“La mia lotta”, uno strano caso letterario norvegese

“La mia lotta”, uno strano caso letterario norvegese

Dal 2009 al 2011 Karl Ove Knausgård ha pubblicato sei libri. Tre nel 2009, due nel 2010 e un ultimo nel 2011. Sei pezzi, lunghi in totale più di 3500 pagine, di un’unica storia: quella della sua normalissima vita. La mia lotta (Min Kamp in norvegese) racconta episodi, momenti, scene della vita dello scrittore dall’infanzia fino al 2011, senza nessuna pretesa di costruire una trama. Knausgård racconta quello che gli è successo e come si è sentito in quei momenti. Tra rarissimi eventi importanti e tantissimi momenti normali (sul New Yorker, ad esempio, c’è un estratto del racconto della festa di compleanno del figlio). E il libro, in Norvegia, è diventato un sorprendente bestseller.

In un’intervista a Paris Review, Knausgård racconta come è nato questo progetto: «quando ho cominciato a scrivere La mia lotta ero estremamente frustrato dalla mia vita e dalla mia scrittura. Volevo scrivere qualcosa di maestoso e grandioso, qualcosa come l’Amleto o come Moby Dick, ma mi trovavo con questa piccola vita, stare dietro ai bambini, cambiare i pannolini, discutere con mia moglie, incapace di scrivere qualsiasi cosa. Così ho iniziato a scrivere di quello. Durante quel processo, ho capito che funzionava, non mi piaceva ma era comunque qualcosa, non era nulla. Se leggi Hölderlin o Celan e ammiri la loro scrittura, è piena di vergogna. Scrivere di pannolini vuol dire essere completamente senza dignità. Ma poi, quello è diventato il punto. Quello era tutto il punto. Non cercare di andare altrove. Dire le cose come stanno».

Knausgård ha scritto della sua vita senza nascondere nulla, con una sincerità tanto totale da avergli causato dei problemi. La ex-moglie, la giornalista Helen Aursland, l’ha criticato duramente e realizzato un documentario radiofonico in cui racconta la sua versione dei fatti. La sua attuale moglie, che soffre di disturbo bipolare, è ricaduta in depressione dopo aver letto il primo libro de La mia lotte. La famiglia del padre ha interrotto i rapporti con lui e lo zio ha chiesto che il suo nome fosse rimosso dal libro, dicendo alla stampa che Knausgård è solo alla ricerca di «fama e soldi». In parte, Knausgård stesso ammette che con La mia lotta ha fatto una specie di patto col diavolo. In un’intervista radiofonica dice: «ho venduto la mia anima al diavolo. È così che mi sento, perché in cambio ho ottenuto un grande successo». La ex-moglie, durante la stessa intervista, dice «[Knausgård] ha fatto una scelta molto chiara, il suo libro è più importante di avere una buona relazione con la sua famiglia e una più importante di avere una relazione lavorativa sana con la sua ex».

E nonostante tutto, nonostante le difficoltà dell’autore, nonostante la mole del libro e soprattutto nonostante la normalità quasi banale del contenuto, La mia lotta in Norvegia ha venduto più di 500.000 copie. La Norvegia è un Paese con poco più di 5 milioni di abitanti e uno su dieci ha letto il libro di Knausgård.

Nonostante La mia lotta possa sembrare la cosa più distante dalla letteratura che ci sia, i critici ne parlano come qualcosa di tutt’altro che noioso. La scrittrice Zadie Smith dice che La mia lotta per lei è «come il crack». Ma, oltre alle qualità letterarie, il motivo del successo in Norvegia ha a che fare anche con la carica innovativa — quasi rivoluzionaria — del lavoro di Knausgård. La cultura luterana scandinava è molto diversa sia dalla nostra, sia da quella statunitense da cui siamo influenzati. E se per noi un libro autobiografico e brutalmente sincero può essere normale, in scandinavia non lo è per nulla. E La mia lotta è stato molto criticato, persino accusato di violare le basilari norme sociali. Alcune aziende hanno istituito dei Knausgård-free days, giorni senza Knausgård, chiedendo ai dipendenti di parlare d’altro durante i loro momenti di pausa e non solo di La mia lotta. Nel gennaio del 2014, un uomo ubriaco è stato arrestato a Malmø per aver dato fuoco all’intera sezione “K” di una libreria. Ha detto alla polizia di averlo fatto perché «Knausgård è il peggiore scrittore del mondo».

Parte del problema ha anche a che fare col titolo del libro, che in originale è volutamente identico a quello della traduzione norvegese del Mein Kampf di Hitler (in italiano di solito ci si riferisce al Main Kampf come a La mia battaglia invece che a La mia lotta). «Una delle lotte nel mio libro è tra le ideologie e la vita quotidiana, e penso che il titolo sia un commento sulla questione», ha detto Knausgård al New York Times. Aggiungendo che la scelta è stata anche ironica, perché il suo libro è totalmente diverso da quello di Hitler, anche se entrambi ruotano attorno al tema della «costruzione di un’identità». L’ultimo dei sei libi di La mia lotta non è ancora stato tradotto né in inglese né in italiano ma chi l’ha letto in norvegese dice che contiene un saggio di più di 400 pagine sul Mein Kampf di Hitler e che si chiude con una riflessione sulla strage di Utøya, avvenuta proprio mentre Knausgård finiva di scrivere, dove Anders Breivik ha ucciso 69 ragazzi. «Il libro finisce lì, in un luogo in cui si scontrano l’astratto che abbiamo sopra di noi e la nostra fisicità terrena», ha detto lo scrittore a Paris Review. «È quello che erano gli omicidi di Breivik. È la stessa cosa che è successa nel periodo nazista, quando Hitler ha imposto un’immagine astratta sopra la realtà fisica del mondo. Questo è quello che mi interessa della vita quotidiana, quando succedono queste cose».

Negli Stati Uniti è appena uscita la traduzione inglese del terzo libro di La mia lotta. In Italia Ponte alle Grazie ha pubblicato i primi due libri in italiano ma l’autore è nel frattempo passato a Feltrinelli, che da ottobre inizierà una nuova traduzione del libro, a opera di Margherita Podestà Heir.

Foto di copertina di Robin Linderborg, pubblicata su Wikipedia sotto licenza Creative Commons 3.0

X