori vuoti (il letterista che li riempie arriva dopo, a lavoro fatto) uno sopra l’altro, concatenati prima graficamente dallo spazio bianco e solo in seguito semanticamente da quello che c’è scritto dentro.

E nel caso di Paul Niente, che è appena diventato ufficialmente il frattale del genere noir, quello che è scritto dentro ai balloon non ha nessun senso. Ripeto: nessun senso. Tipo:

Un tizio che entra in un bar malfamato e chiede una bistecca, l’altro che gli risponde che per una bistecca non c’è orario e che, però, sarebbe meglio non insistere con la minestrina. Un esemplare purissimo di nonsenso.

È inutile andare a cercare tra le pieghe dei non detti e dei non scritti; rassegnatevi, o ermeneutici: non significa nulla. Ma fa ridere. E, soprattutto, fa noir. Stan e Caviglia ci stanno dicendo: le frasi scritte nei balloon non contano, non vogliono dire, non hanno niente a che vedere con il significare. Hanno a che vedere, piuttosto, con una grande riflessione di genere. Tipo:

Paul Niente e il suo compare sono in una stanza piena di indizi che non portano a nulla e parlano tra loro. Il dialogo che ne segue è la cosa più noir dai tempi del Parker di Richard Stark. E non per l’ambientazione o per quello che dicono (spettacolare, comunque, il «Cristo, guarda qua!, Dove?, No, niente, niente»), ma piuttosto per i tempi.

Tredici balloon in quattro vignette, un batti e ribatti serrato che dà il ritmo del noir. Un dialogo muto, fatto da tredici spazi bianchi che esistono solo per precedersi o susseguirsi e acquistano valore solo dal loro precedersi e susseguirsi. Il ritmo dato non dalle battute ma dall’idea astratta del loro alternarsi. Una roba da spappolarsi il cervello.

Stan e Caviglia hanno fatto un grande servizio al noir, omaggiandolo e rispettandolo come ormai pochi fanno e ci hanno restituito cinquanta pagine divertenti, godibili, geniali ma, soprattutto, pure. E allora grazie Stan e Caviglia, magari sbrigatevi a farne uscire altri un milione.

E ricordiamoci sempre che l’est, oggi, non c’è più. È tutta una grande Frascati.

Tutta una grande Frascati.

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