Come interpretare il crollo del Pil del Meridione (-4%) nel 2013 fotografato dall’Istat a inizio giugno? Quali sono le prospettive nei prossimi anni? Pubblichiamo l’analisi sul tema del centro studi Prometeia.
Ad inizio giugno l’Istat ha diffuso i dati provvisori su valore aggiunto e occupazione delle ripartizioni italiane nel 2013. Rispetto a quanto prospettato nell’aggiornamento di maggio di Scenari per le economie locali, le nuove informazioni sono improntate a un maggior ottimismo per il Nord Ovest. Il Pil dell’area, infatti, si è contratto nel 2013 di un modesto 0,6%, meno della metà della media nazionale, mentre le stime Prometeia, pur riconoscendo, al pari di Istat, una performance dell’area migliore di quella delle altre ripartizioni, indicavano una riduzione più intensa. Il contributo maggiore alla relativa tenuta del Nord Ovest proviene dall’andamento dei servizi che hanno registrato un aumento sia nel valore aggiunto che nell’occupazione, a fronte di una riduzione dell’uno e dell’altra nel resto d’Italia.
I nuovi dati, inoltre, rimarcano le criticità del Mezzogiorno con un’enfasi anche maggiore di quanto prospettato da Prometeia in maggio: il Pil dell’area meridionale, infatti, ha registrato nel 2013 un calo del 4 per cento. Pertanto, mentre le altre ripartizioni hanno visto rallentare il ritmo di caduta dell’attività economica nel 2013, un ulteriore peggioramento ha coinvolto il Mezzogiorno, penalizzato da un crollo del valore aggiunto dell’industria (-8,3%) e da una riduzione di quello dei servizi pari al -3,1%, mai così ampia in oltre trent’anni.
A valori reali il Pil del Sudnel 2013 è del 13% inferiore al 2007, mentre per il Centro-Nord il calo è del 7%
Si aggrava, pertanto, il bilancio della crisi per il Mezzogiorno: a valori reali il Pil dell’area nel 2013 è del 13% inferiore ai livelli del 2007, mentre la corrispondente riduzione per il Centro-Nord è contenuta entro il 7 per cento. La debolezza dell’attività si riverbera pesantemente sull’occupazione; per rendersene conto basti pensare che la perdita delle unità di lavoro registrata a livello nazionale negli ultimi sei anni è imputabile per quasi la metà al calo rilevato nelle regioni meridionali.
Se è evidente che la crisi ha intensificato i divari territoriali, può essere interessante offrirne una valutazione di lungo periodo analizzando il Pil pro capite. Un relativo avvicinamento tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord si realizza nei primi anni ’80, quando l’industria del Nord subisce in maniera più pesante i contraccolpi del secondo shock petrolifero, ma nel decennio seguente la distanza torna ad aumentare in maniera significativa. Il massimo storico si raggiunge a metà degli anni ’90 quando le regioni del Nord, più internazionalizzate, traggono un maggior beneficio dall’export, incoraggiato dalla svalutazione della lira; negli stessi anni – con la fine dell’intervento straordinario e la revisione del sistema degli aiuti sulla base dei criteri comunitari – cambiano, inoltre, le politiche di sostegno all’economia meridionale.
A partire dalla seconda metà degli anni ’90 si assiste ad un nuovo recupero del differenziale tra le due aree: solo inizialmente esso è dovuto a una crescita dell’attività più consistente al Sud, ma tra il 2000 e il 2009 il Pil del Mezzogiorno torna a presentare una dinamica peggiore di quella del Centro-Nord e la riduzione dei divari è piuttosto da imputare alla dinamica demografica, più vivace al Centro-Nord, a seguito della ripresa dei flussi migratori interni al paese oltre che da quelli dall’estero. Sebbene tali tendenze demografiche proseguano anche tra il 2009 e il 2013, la forbice tra Mezzogiorno e Centro-Nord mostra un nuovo ampliamento che i dati Istat recentemente diffusi non fanno altro che confermare, riposizionando l’indicatore nel 2013 sui livelli registrati a metà degli anni ’90.
Le informazioni congiunturali disponibili per il 2014 continuano a concentrare al Sud le maggiori difficoltà di ripresa
Le informazioni congiunturali disponibili per l’anno in corso sotto vari profili (produzione industriale, export, occupazione,…) continuano a concentrare nell’area meridionale le maggiori difficoltà di ripresa, indicando una prosecuzione delle tendenze in atto. L’assenza di segnali che lascino intravedere un’inversione di rotta, pertanto, contribuisce a delineare uno scenario caratterizzato da un irrobustimento delle disparità territoriali. Nella prospettiva di una lenta uscita dalla crisi dell’economia italiana trainata dai mercati esteri, infatti, un Mezzogiorno strutturalmente più debole e meno internazionalizzato stenta ancor più del resto del paese ad avviare la ripresa.