L’Argentina è sospesa fra i gol di Messi e il fallimento economico, fra papa Francesco e Cristina Kirchner, mentre su tutta la scena aleggiano i “fondi avvoltoi”, la finanza cattiva per eccellenza che non ha accettato la ristrutturazione del debito del Paese sudamericano avvenuta dopo la crisi del 2001. In realtà molti creditori hanno sottoscritto l’accordo con l’Argentina, ma gli hedge fund, appunto, si sono rifiutati e hanno messo sotto assedio Buenos Aires con una richiesta di denaro di proporzioni tali da portare il Paese a un passo dall’insolvenza, e quindi al default. È dunque una strana e difficile partita quella che si sta giocando fra Argentina e Stati Uniti in questa fine giugno e rischia pure di finire male. Lo scontro potrebbe diventare globale per ragioni finanziarie e non solo: a Roma c’è un Papa argentino che più volte ha mosso pesanti accuse al mondo finanziario, colpevole, secondo Bergoglio, di operare in modo rapace e speculativo sui mercati con l’unico risultato di incrementare la povertà dei Paesi più poveri e soprattutto di non creare lavoro. Un Papa contestato, non a caso, da testate giornalistiche come Forbes o The Economist che, al contrario, credono nelle virtù progressive del libero mercato.
Francesco il marxista, il leninista, l’obamiano è stato definito, ma fra poco di certo diventerà Francesco il sudamericano e l’argentino se la crisi in cui versa il suo Paese diventerà davvero il paradigma dello scontro fra una nazione indebitata e la grande finanza internazionale. Anche per questo in Vaticano stanno seguendo passo-passo l’evolversi della crisi che ha una data di scadenza ormai prossima: il 30 giugno.
Ma andiamo con ordine. «Durante la crisi economica del 2001 — riassumeva l’Osservatore Romano — l’Argentina aveva dichiarato default su cento miliardi di debito. Nel 2005 e nel 2010 aveva offerto ai suoi creditori nuovi titoli scontati in cambio delle vecchie obbligazioni: la maggior parte degli investitori aveva accettato lo scambio, ma alcuni fondi non avevano ceduto». I cosiddetti hedge fund, in sostanza, non accettavano l’accordo sul debito argentino e quindi non ammettevano riduzioni. Ne è nata una battaglia legale che è prima finita davanti a una corte federale di New York, dove il giudice Thomas Griesa ha dato ragione agli hedge fund, poi, su ricorso argentino, si è pronunciata la Corte Suprema degli Stati Uniti, la quale però ha confermato la prima sentenza «stabilendo che Buenos Aires non potrà pagare gli oneri sul nuovo debito a nessun creditore se prima non rispetterà anche i debiti nei confronti dei creditori dissidenti, perché altrimenti violerebbe i suoi obblighi di uguale trattamento degli investitori». Insomma il governo di Crstina Kirchner deve pagare prima gli hedge fund, ma la realtà è che l’Argentina non è in grado di versare le enormi somme richieste. Per questo il governo ha prima chiesto una sospensione della sentenza, quindi ha proceduto a versare 539 milioni di dollari a quei creditori che però avevano aderito all’accordo sul debito, non quindi ai cosiddetti fondi avvoltoi. Una mossa respinta dal tribunale federale americano che anzi ha bloccato la somma, mentre il ministro dell’Economia argentino Axel Kicillof ha continuato a fare la spola fra Buenos Aires e New York per cercare di aprire un nuovo negoziato prima che arrivi la data ultimativa del 30 giugno quando, se Buenos Aires non avrà pagato gli hedge fund, sarà costretta a dichiarare il defalult, cioè l’insolvenza. Secondo le Nazioni Unite una simile conclusione avrà ripercussioni gravi sui mercati internazionali.
È su questo sfondo di problemi che quando alla fine di marzo il presidente Obama e il segretario di Stato John Kerry vennero ricevuti in Vaticano, si parlò di un impegno preso dall’amministrazione americana con il papa circa il pagamento del debito argentino. E in effetti si attendeva un intervento in materia della Casa Bianca che è stata però anticipata dalla decisione della Corte Suprema. La conferenza episcopale argentina ha chiesto in questi giorni a governo e opposizione di lavorare uniti per risolvere la questione e ha condannato, usando le parole del Papa, la speculazione finanziaria. Il presidente della Commissione per la pastorale sociale, il vescovo Jorge Lozano, ha ricordato inoltre che «il capitale economico non deve orientarsi verso la speculazione finanziaria, ma deve creare posti di lavoro dignitosi». Soprattutto, però, va ricordato che lo scorso 17 giugno, il papa si era espresso in questi termini nel corso di un convegno in Vaticano: «Non possiamo tollerare più a lungo che i mercati finanziari governino le sorti dei popoli piuttosto che servirne i bisogni, o che pochi prosperino ricorrendo alla speculazione finanziaria mentre molti ne subiscono pesantemente le conseguenze».
Le parole del Papa sono immediatamente state fatte proprie dal governo argentino. Del resto, se si arriverà al default il prossimo 30 giugno, cioè se non verrà raggiunto alcun tipo di accordo, sarà ben difficile che il Papa rimanga in silenzio. Già diversi Paesi dell’America Latina stanno prendendo le parti dell’Argentina contro la speculazione finanziaria anche per le ripercussioni che il crollo finanziario di Buenos Aires avrebbe sull’intera area. Un evento del genere riaprirebbe con ogni probabilità un solco fra Stati Uniti e Sudamerica riproponendo una contrapposizione ideologica che sembrava in parte superata. In questo clima si negozierà fino all’ultimo per trovare una soluzione che consenta a Crstina Kirchner di salvarsi, almeno un po’, di fronte al suo Paese e al suo popolo, ed evitare una crisi le cui conseguenze potrebbero avere echi forti sui mercati finanziari di tutto il mondo.