«La trama in un videogioco, è come la trama in un film porno. Ti aspetti che ci sia, ma in fondo non serve a niente» a dirlo fu John Carmack, padre di Doom, di Quake, e di quel Wolfenstein 3D che molti anni fa ci fece vivere attraverso gli occhi di William “B.J.” Joseph Blazkowicz, un soldato statunitense di origini polacche, la caccia ai nazisti che lo avevano imprigionato, cambiando per sempre il mondo dei videogiochi.
Il destino, a cui non manca il senso dell’umorismo, ha invece deciso di smentire Carmack con un gioco che fa della storia uno dei suoi punti più interessanti, e non solo, questo gioco è Wolfenstein: The New Order, seguito spirituale di Wolfenstein 3D, in cui vestiamo nuovamente i panni di Blazkowicz.
Il titolo prende le mosse da un’ucronia, uno degli “E se…” più usati di sempre: E se i nazisti avessero vinto la guerra? Lo stesso e se che fece scrivere a Philip Dick l’ottimo La svastica sul sole che per certi versi ha senza dubbio contribuito all’immaginario del gioco, sul quale hanno influito pesantemente anche lo steampunk nella sua accezione più teutonica, ovvero il dieselpunk.
Questo ha portato gli artisti a creare un mondo oscuro, meccanico, in cui l’uomo è sostanzialmente un semplice ingranaggio nel perfetto macchinario nazista al quale deve giurare totale obbedienza, se non vuole finire in un manicomio a far da cavia per esperimenti indicibili.
Il gioco inizia con Blazkowicz nel pieno del secondo conflitto mondiale che cerca di assaltare un castello di tedeschi dopo un rocambolesco atterraggio di fortuna. Che la storia non sia propriamente il classico sparatutto senza cervello lo si annusa subito. Gli sviluppatori non ci hanno messo nei panni del classico eroe che alterna grugniti e silenzi, ma in quelli di un uomo che tiene ai suoi compagni, e che più di una volta si prende qualche secondo per elaborare gli orrori della guerra. Questo non vuol dire che Wolfenstein sia un gioco che rinuncia alle sue origini, anzi, solo che sono veramente molto ben bilanciate le fasi in cui si spara impugnando due mitragliatrici pesanti, scatenando un orgia di piombo e sangue, e quelle in cui si cerca comunque di raccontare la storia di un uomo disperato e della sua crociata solitaria.
Sì, perché Blazkowicz, dopo il prologo si risveglia in un ospedale psichiatrico, bloccato su una sedia a rotelle. Nel frattempo il mondo è andato avanti, la guerra è finita e i tedeschi hanno vinto. Hanno smantellato la Statua della Libertà e reso Manhattan un deserto radioattivo. Non esiste alcuna resistenza, lui è la resistenza.
La sua vicenda sarà quindi quella di un uomo disperato, privato di tutto, che porta avanti la sua guerra privata contro un regime potentissimo, e dei pochi che lo seguiranno, e tutto questo viene narrato in sequenze bellissime in cui non si spara neppure un colpo. Ad esempio, a un certo punto ci troviamo in incognito su un treno diretto verso Berlino, e veniamo coinvolti da una gerarca nazista e dal suo viscido toy boy in una serie di indovinelli per capire se siamo di razza pura, che si riveleranno solo un sadico gioco per prendersi gioco di noi e poi lasciarci andare.
Certo, non sono elementi che fanno la differenza in uno sparatutto come possono farla una meccanica di gioco fluida o l’intelligenza artificiale dei nemici (a dire il vero, non sempre brillantissimi) ma sono ciò che elevano sopra la massa un titolo che vuole essere ben più di una sequela di stanze e corridoi in cui far saltare il cervello ai nazisti, quello andava senza dubbio bene vent’anni fa, adesso ci vuole qualcosa di più.
Wolfenstein: The New Order è dunque un ottimo contrappunto tra ignoranza, sangue, pulp e intimismo, tra battute sui nazisti e riflessioni sugli orrori dell’uomo, tra azione e narrazione. Certo, potremmo tranquillamente giocarlo saltando ogni scena d’intermezzo, e sarebbe comunque un ottimo titolo, ma se abbiamo una panna con la torta al cioccolato, perché dovremmo buttare via la panna?