Nei videogiochi come nel mondo reale, ci sono guerre di serie A e guerre di serie B, ci sono conflitti raccontati sotto ogni aspetto, e conflitti totalmente ignorati, o al massimo citati.
La Seconda Guerra Mondiale ormai l’abbiamo giocata anche dal punto di vista di quello che puliva la carrozzina di Roosvelt, anche del Vietnam ormai sappiamo a memoria i percorsi dei cunicoli Vietcong, abbiamo visto qualche sprazzo di Somalia, un po’ di Kosovo, magari sublimato in qualche finta provincia filorussa, ma la Prima Guerra Mondiale… di quella non parliamo quasi mai.
Sarà perché è stata una guerra strana, a metà fra vecchie concezioni belliche e nuove armi, che l’hanno resa una carneficina di uomini semplici più che un racconto da spettacolarizzare, ma di giochi sulla prima guerra mondiale, escluso qualche strategico a turni o progetti semiamatoriali, fino ad oggi non se ne trovavano.
Sarà per questo che Valiant Hearts: The Great War colpisce l’attenzione fin dalle prime immagini. Anche se il look è decisamente cartoonesco, si capisce subito che c’è una storia, anzi La Storia, e gli uomini che hanno avuto la sfortuna di vedere il suo lato peggiore. Nonostante il tema, questo non è un gioco di guerra, non è un gioco di eroi, non è un gioco violento nel senso spettacolare del termine, durante tutta l’avventura non ammazzerete nessuno, sarà la guerra a farlo, mentre voi cercherete di risolvere enigmi e ascoltare le storie che vi scorrono di fronte.
Più che un gioco, grazie a un interfaccia praticamente inesistente, Valiant Hearts: The Great War sembra un film d’animazione digitale, con un look molto personale che ricorda certi fumetti francesi ( d’altronde lo sviluppatore è Ubisoft Montpellier). Valiant Hearts: The Great War è uno di quei giochi in cui la parola gioco è decisamente stretta, sì ci sono degli enigmi, tutti abbastanza comprensibili, ma lo scopo principale del gioco è provocare reazioni emotive, e per farlo ha deciso di raccontare una storia a più voci e fatti “liberamente ispirati” a una serie di lettere scritte da persone reali che hanno partecipato al primo conflitto a scala mondiale. Il team di sviluppo ha infatti raccolto molti cimeli della Grande Guerra, come lettere inviate al fronte, medaglie, proiettili e altri oggetti, che sono stati una fonte d’ispirazione fondamentale.
Non vestiremo infatti i panni di un solo soldato, ma vivremo il punto di vista di un padre costretto ad arruolarsi per difendere la propria casa, di una donna divisa dal marito improvvisamente divenuto il nemico e di uno uomo costretto a combattere una guerra che non è la sua. E non è tutto, conosceremo anche gli orrori vissuti in prima persona da una crocerossina che può contare solo sulla propria vocazione e un carattere d’acciaio, ma soprattutto potremo contare su un cane, figura “comica” che accompagnerà tutti i personaggi e che smorzerà i toni drammatici.
Il valore di titoli come Valiant Hearts è enorme, sarà anche un gioco piccolo, magari anche ignorato dalla massa, ma è un simbolo, anzi uno dei tanti simboli di ciò che si può fare con i videogiochi quando si mettono da parte i soliti stereotipi. Nessuno sta dicendo che vorremmo solo giochi così, abbiamo bisogno di titoli tutta azione e adrenalina così come abbiamo bisogno dei film come Godzilla o Pacific Rim, ma ogni tanto è bello ricordarsi che possiamo avere anche qualcosa di diverso, qualcosa che possiamo definire se non arte, almeno una forma di cultura.