«Forse non lo sapete ma i collaudi per un’opera che vale 5 miliardi di euro sono notevoli». Durante l’interrogatorio del 13 marzo del 2013, Claudia Minutillo, segretaria personale dell’ex Doge Giancarlo Galan, mette a verbale un altro capitolo spinoso dell’inchiesta sul Mose, il sistema di dighe mobili che dovrebbe salvare la laguna di Venezia, ma che non ha salvato il sistema politico-industriale del Veneto da una raffica di arresti e accuse, tra corruzione, associazione a delinquere e riciclaggio. Il problema dei collaudatori, di quelli in pratica che devono controllare se i lavori per il Mose sono in regola, se sono fatti a regola d’arte, per verificarne il funzionamento come per l’impatto ambientale sull’ecostistema lagunare, è un tema spinoso di cui a Venezia si parla da anni e che non è mai stato del tutto chiarito. In particolare rispetto ai rispettivi compensi, altro capitolo su cui c’è stato pure un approfondimento della Corte dei Conti nel 2009, quando venne fuori che erano stati spesi negli anni più 24 milioni di euro e che tra i collaudatori c’erano soprattutto membri dell’Anas.
Persino il sindaco Giorgio Orsoni, arrestato durante la retata di mercoledì 4 giugno, non seppe dare una risposta, quando nel 2012 rispose a un’interrogazione comunale del consigliere Giuseppe Caccia. «Debbo constatare con un certo disappunto» spiegò in aula consigliare il 5 novembre del 2012 «come queste richieste non siano mai state evase dal Magistrato alle Acque». Del resto, la cricca capeggiata dal presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati controllava e pagava tutti. Soprattutto decideva e stabiliva i presidenti del Magistrato dell’Acque di Venezia, che non sono altro che i responsabili delle nomine della commissione collaudi. Tutt’ora né il Cvn né il Mav chiamati più volte da Linkiesta hanno fornito dati che in teoria dovrebbero essere pubblici, nel nome di una trasparenza che dopo gli scandali dovrebbe essere la parola d’ordine dalle parti di piazza San Marco.
L’interrogazione in comune nel 2012 dopo la puntata di Report
La vicenda dei collaudatori del Mose ruota sempre intorno al ruolo dei controllori e dei controllanti che tocca metà dell’inchiesta della procura di Venezia. Dopo la guerra nella Guardia di Finanza – tra chi tramava con gli indagati e chi invece svolgeva con dignità il proprio mestiere – tra chi come Vittorio Giuseppone della Corte dei Conti era a libro paga della cricca o chi come il presidente del Tar di Venezia assicurava sentenze favorevoli in Consiglio di Stato, c’è pure da capire appunto se i controlli sulla costruzione delle dighe mobili siano stati fatti nel rispetto della legge. A mettere sotto la lente di grandimento la vicenda fu la trasmissione televisiva Report di Milena Gabanelli nel 2012, quando appunto si rilevò «come le scelte operate dal Concessionario unico e avallate dallo stesso Magistrato alle Acque» potessero non aver garantito «affatto che tale decisiva componente tecnica di funzionamento del cosiddetto Mo.S.E. sia in grado di assicurare adeguatamente “tenuta e funzionalità” dell’intero sistema e, quindi in ultima analisi, le migliori condizioni di sicurezza possibili per la Laguna e la Città di Venezia».
Caccia nella sua interrogazione in comune del 2012 chiedeva anche che fosse «reso pubblico e trasmesso anche al Comune di Venezia il dettagliato elenco dei componenti delle Commissioni di Collaudo che, sulla base del riconoscimento di lauti compensi calcolati percentualmente sull’importo delle opere sottoposte a collaudo, devono pronunciarsi sul sistema Mose e, in particolare, sulla congruità delle opere stesse in rapporto ai considerevoli stanziamenti finanziari dello Stato; risulterebbe infatti allo scrivente che, tra i Collaudatori componenti le Commissioni preposte, vi sarebbero – in condizione di evidente conflitto d’interesse – figure apicali delle Amministrazioni Centrali dello Stato che attualmente assicurano la continuità dei flussi di cassa allo stesso Concessionario Unico».
I collaudatori fidati alla cricca
Che ci siano alcuni vizi di forma nella nomina dei collaudatori emerge ampiamente nell’ordinanza di custodia cautelare. Lo scrivono anche i magistrati. Perchè «era il Cvn che predisponeva gli atti decisori che lo riguardavano di competenza del Magistrato alle acque, che poi recepiva quanto deciso dal Cvn attraverso i presidenti Mav che addirittura neutralizzavano eventuali dissidenti, velocizzavano tutte le pratiche e controllavano i collaudi nominando personale anche non tecnicamente idoneo». Insomma i controllati decidevano quello che dovevano scrivere i controllanti. A svelarne i meccanismi è sempre la Minutillo, segretaria dell’ex presidente della regione Veneto Galan. Tra i componenti della commissione infatti c’è tale Beppe Fasiol, funzionario regionale, voluto lì da Piergiorgio Baita, sodale di Mazzacurati e re del project financing.
Domanda del pm – A un certo punto nella telefonata del 5 dicembre del 2012 il Baita le pone una domanda a cui fa una premessa dicendole: “Capiscimi al volo”, e dice che ha bisogno di un ingegnere, un dipendente pubblico, amico, di cui.. di avvalersi come consulente della commissione. Lei risponde affermativamente, però Baita le propone Artico e lei dice però che Artico non va bene, anche perché è laureato in Scienze Politiche. Baita le dice: “Allora Beppe Fasiol”. Lei ricorda che cosa riguarda questa cosa?
Risposta – Sì: commissione di collaudo del Mose, di gestione del Mose, che era una cosa importantissima e strategica, perché, mi pare di averlo già detto in qualche altra occasione, il Mose lo si dà già fatto, si dava già per fatto e per finito, visto che erano stati stanziati tutti i 5 miliardi e mezzo circa, e la cosa su cui si stava puntando era la futura gestione. Quindi era fondamentale mettere una persona.. delle persone di fiducia in questa commissione di collaudo: erano Ciucci (Pietro presidente di Anas ndr), Fortunato (Vincenzo ndr), capo di gabinetto del Tesoro, e si scelse Beppe Fasiol, chissà perché.
D – No, ci dica perché
R – Perché intanto lo fidelizzava ulteriormente, a questo punto, Baita..
D – Il Gruppo?
R – Sì, perché Baita mi mandò dicendo: “Vai e spiegagli che”. E Fasiol apprezzò molto questa cosa. E’ ovvio che un collaudo del genere vale tanti, tanti soldi, perché va in base al valore dell’opera.
A quanto pare i collaudatori, che ora sono stati rimossi il 31 marzo del 2014, avrebbe percepito in questi anni almeno 400mila euro a testa per valutare i pezzi del complesso sistema di dighe mobili.
Impatto ambientale negativo nel 1998 e le proteste di allora di Galan
Come ricorda lo stesso Caccia a Linkiesta l’ultima valutazione di impatto ambientale di cui si ha memoria sul Mose è datata 1998. È una vicenda a tratti inquietante, perché all’epoca di fronte a una valutazione negativa da parte del ministero dell’Ambiente, fu proprio Orsoni, da semplice avvocato, a portare di fronte al Tar le ragioni di chi invece il Mose lo sosteneva sin dal principio. Lo ha ricordato pochi giorni fa a Repubblica Andreina Zitelli, docente di Analisi e valutazione ambientale all’Istituto universitario di architettura di Venezia e membro di quella commissione Via, che diede parere negativo sull’opera. «In parole povere», insiste Zitelli, «il Mose è un progetto tecnicamente e complessivamente sbagliato ». Che è andato avanti senza controlli, con autorizzazioni che ora la magistratura ha messo sotto inchiesta e con collaudi più o meno misteriosi, tra autorizzazioni del Magistrato delle Acque, della regione Veneto e dello stesso ministero dei Trasporti. Alla fine degli anni ’90 a scagliarsi contro il parere della commissione fu soprattutto Galan, che definì «scandaloso, presuntuoso, irrazionale e prevedibilissimo il parere negativo. Non possiamo tollerare di tornare ad un teatrino dei rimpalli purtroppo già visto e allora si convochi il comitato interministeriale e si arrivi ad un pronunciamento del governo». Sedici anni dopo per il Doge è stata richiesta un’ordinanza di custodia cautelare su cui dovrà esprimersi la camera dei deputati.