Il pm che condannò Tortora rinunci al suo incarico

Il pm che condannò Tortora rinunci al suo incarico

Ci sono scuse che possono essere auspicabili, altre che sono provvidenziali, altre che sono sorprendenti, altre ancora che purtroppo sono indubitabilmente tardive. E ci sono sentenze che possono essere giuste, sofferte, ma anche precoci. Oggi lItalia si divide – ancora una volta – su due nomi, quello di Annamaria Franzoni e di Enzo Tortora, e sulle storie che si portano appresso, sul rischio del troppo presto e del troppo tardi. Il pm che condannò Tortora si scusa dopo trent’anni, la Franzoni inizia una nuova vita dopo otto anni da una condanna per infanticidio. La prima domanda è proprio sul delitto di Cogne: è possibile che una donna ritenuta colpevole per omicidio possa essere rispedita a casa? E potrebbe accadere la stessa cosa per un altro condannato per omicidio, magari provvisto di una minore aura mediatica? Il problema della giustizia italiana sembra davvero questo: la differenza tra colpevolezza e innocenza la fanno il tuo avvocato o il tuo giudice.

Ecco perché, dopo tanto tempo, è importante quello che è accaduto oggi con la prima intervista di uno dei più importanti protagonisti del  caso Tortora. Mi sembra che la pubblica ammenda di Diego Marmo, il pubblico ministero del processo di Enzo Tortora, l’uomo che definì il presentatore di Portobello “un cinico mercante di morte” rischi di appartenere alla categoria delle scuse tardive, di quelle, cioè, che arrivano fuori tempo massimo. Trent’anni sono tanti, costituiscono una dimensione letteraria, sono tanti anche per la fantasia di un narratore come Alexandre Dumas, sono l’epoca di un grande racconto, sono sei generazioni, ma soprattutto trent’anni sono troppi, se la molla che fa parlare il penitente sembra non assolutamente disinteressata.

C’è il sospetto che Marmo parli oggi solo dopo le polemiche sulla sua nomina ad assessore

E allora devo dire subito che il primo dubbio è questo: c’è il sospetto che Marmo non parli oggi perché c’è qualche ricorrenza, perché cade un anniversario, perché ha colto l’occasione di uno dei tanti dibattiti sulla storia dell’ex conduttore televisivo e del suo calvario. Marmo parla solo oggi – purtroppo è questo il dubbio – perché quando si è parlato della sua nomina ad assessore alla legalità in Campania (a Pompei) ci sono state plateali levate di scudi, ed è iniziato un grande fuoco di interdizione della politica, una campagna di stampa ad esempio da parte dei dirigenti di Forza Italia – con in testa una battagliera Mara Carfagna – che lo hanno ricordato e censurato per quella sua requisitoria scioccante. L’intervista a Il Garantista quindi non è, o almeno non sembra, il frutto di una grande riflessione, di un ravvedimento disinteressato, di un’ammenda compiuta nel senso più alto del termine, per semplice spirito di contrizione. Sembra piuttosto un un modo per rigenerarsi, di ricominciare una nuova vita: «Certamente mi lasciai prendere dal mio temperamento – ha detto Marmo – ero in buona fede. Ma questo non vuol dire che usai sempre termini appropriati e che non sia disposto ad ammetterlo. Mi feci prendere – conclude l’ex pm – dalla foga».

Non depone a favore di Marmo, peraltro, nemmeno il fatto che, solo pochi giorni fa, interrogato dal Velino, lui stesso definisse quella condanna, di un uomo risultato innocente, solo “un episodio della sua carriera”. Adesso spiega: “A domanda rispondevo”. Ancora più sorprendente la motivazione che Marmo fornisce sulla scelta di parlare in modo così tardivo: “Non ho parlato prima perché non me l’avete mai chiesto”. Qui è fuori discussione che l’ex pm non dica la verità: sicuramente è stato interpellato da Ambrogio Crespi, per il bel documentario girato solo un anno fa sulla vita del padre di Portobello. All’epoca non rispose.

Ciò detto, però, è la prima volta a memoria d’uomo che un pm chiede scusa per una sua requisitoria: deve essergli costato molto, e gliene va dato atto. Saluterei questo ravvedimento con un brindisi e additerei Marmo ad esempio se accompagnasse la sua intervista con un gesto penitenziale: la rinuncia al ruolo di assessore alla legalità. Solo questa scelta, infatti trasformerebbe tutta la sua autodifesa in un scelta indubitabilmente disinteressata.

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