Un colpo al cerchio e una alla botte. Forse non c’era da aspettarsi altro da una Commissione Europea ormai agli sgoccioli – scade a fine ottobre – e da un commissario, quello agli Affari economici Olli Rehn, appena rientrato da un congedo elettorale e prossimo alle dimissioni visto che dal primo luglio sarà eurodeputato. E così dalle temutissime raccomandazioni paese (emesse per tutti e 28 gli stati membri, e che dovranno essere confermate dai ministri finanziari all’Ecofin) è arrivato un messaggio misto. Anche se, a voler esser cattivi, predominano gli aspetti negativi.
Certo che il messaggio principale è: l’Italia ha fatto cose importanti, e ne ha promesse anche di più, ma per il momento è ben lontana da fare quello che deve. Anzitutto sul fronte del bilancio, con Bruxelles che batte senza sosta sulla questione dell’elevatissimo debito pubblico (che viaggia intorno al 133% del pil). «L’Italia – ha avvertito Rehn – deve fare un adeguato sforzo strutturale per affrontare il suo elevatissimo debito, che è la sua principale vulnerabilità. Quel che conta è lo sforzo strutturale (al netto di fattori ciclici e una tantum n.d.r.) annuo che farà l’Italia». Anche in queste raccomandazioni Bruxelles insiste che l’Italia, per mettersi su un cammino di discesa del debito, dovrebbe fare già nel 2014 un aggiustamento strutturale dello 0,7% del pil, e invece le misure del governo al momento non vanno oltre lo 0,1%. Non a caso Rehn avrebbe voluto mettere nero su bianco il suo niet alla richiesta del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan di rinviare dal 2015 al 2016 il pareggio di bilancio in termini strutturali. Il pressing del collega italiano Antonio Tajani, ma anche la consapevolezza del presidente José Manuel Barroso della debolezza di una Commissione ormai in scadenza, ha portato alla fine, lunedì sera, alla soppressione della bocciatura formale, con grande sollievo di Palazzo Chigi. La formula soppressa nelle raccomandazioni si può però ancora trovare nell’allegato tecnico senza valore giuridico, il cosiddetto “staff working document”: «l’esenzione richiesta dall’Italia di deviare dal cammino richiesto verso l’obiettivo di medio termine (il pareggio n.d.r.) non può esser concesso per via del rischio di non ottemperanza al parametro di riduzione del debito».
Rehn ha ceduto ma, per quel che vale, la vede ancora così – in linea con la Germania: «rinviare il raggiungimento degli obiettivi di medio termine – ha avvertito – non pone l’Italia in una buona posizione nei confronti delle regole che essa stessa ha sottoscritto e che ha inserito nella Costituzione». Certo è che nel testo delle raccomandazioni che dovrà essere approvato dall’Ecofin si afferma a chiare lettere che saranno «necessari sforzi aggiuntivi, incluso nel 2014, per essere in ottemperanza con il Patto di stabilità e crescita». Quali? In termini matematici, il “gap” tra lo 0,1% del pil di aggiustamenti attuato dall’Italia e lo 0,7% chiesto da Bruxelles – dunque lo 0,6% del pil – varrebbe 9 miliardi di euro. La Commissione però ha evitato in ogni modo di quantificare sia la cifra, sia la modalità di questi «sforzi aggiuntivi». Fonti comunitarie spiegano che è un tema «complesso», e che nel calcolo entrano tanti fattori, come la spending review, le privatizzazioni (che dovrebbero portare un gettito dello 0,7% del pil l’anno tra il 2014 e il 2017), l’andamento del pil, quello degli interessi sui titoli. Molto importante, inoltre, è un migliore utilizzo dei fondi Ue. Si vedrà.
Tanto più che Bruxelles ha osservato con preoccupazione la brutta sorpresa del primo trimestre 2014 tornato in negativo per l’Italia. «Siamo consapevoli che la ripresa economica in Italia è ancora fragile – ha detto Rehn – nel caso in cui non si verificasse e l’Italia ritornasse in recessione, le nostre regole fiscali ci permettono di riconsiderare le nostre richieste» di aggiustamento. Bruxelles, insomma, vuole stare a guardare. Certo è però che, in assenza di una nuova recessione (come tutti sperano), se tra il 2014 e il 2015 non si vedranno sforzi significativi (non dev’essere per forza lo 0,6%, basterebbe anche lo 0,3-0,4% annuo), potrebbe scattare la procedura per debito eccessivo il prossimo anno. A deciderlo sarà la prossima Commissione.
Del resto a preoccupare Bruxelles non è solo il debito, ma anche l’andamento generale delle riforme strutturali, ancora decisamente troppo lento. «Una rigorosa e rapida attuazione delle misure adottate (dal governo n.d.r.) – recita il testo delle raccomandazioni – rimane una sfida chiave per l’Italia». Anzitutto sul fronte fiscale, oggetto della raccomandazione numero 2 (la prima riguarda i conti pubblici). In effetti secondo Bruxelles «la recente azione per alleviare la pressione fiscale sui fattori produttivi è stata alquanto limitata». Della serie: bene gli 80 euro in più in busta paga per i redditi medio-bassi, ma non basta. Ci vuole una riforma dell’Iva, lo spostamento della pressione fiscale dal lavoro ai consumi. E una ben più efficace lotta all’evasione.
Lo stesso dicasi per il mercato del lavoro, la cui situazione è ulteriormente peggiorata nel 2013. Si chiede più flessibilità in ingresso e in uscita, un allineamento dei salari alla produttività reale, e – come Bruxelles continua a chiedere da anni – la fine della segmentazione del mercato del lavoro con fasce molto protette e altre super-precarie, a danno anzitutto di donne e giovani.
Non mancano le altre ricette per ridare ossigeno all’economia: dall’attuazione della promessa legge per la semplificazione normativa, la lotta alla corruzione ancora dilagante, e anche un ammodernamento del sempre più arretrato e inefficiente sistema scolastico. Bruxelles chiede un maggior contatto della scuola con il mondo del lavoro, più posti di apprendisti, un sistema meritocratico per le carriere dei docenti – e, anche per questo, l’attuazione del sistema nazionale di valutazione scolastica. E’ l’immagine, insomma, di un paese che forse ha capito – in parte – quel che deve fare – ma che davanti a sé ha una strada lunghissima. Speriamo che questa sia la volta buona.