Potrà sembrare crudele parlare di un gioco che ha come tema l’alcolismo con un paragone così: ma l’attuale panorama videoludico assomiglia per certi versi a quello della birra.
Da una parte abbiamo le grandi case che fanno prodotti sicuri, che vendono molto e osano poco, dall’altra ci sono centinaia di “microbirrifici” che sviluppano in casa e osano prodotti molto particolari. Ogni tanto arrivano al pubblico di massa e ottengono il successo che meritano, ma molto più spesso rimangono piccole gemme per chi ha tempo e pazienza di spulciare l’enorme offerta che si para davanti all’appassionato del genere.
Spate è senza dubbio una di quelle gemme, è uno dei tanti figli di Kickstarter, la piattaforma di crowdfunding con cui è possibile finanziare direttamente i progetti che ci interessano, è un titolo breve, parliamo di circa due ore di gioco per una decina di euro su Steam, è un titolo molto particolare sia come temi che come atmosfera, ed è sviluppato da Eric Provan, uno che nella vita ha lavorato con Disney, Sony e col papà dei Muppet, Jim Henson.
In Spate non impersonerete un eroe, un personaggio valoroso, o un tipo positivo, non sarete neppure un cattivo dalla risata malefica e la battuta pronta, no, in Spate sarete un perdente, un uomo preso a calci dalla vita, lasciato dalla moglie dopo la morte della figlia, che nella buio della propria esistenza ha trovato una luce dentro le bottiglie d’assenzio.
Bluth, questo il suo nome, è anche un investigatore privato, a cui è stato chiesto di ritrovare una persona dentro la Zona X, un posto misterioso, tossico e inospitale, perennemente bagnato dalla pioggia, in cui tanti anni fa sono sparite molte persone, e dal quale nessuno fa più ritorno.
Con queste premesse, Spate vi porterà per mano in gioco che deve tanto a Super Mario quanto ai quadri di Dalì, Van Gogh, Chagall, in cui ogni schermata è così densa di immagini, simboli e visioni che viene da chiedersi se questa Zona X sia un luogo vero o l’allegoria di un uomo che scende dentro il proprio senso di colpa e propria autocommiserazioni, sorso dopo sorso.
Bere è infatti una componente fondamentale del gameplay perché, distorcerà la realtà intorno a noi in forme e visioni che forse preferiremmo non vedere, come la figlia morta, ma ci permetterà anche di correre più veloce e saltare più in alto.
E proprio qua sta il cuore del gioco e il suo messaggio: Spate vuole farci vivere le disastrate emozioni di un uomo che non può che bere per andare avanti, ma che non ha niente per cui andare avanti, se non capire cosa si nasconde nel cuore della Zona X, il problema è cosa farà quando lo avrà scoperto.
Spate è senza dubbio un ottimo esempio di come si stia ridefinendo il concetto di “videogioco”, e come sotto questa parola si trovino ormai esperienze completamente diverse tra di loro.
Ciò che proviamo vestendo per due ore i panni di Bluth non è né divertente o spensierato, e salvo qualche passaggio più ostico, non è neppure ludicamente impegnativo, ma è molto complesso sul piano emotivo ed emozionale. Spate vuole spingerci, stimolarci, e affascinarci con i suoi panorami completamente fuori di testa, fatti di teschi enormi, colori slavati, case sospese per aria e torri altissime.
Arte? Non sta a noi dirlo, certamente un titolo da sbattere in faccia a chiunque creda che i videogiochi siano solo intrattenimento leggero che spegne il cervello e fa diventare violenti, e non siano ormai un medium in grado di analizzare temi complessi come l’alcolismo, la malattia, il distacco, l’amicizia, la morte.