Gorky ParkPutin bluffa sull’Est ucraino

Putin bluffa sull’Est ucraino

Due sono gli appuntamenti fondamentali da cui si capirà quale potrà essere il prosieguo della crisi ucraina, una vicenda incominciata quasi sei mesi fa e che si concluderà se e solo quando tutti gli attori coinvolti decideranno di sedersi intorno a un tavolo giocando a carte scoperte. La soluzione del rebus, e il futuro dell’Ucraina, non dipendono certo solo dalle scelte del Cremlino, ma da quelle sia del blocco di potere al momento al governo a Kiev sia di chi lo sostiene, in primis gli Stati Uniti.

Perché la guerra “in” Ucraina è anche una guerra “per” l’Ucraina. Perchè di guerra si tratta, seppure solo a episodi. Sia quella che si combatte sul campo, nel bacino limitato della regione di Donetsk, tra i centri della rivolta filorussa armata, da Slaviansk a Kramatorsk. Sia quella nemmeno tanto sottotraccia, tra Russia e Occidente, o più precisamente tra Russia e Stati Uniti: un rigurgito di Guerra fredda in salsa da terzo millennio. In più c’è la guerra civile, quella tra ucraini che non indossano uniformi nè imbracciano le armi di professione, ma si scannano tra di loro come è successo qualche giorno fa a Odessa, prendendosi semplicemente a fucilate e scatenando roghi mortali.

Gli eventi di questa guerra che ogni giorno offrono diverse prospettive di lettura si inseriscono comunque in una cornice che non è solo quella dei confini dell’ex repubblica sovietica e dell’Europa, ma arriva anche al di là dell’Atlantico. Washington al fianco di Kiev, o meglio gli Usa accanto al governo di Arseni Yatseniuk, contro Mosca e Vladimir Putin. E l’Europa dalle tante anime nel mezzo un po’ a guardare, un po’ a mediare, soprattutto nel caso della Germania, i cui rapporti con la Russia vanno al di là dei tubi del gas. L’Ucraina è sull’orlo del baratro: e ora?

Ebbene, gli eventi cruciali sono questi.

Il referendum dell’11 maggio, che i separatisti sono decisi a tenere nonostante il Cremlino abbia chiesto almeno il posticipo, e le elezioni presidenziali il 25. Costituiscono lo spartiacque di questa fase della crisi che va avanti a strappi, tra improvvise escalation e speranze di appianamento. La consultazione popolare nei distretti di Donetsk e Lugansk è una farsa, come ha detto Yatseniuk, ma ciò non toglie che se sarà tenuto avrà una valenza di cui il governo non potrà tener conto, soprattutto per il processo futuro di riforme.

Il premier ha detto di non voler trattare con i terroristi e ha accusato Putin di vendere aria fritta, ma il problema è che sino ad oggi Kiev ha ignorato qualsiasi richiesta proveniente dal Sudestle promesse di decentramento e modifica della costituzione sono rimaste bloccate in parlamento  Le proposte fatte da Sergei Taruta, l’oligarca messo dal presidente ad interim Olexandr Turchynov alla guida della regione di Donestk, sono finite nel cestino. Sia Yatseniuk che Turchynov hanno accusato da un lato da Russia di essere la causa di tutte le disgrazie ucraine, dall’altro non hanno però fatto mezzo passo concreto per andare incontro ai cittadini ucraini del Sudest.

Gli avvenimenti di Odessa hanno dimostrato che il potere centrale non solo non ha sotto controllo la situazione negli oblast orientali dove i separatisti dettano legge, ma nemmeno altrove: la liberazione di circa settanta manifestanti filorussi arrestati il 2 maggio, ottenuta da una folla inferocita che ha assaltato la sede della polizia costringendo le autorità a spalancare la saracinesca è stata la consacrazione dell’impotenza governativa. E poco c’entra in questo caso Vladimir Putin.

Cosa vuole il Cremlino

Il Cremlino, con la sua tattica a elastico, vuole indebolire un governo che considera illegittimo, e che un po’ in realtà lo è davvero, sostenuto da chi non ha fatto mistero durante la rivolta contro Yanukovich, di augurarsi un epilogo del genere. La telefonata del vice segretario di Stato americano Victoria Nuland in cui si definiva in sostanza Yatseniuk come l’uomo di Washington è stata la rivelazione di un segreto di Pulcinella. La Russia è interessata a mantenere la sua influenza in Ucraina e sta facendo di tutto, e continuerà a farlo, per ribaltare la situazione. L’annessione della Crimea è stato un passo previsto e facile, ma nel Donbass le cose sono diverse. Un’operazione militare su larga scala, con effetti collaterali catastrofici a tutti i livelli non solo in Ucraina, ma anche in Russia è l’ipotesi meno realistica, nonostante i toni da propaganda che si sentono dalla Casa Bianca al Cremlino passando per la Bankova, che ha evocato la terza guerra mondiale.

Il referendum dell’11 maggio è in sostanza un’altra tappa verso quello scenario di smembramento dell’Ucraina che il 25 maggio, se le elezioni si terranno più o meno regolarmente e se saranno riconosciute da tutti, potrà subire un rallentamento o un’altra accelerazione.

Guardando i sondaggi, l’elezione al primo turno dell’oligarca Petro Poroshenko, appare cosa scontata. Se nel frattempo la situazione non sarà precipitata, il nuovo capo di Stato si troverà di fronte al difficile compito di prendere in mano il Paese e cercare con Yatseniuk il modo migliore per raccogliere i cocci e fare in fretta le riforme in senso autonomista che sono state promesse e che nessuno ha ancora visto.

Poroshenko, un pragmatico capace di parlare con tutti, anche con il Cremlino, dovrà mediare con l’attuale premier, la cui sedia non è mai stata stabilissima, e con Yulia Tymoshenko, che vuole tornare protagonista e al di là della maschera da combattimento sa benissimo che l’arte della politica sta nel compromesso. Meno ideologica di Yatseniuk ha con Putin un rapporto controverso, ma i fatti dicono che il migliore contratto sul gas per la Russia è quello che ha firmato lei nel 2009 a Mosca. Se fosse per la Russia, insomma, i venti di guerra potrebbero sopirsi in maniera definitiva, a patto che dagli Stati Uniti non si voglia rimanere attaccati a tutti i costi a un governo nato da un colpo di stato e sostenuto da un parlamento che non è stato ancora rinnovato.

La soluzione sul breve periodo sta in un’Ucraina federale e fuori dalla Nato, lo aveva già suggerito Herry Kissinger, non Vladimir Putin.

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