«Attapirati», li definisce un senatore ex M5s incrociandoli a Palazzo Madama. Dopo giorni di campagna elettorale ad alta intensità e spavalderia, il post-voto in casa Cinque Stelle è stato attraversato da un silenzio assordante. Le reazioni imbavagliate durante la notte elettorale nel quartier generale romano lasciavano il passo ai sospiri prima di analizzare una sconfitta per la quale in pochi erano attrezzati. Non consola nemmeno il risultato delle amministrative, dove il bottino è magro al netto del sindaco conquistato a Montelabbate (6700 abitanti in provincia di Pesaro) e dei ballottaggi agguantati a Livorno, Modena, Fano, Bagheria, Novi Ligure, Civitavecchia, Rubàno, Correggio, Certaldo, Rivoli, Piossasco e San Giuliano Terme.
Tra le sfumature dei commenti, alcuni fedelissimi hanno scaraventato il cerino nelle mani degli elettori: «Non hanno capito le nostre battaglie, evidentemente non ci meritano». Ma con lo sbollire della rabbia le analisi diventano più razionali. Ancora qualche giorno di tempo «per far decantare gli animi», poi la prossima settimana ci sarà un’assemblea congiunta tra deputati e senatori per mettere sul tavolo problemi e proposte. Intanto è andata in scena quella dello staff comunicazione, cinghia di trasmissione tra Roma e i due cofondatori, a cui hanno partecipato tra gli altri Rocco Casalino e Claudio Messora.
La struttura fluida e “non partitica” non aiuta il Movimento in un frangente di dialettica durante il quale più di qualcuno vorrebbe ridiscutere regole e pilastri, magari per avviare una fase due. Se pochi giorni fa l’auspicio era quello di dare una spallata al governo, ora ci si chiede perché i Cinque Stelle non siano riusciti a intercettare una fetta di astensionismo. La parola d’ordine sillabata da tutti, ortodossi e dialoganti, è «autocritica». Il gruppo parlamentare è «in ebollizione», le analisi della sconfitta corrono rapide. La richiesta di un «confronto aperto e franco» include un ventaglio di posizioni: da chi vorrebbe mettere in discussione la strategia di opposizione «dura e pura» attuata in questi mesi a chi invece chiede un cambio di passo nella comunicazione. Da sempre croce e delizia di un Movimento che ha in Beppe Grillo il suo megafono più forte. È Il deputato dialogante Tommaso Currò a lanciare il sasso: «Non è possibile che Grillo abbia ragione su tutto, o è un dio o c’è una paura o una convenienza nel non criticare».
L’impostazione del voto come un referendum focalizzato sulla sfida muscolare tra il leader M5s e Renzi ha oscurato il risultato del Movimento (21%, secondo partito nazionale) che dopo un anno ribadisce la sua esistenza al di là del voto di protesta. Aver concentrato tutte le forze contro il premier «rischia di ufficializzare un antirenzismo che, come è avvenuto con l’antiberlusconismo, potrebbe rafforzare il diretto interessato». Alla fine della fiera «Il grande errore è stato quello di creare un’aspettativa troppo alta su di noi», riflette a taccuini chiusi un senatore M5s. «Dobbiamo essere umili, onesti e trasparenti, ripartiamo da una base di sei milioni di elettori che questa volta sono informati e consapevoli». Nelle sue parole fa capolino il malumore per la preparazione del voto nei territori: «Nei luoghi in cui tornavamo regolarmente a render conto del nostro lavoro in Parlamento abbiamo ottenuto buoni risultati, in altri invece.. ecco abbiamo visto com’è andata».
Per molti il primo problema è quello della comunicazione nei confronti di «un popolo italiano che vuole essere tranquillizzato e non spaventato». Ciò che ad alcuni parlamentari stellati non va giù è che diversi colleghi abbiano giocato a imitare Beppe Grillo, inseguendolo sul crinale dei toni esasperati. Spiega a Linkiesta una deputata da sempre ascrivibile all’ala ortodossa: «Non bisognava emularlo, lui ha un altro ruolo e un’altra credibilità. Da questa sconfitta dobbiamo imparare a volare più bassi». La recriminazione è chiara: «Noi dovevamo proporci all’elettorato come alternativa di governo e invece sono passati i messaggi che se avessimo vinto avremmo fatto casino e assediato il Quirinale». L’effetto paura, appunto: «Abbiamo spinto troppo sulla rabbia e poco sui contenuti, siamo riusciti a far passare solo l’1% di quello che abbiamo fatto in Parlamento. E adesso non possiamo più lamentarci dei media, sta a noi prendere in mano la situazione».
Intanto la delusione corre sul web tra attivisti e simpatizzanti. Ma anche tra chi, come la candidata alle europee Mara Ziantoni, è grillino dalla prima ora. Spara su forma e contenuto, la Ziantoni, a partire dal clima respirato al quartier generale M5s la sera della maratona elettorale: «Prima si fanno due non dichiarazioni in cui si dice che si commenteranno i dati definitivi e poi quando arrivano i dati certi si smonta tutto in fretta e si va via. Ma allora perché si fa un comitato elettorale? Per essere lo zimbello di tutta Italia?». Segue l’attacco al metodo in Parlamento: «Basta con l’autocelebrazione dei discorsetti etici ripresi dagli scranni parlamentari, qui servono fatto concreti. Non confondiamo i fan con gli elettori, i primi servono solo alle dive». E ancora: «Non è accettabile politicamente piagnucolare sugli 80 euro e prendersela con gli elettori che non hanno capito: se così è, la colpa è della nostra comunicazione non efficace».
Oltre ai giornalisti “amici” come Andrea Scanzi («Grillo inciampa nella sua comunicazione»), una strigliata arriva da Parma dove il sindaco Federico Pizzarotti, che ha sponde anche tra i parlamentari M5s, propone la ricetta per il rilancio. Prima su Facebook: «Il Movimento è stato sconfitto, o facciamo autocritica per crescere o rimarremo relegati all’opposizione». Poi con le interviste al Messaggero e al Fatto Quotidiano rompe gli indugi: «Le urla non hanno pagato, tutta la campagna nazionale è stata impostata male, una discussione interna è l’unica che può dare valore aggiunto. Adesso abbassiamo i toni e rendiamo chiari i nostri valori, come si fa? Con una nuova organizzazione. Dobbiamo portare il Movimento a una nuova maturazione».
Mentre ritorna d’attualità la questione dei dissidenti rimasti nei Cinque Stelle, con l’ipotesi di un’ulteriore riflessione dopo la sconfitta alle Europee, i vertici del Movimento hanno elaborato il lutto con una riunione fiume di nove ore, ma anche con la rinnovata leadership di Casaleggio che ha spronato Grillo dopo l’iniziale delusione: al centro ritorna la tabella di marcia pentastellata, l’organizzazione dello sbarco in Europa e la prosecuzione della battaglia italiana. Dalla tornata elettorale l’azione di cannoneggiamento al governo Renzi ne esce ridimensionata ma «adesso le aspettative altissime sono tutte sulla maggioranza», incalza un senatore M5s. Più leggeri, si ricomincia dall’opposizione come un anno fa, con un po’ di fatica in più. E diverse ferite aperte che qualcuno, a Milano o a Roma, dovrà tamponare.