Una recente decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che alcuni utenti possono chiedere ai motori di ricerca di rimuovere risultati relativi a query che includono il loro nome, qualora tali risultati siano inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati.
Durante l’implementazione di questa decisione, valuteremo ogni singola richiesta e cercheremo di bilanciare i diritti sulla privacy della persona con il diritto di tutti di conoscere e distribuire le informazioni. Durante la valutazione della richiesta stabiliremo se i risultati includono informazioni obsolete sull’utente e se le informazioni sono di interesse pubblico, ad esempio se riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali.
Comincia così il documento messo online da Google a disposizione di tutti quegli utenti che, qualora lo ritenessero necessario, potranno richiedere la rimozione dei contenuti che li riguardano dalla Rete. Un documento che, come descritto nel messaggio, nasce a seguito di una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in cui è stato sancito il cosiddetto diritto all’oblio da parte degli utenti. Un diritto divenuto realtà grazie alla tenacia di Mario Costeja González, cittadino spagnolo che si è battuto in tutte le sedi opportune per rimuovere un contenuto pubblicato inizialmente dal quotidiano la Vanguardia – riguardante un suo debito passato nei confronti del servizio di previdenza spagnolo – e poi finito in rete.
In casa Google le richieste di rimozione dei contenuti non sono tardate ad arrivare perché, secondo quanto riferiscono al Financial Times fonti vicine alla società, in quattro giorni la società di Mountain View ha ricevuto oltre 41mila domande di cittadini che hanno presentato un esposto, con l’obiettivo di vedere rimossi i risultati di ricerca nel web sul loro conto. Un flusso anomalo di istanze, quasi sette al minuto, che ha avuto inizio lo scorso venerdì, giorno in cui Google ha messo in rete il modulo corrispondente. È possibile ipotizzare che molti utenti, per interesse reale o per semplice curiosità, abbiano cominciato a “googlare” il proprio nome alla ricerca di qualsiasi link o contenuto che li riguardasse e che, stando sempre ai numeri diffusi dalla società, qualcuno di loro abbia ritenuto necessario compilare il modulo. Più di qualcuno in effetti, perché soltanto il primo giorno il form è stato compilato da 12mila persone. Percentuali particolarmente elevate sono giunte da Germania e Regno Unito, tra cui anche la richiesta di un uomo che ha cercato di uccidere la sua famiglia e sperava nella rimozioni di link che indirizzassero alla notizia in questione.
Come spesso capita però quando si ha a che fare con temi delicati come questi, i pareri sono molteplici. Da un lato i vertici di Google storcono il naso: secondo Larry Page la sentenza sul diritto di “essere dimenticati” rischia sia di soffocare l’innovazione, che di rafforzare il potere dei governi repressivi e dittatoriali che cercano di frenare la comunicazione online. Il coro che si leva sul versante degli esperti di Internet poi, si schiera dalla parte del fallimento dell’iniziativa della Corte Europea di concedere ai soggetti un maggiore controllo sulle loro informazioni personali, a causa della struttura globale e interconnessa di Internet.
Per valutare l’eventuale possibilità di rimuovere o meno il contenuto dalla rete, e una volta esaminate le richieste di rimozione in relazione ai criteri stabiliti dal giudice, Google ha annunociato l’intenzione di non fare ricorso a degli algoritmi informatici per la rimozione dei contenuti. Sarà invece assunto nuovo personale per applicare tali sentenze. I link oggetto del contendere verranno rimossi solo a partire dalla metà di giugno, e va sottolineato che trattandosi di una sentenza della Corte di Giustizia Europea, i contenuti verrano rimossi esclusivamente dalla versione europea di Google. Non c’è l’intenzione da parte di Big G infatti di eliminare anche quelli della versione americana del sito. Ecco quindi che gli utenti europei potranno ancora rintracciare i link incriminati attraverso la versione americana di Google.
La giurisprudenza a riguardo non è proprio recente, tale sentenza si basa su una direttiva europea sulla protezione dei dati che risale al 1995, e questo suona ancora di più come una beffa nei confronti di una società come Google che fa dell’innovazione il suo punto di forza. Tuttavia salvo nuovi capovolgimenti giudiziari, Larry Page e soci dovranno far fronte alle richieste sempre crescenti di coloro quali desiderano sparire dalla rete.