Sinistra europea, la chance del Pd

Sinistra europea, la chance del Pd

Questa campagna elettorale per le elezioni europee avviene all’insegna dell’attualità piuttosto che dei contenuti. Conta molto di più lo scandalo della corruzione dell’Expo o il destino processuale di Berlusconi piuttosto che una dichiarazione d’intenti su quel che si vuole fare del bilancio europeo o della democrazia nel Parlamento di Bruxelles. È così in tutti i Paesi, non solo in Italia; poiché non sono ancora in grado di fare una politica europea che infiammi il cuore degli elettori, tutti i partiti si definiscono sulle politiche nazionali e solo in seconda battuta eventualmente mirano a giocare un ruolo guida nella loro famiglia politica in Europa. Inevitabilmente, e al di là della retorica che vuole un’Europa sempre più al centro della politica nazionale, siamo invece di fronte ancora una volta a una campagna europea al traino della politica nazionale. 

Anche il Partito democratico, il più europeista dei partiti italiani, non ha una vera proposta per l’Europa, e ha adottato, come tutti i partiti socialisti europei, uno stesso programma – il manifesto del Pse. Ma il manifesto è un compromesso al ribasso, è reticente su alcune scelte fondamentali quali la riduzione dei costi e della burocrazia europea, l’ampliamento del bilancio comune federale europeo e le leggi che lo vincolano, la politica comune sulla migrazioni dai paesi extra-Ue. Prima di poter influenzare l’agenda in Europa bisogna vincere la battaglia in Italia.

Allora la domanda è: esiste in Europa un partito a sinistra capace di affermarsi nella politica nazionale e quindi di costituire un esempio per la sinistra europea? Un partito che per via dell’autorevolezza ottenuta in patria riesca a condizionare il processo di unificazione europeo? 

Gli esempi della sinistra europea negli ultimi venti anni sono stati sostanzialmente due: Blair e Schröder. Il primo ha guidato il Regno Unito per 10 anni e ha aperto alla sinistra europea la terza via: in una Inghilterra che usciva dalla cura liberista della Thatcher, Blair ci ha insegnato che la sinistra può rilanciare il settore pubblico nel segno dell’efficienza. Utilizzando un periodo di crescita economica, Blair fece suo il mantra “education-education-education”, sostenne che l’investimento principale per garantire la crescita del Paese era l’investimento in istruzione. Rivoltò però il sistema pubblico dando autonomia di imposte alle università e creando le prime charter schools: le scuole dove i gestori sono i genitori se il pubblico fallisce.

Blair segnò la via della sinistra europea con la rivoluzione nella scuola, i forti investimenti nella sanità pubblica e alla creazione dei job center, i servizi all’impiego che ancora oggi gestiscono i sussidi di disoccupazione e gli incentivi al lavoro dei disoccupati. Blair fu Blair anche perché aveva i soldi della crescita economica da investire nella politica. Blair poté far poco per l’Europa perché era inglese.

Schröder al contrario di Blair arriva in un momento in cui la Germania era considerata il malato d’Europa. Dopo un anno di governo caccia il suo rivale nella Spd dal governo (Lafontaine che poi fondò il partito Die Linke) e si mette decisamente sulla strada delle riforme: Schröder diventa il modello della sinistra europea perché gestisce la fase seguente l’unificazione tedesca permettendo una contrattazione decentrata dei salari e impostando le famose riforme Hartz del mercato del lavoro che a distanza di 10 anni costituiscono ancora il modello per le riforme degli ammortizzatori sociali e dei servi all’impiego. Schröder passa alla storia della sinistra perché diversamente da Blair sa imporre dei sacrifici immediati che porteranno vantaggi in futuro. Anche per via di questi sacrifici Schröder perde le elezioni e dopo essersi dedicato alla Germania non ha il tempo per dedicarsi all’Europa.

Quale sarà il prossimo faro della sinistra europea? L’unica potenziale promessa è il Pd italiano. I socialisti francesi sono in difficoltà drammatica dopo i numerosi errori del presidente Hollande, si sono affidati ad un nuovo primo ministro Manuel Valls che nelle primarie di due anni fa contro lo stesso Hollande prese un magrissimo 4,5%.  L’Spd tedesca non riesce a trovare un leader e una linea, è schiacciata dalla personalità della Merkel e dal fatto stesso di stare in posizione di debolezza dentro una grande coalizione. Il partito labourista inglese dovrebbe in teoria avere vita facile alle prossime elezioni tra un anno ma i sondaggi lo danno in un vantaggio molto modesto: la buona situazione economica del Regno Unito e la mancanza di un leader efficace favoriscono l’attuale governo conservatore.

Non resta che il Pd: la fine dell’era berlusconiana e l’emergere di una nuova leadership può essere la base di un nuovo corso destinato a segnare la strada non solo in Italia ma anche in Europa. È per questo che è urgente stendere un programma di lungo periodo che includa i dettagli di un calo permanente della spesa pubblica e delle tasse, di una riforma coraggiosa della scuola e dell’università, del lavoro e degli ammortizzatori sociali, di una politica sostenibile dell’immigrazione. Solo se gli annunci di questi primi mesi di governo saranno percepiti come un credibile programma di lungo periodo destinato a cambiare l’Italia,  si potrà dire che il nuovo corso del Pd avrà la speranza di costituire un esempio per i partiti europei. Purtroppo però noi non siamo in una situazione di crescita economica come quella di cui poté agevolmente approfittare Tony Blair, ma piuttosto in una condizione da malato d’Europa in cui si trovò Schröder.

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