Il partito Rai cerca un compromesso con Renzi

Il partito Rai cerca un compromesso con Renzi

I sindacati Rai confermano lo sciopero. Nonostante il parere negativo del garante, il prossimo 11 giugno sarà protesta per i tagli voluti dal governo. Una sforbiciata da almeno 150 milioni di euro confermata in serata dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato, impegnate con l’approvazione del decreto Irpef. A rendere meno amara la spending review voluta dal governo, alcuni emendamenti dei relatori. Una proposta di modifica garantirà la Rai da ulteriori tagli, escludendo l’azienda dai risparmi già previsti per le società partecipate. Un’altra confermerà le sedi regionali a rischio scomparsa.  

Intanto monta la polemica sullo sciopero. E sull’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai sul piede di guerra per le politiche di revisione della spesa di Palazzo Chigi. Vittorio di Trapani, segretario dell’organizzazione sindacale e redattore di Rainews24, continua a tenere il punto e chiede un incontro a palazzo Chigi. Lo scorso gennaio la conduttrice di Report Milena Gabanelli si scontrò proprio contro di Trapani denunciando il sistema delle sedi regionali. «A cosa servono 25 sedi? — si chiese la Gabanelli — A produrre tre tg regionali al giorno, con prevalenza di servizi sulle sagre, assessori che inaugurano mostre, qualche fatto di cronaca». Il segretario Usigrai rispose a tono: «L’attacco sferrato da Milena Gabanelli è disinformazione pura: dati errati e una scarsa conoscenza dell’azienda per la quale lavora da anni».

La Gabanelli però colse un punto: la gestione delle sedi regionali. L’emendamento approvato stasera in commissione Finanze al Senato è un compromesso che salva le strutture e la produzione, ma allo stesso tempo riduce il ruolo dei direttori e l’obbligo di operare in autonomia. A Milano e Torino quindi rimarranno i direttori, ma nelle sedi più piccole scompariranno, facendo risparmiare in questo modo diversi soldi ai contribuenti. Rimane sul piatto la cessione di Raiway. Il presidente della commissione Vigilanza Roberto Fico (M5s) ha ricordato: «Difendo lo sciopero della Rai nella parte in cui vuole difendere l’infrastruttura pubblica Raiway». Agiungendo che «la Rai comunque va assolutamente riformata. Va trasformata, deve cambiare il numero di testate giornalistiche perché sono troppe, bisogna rivedere la forma governance, si devono ridurre gli appalti esterni che oggi ammontano a 1,3-1,4 miliardi l’anno, bisogna riorganizzare le sedi regionali e il personale interno. Dietro i 150 milioni di euro non c’è una revisione della spesa ma una svendita del bene pubblico».

Passa dal Parlamento, il confronto sulla Rai. E non potrebbe essere altrimenti. Basti pensare che all’Inpgi – l’istituto di previdenza dei giornalisti – sarebbero almeno venti i cronisti del servizio pubblico in aspettativa, temporaneamente prestati alla politica. Per non parlare degli ex. Giornalisti e dirigenti eletti alla Camera, al Senato, persino a Bruxelles. Alcuni sono impegnati attivamente nelle attività che interessano Viale Mazzini. Altri non seguono più i destini della grande azienda di Stato. Non manca chi ha fatto tesoro della propria esperienza professionale e adesso è membro della commissione di Vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi, ad esempio. Segretario dell’organismo bicamerale di Palazzo San Macuto, che proprio stamattina si è schierato contro uno sciopero che rischia di diventare «umiliante e frustrante per gli italiani». Una ventina di anni fa, così almeno su legge su Wikipedia, era redattore della trasmissione di Rai Tre Milano, Italia. È passato dal Tg1 a Palazzo Madama, invece, Augusto Minzolini. Inventore del genere giornalistico del retroscena, noto direttore del telegiornale di Rai Uno. Da un anno e mezzo senatore di Forza Italia. 

Ma non ci sono solo giornalisti. Il deputato del gruppo Popolari per l’Italia Mario Marazziti, legato alla Comunità di Sant’Egidio, sul suo sito racconta di essere stato «manager, dirigente Rai, saggista ed editorialista». Come i precedenti colleghi, anche lui si occupa del servizio pubblico, da componente della bicamerale presieduta dal grillino Roberto Fico. Non siede in Vigilanza, infine, l’ex direttore di Rai News Corradino Mineo. Esponente democrat — spesso poco in linea con i vertici del Nazareno — alla sua prima esperienza parlamentare. In attesa di valutare le novità sul decreto Irpef, nei prossimi giorni l’Usigrai proseguirà le consultazioni in vista dello sciopero. E proprio uno degli ultimi segretari del sindacato dei giornalisti di Viale Mazzini lavora da questa legislatura a Montecitorio. È Roberto Natale, candidato di Sel alle ultime Politiche e oggi portavoce della presidente Laura Boldrini. Alla guida del sindacato per dieci anni, dal 1996 al 2006, poi presidente della Federazione Nazionale Stampa. Dal 2013 Natale ha abbandonato vertenze e assemblee e si è, legittimamente, trasferito alla Camera dei deputati. 

Destra, sinistra. Maggioranza, opposizione. Ma quello della Rai è anche un partito transnazionale. Vicedirettore del Tg1, volto noto dall’edizione serale del telegiornale della prima rete, David Sassoli è alla sua seconda legislatura europea. Eletto con il Partito democratico grazie ad oltre 200mila preferenze, lo scorso anno aveva corso, senza successo, alle primarie per diventare sindaco della Capitale. Non è neppure il primo esponente del partito della tv pubblica a passare da Bruxelles. Luisa Todini è stata eletta europarlamentare per Forza Italia nel 1994 (fino al 1999). Già consigliera di amministrazione della Rai, pochi mesi fa il governo Renzi l’ha scelta per la presidenza di Poste Italiane. Entro l’autunno dovrebbero arrivare le sue dimissioni dal Cda di Viale Mazzini. Intanto anche lei ha sollevato qualche dubbio sullo sciopero dell’11 giugno. «La Rai – le sue parole – ha bisogno di essere rivisitata nel profondo, a partire dalla governance». Lo sciopero? «Farebbe male a chiunque, soprattutto alla Rai» .

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