“Stadio-mafia”, dov’è veramente lo scandalo?

“Stadio-mafia”, dov’è veramente lo scandalo?

Alla fine il presunto scandalo della finale di Coppa Italia ha prodotto, per ora, solo un grande polverone e un titolo geniale: La trattativa Stadio-mafia (copyright Dagospia), ma nulla di concreto.

Lo dico perché tra cori di indignazione, evocazione di personaggi grotteschi o pittoreschi, reperti fotografici e atti di accusa apodittici, sembra che si sia perso ogni senso della misura. Lo dico perché fa un gran figurone “Genny ’a Carogna”, il capo ultrà del Napoli che sarebbe oggetto dello scandalo e protagonista di questo accordo indecente, che intervistato dal Messaggero dice: «Io non ho fatto nessuna trattativa, Hamsik e i poliziotti ci stavano solo tranquillizzando sui nostri compagni feriti». Ma allora dov’è lo scandalo? E se anche “Genny ’a carogna” mentisse, cosa avrebbero dovuto fare gli uomini della Digos, di diverso da quello che hanno fatto?

Ridotti all’osso i fatti sono questi: sabato sera un personaggio evidentemente fuori equilibrio, tale Daniele De Santis detto “Gastone”, precipitato in una rissa, perde il controllo e si mette a sparare contro quattro tifosi del Napoli, ferendoli. Forse questo accade a De Santis dopo aver predisposto — insieme ad alcuni complici — un agguato a base di razzi e petardi, aprendo il fuoco sulla carovana dei sostenitori del club partenopeo diretti allo stadio. Ma tutto si è celebrato fuori dal perimetro dell’Olimpico, ed era largamente imponderabile.

Di fronte a una situazione di emergenza, con un intervento da manuale, gli uomini della polizia hanno salvato De Santis da un linciaggio certo, lo hanno arrestato tempestivamente. Sono riusciti a contenere un focolaio di rabbia che stava per esplodere con rischi devastanti, hanno ritrovato subito l’arma utilizzata. Sono riusciti a mantenere la calma dentro uno stadio che dopo questi eventi era diventato come una polveriera, con un innesco che poteva deflagrare in ogni minuto. Cosa suscita indignazione? Il fatto che “Genny ’a carogna” indossasse una t-shirt in cui inneggiava al tifoso condannato per l’omicidio Raciti? In un paese in cui solo pochi giorni fa i congressisti di uno dei più importanti sindacati di polizia hanno fatto altrettanto con i loro colleghi, purtroppo, non vedo dove sia lo scandalo: o meglio, lo vedo, ma non posso decontestualizzarlo dal racconto italiano che stiamo vivendo. Daniele De Santis non va più allo stadio da tempo, proprio perché sottoposto ad una serie di Daspo che gli avevano chiuso le porte del calcio in virtù dei suoi precedenti. Quindi la prevenzione — nel suo caso — è stata non solo efficace, ma efficacissima. De Santis, fra l’altro, non apparteneva a nessuna delle due tifoserie coinvolte nella finale di Coppa Italia, ma ha agito come una cellula impazzita.

La partita doveva essere sospesa comunque? Secondo me ha ragione Matteo Renzi, quando dice «Non voglio abbandonare lo stadio ai violenti». Dubito che seguendo la strategia obbligata della riduzione del danno, le forze dell’ordine potessero immaginare qualcosa di diverso. Sta di fatto che la controprova non c’è, ma c’è la prova dei fatti: seguendo questa via non è successo nulla di grave, non è successo niente rispetto a quello che poteva accadere. Lo spettacolo osceno della diretta Rai sono stati i fischi all’inno di Mameli, i cori dei tifosi della Fiorentina che inneggiavano a “Vesuvio lavali con il fuoco”, il fatto che le frange estreme delle tifoserie si siano prese la scena, l’invasione di campo celebrata in un clima di questo tipo.

Ma se tutto questo è vero, allora il problema è un problema di cultura politica, non di ordine pubblico, è un contesto generale, non l’atteggiamento di un singolo. Non serve quindi una nuova singola legge speciale sul calcio, ma una grande riflessione sulla violenza in Italia: c’è un unico filo che lega gli scontri nei cortei dei senzacasa, gli applausi del Sap, le trattative in campo, ed è l’esistenza di una zona grigia in cui oggi, nel nostro paese, la violenza può essere amministrata in maniera discrezionale. Bisognerebbe quindi avere degli steward che (quando violano le regole) possano arrestare i tifosi in curva come accade in Gran Bretagna, bisognerebbe permettere ai celerini di arrestare qualsiasi violento armato o con il volto travisato in qualsiasi corteo, bisognerebbe che nessuna società entrasse in relazione con i capi curva, bisognerebbe che tutti i poliziotti avessero sempre un numero identificativo sulle divise. Ma cancellare la zona grigia è molto più difficile che lanciarsi nell’invettiva, ed ha dei costi politici molto più grandi della catarsi che in questo momento si invoca, del bisogno di un gesto esemplare. Per cancellare la zona grigia non basta una legge, serve una volontà granitica collettiva.

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