«Ottimo documento, l’Italia ha dettato contenuti e metodo». Sandro Gozi, sottosegretario agli Affari Europei, riassume così la soddisfazione del governo di Matteo Renzi per la bozza di «dichiarazione dei capi di Stato e di governo del Consiglio europeo» preparata dallo stesso presidente Herman Van Rompuy. Una soddisfazione che vuol dire – per Renzi, come per gli altri leader della famiglia socialista ritrovatisi sabato a Parigi – una cosa sola: davvero per Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione europea non ci sono più ostacoli. Il documento di Van Rompuy, la cui bozza è ampiamente circolata a Bruxelles in queste ore, in effetti contiene molte della parole chiave care a Renzi ma anche a François Hollande: «la disoccupazione è la più grande delle nostre preoccupazioni», e «le diseguaglianze crescono». Contiene la parola magica «flessibilità» quando si cita il Patto di stabilità e crescita, e la formula: «l’Europa ha bisogno di coraggiosi passi per aumentare gli investimenti, creare posti di lavoro e incoraggiare le riforme per la competitività». Non manca il riferimento, anche questo caro a Roma, al cuneo fiscale, come anche altri concetti come l’urgenza di completare il mercato unico dell’energia. O anche la necessità di «risposte comuni» sul fronte dell’immigrazione.
Ce n’è abbastanza, insomma (a meno di improbabili stravolgimenti della bozza all’ultima ora) perché il premier italiano e gli altri leader della famiglia socialista possano dire che sono state soddisfatte le condizioni principali per il sì a Juncker, visto che questa dichiarazione preparata da Van Rompuy e presentata come dichiarazione dei 28 leader dovrà fare da «copione» per l’azione del nuovo presidente della Commissione.
Certo è che a Bruxelles ormai nessuno mette più in dubbio la nomina di Juncker alla presidenza della Commissione europea. Si è insomma questa volta consolidato lo scenario che si era già prospettato la scorsa settimana, dopo i dubbi iniziali dei giorni precedenti. Un editoriale del Financial Times, firmato da Wolfgang Münchau, parla di «Merkel contro Renzi». In realtà, spiegano molti diplomatici a Bruxelles, è meno di quanto sembra. Renzi e Merkel hanno trovato in qualche modo una via comune: stop alle discussioni sulle modifiche del Patto di stabilità, ma insistenza sulle flessibilità già esistenti, che potrebbero ampliare i margini di manovra italiani, se Berlino accetterà che Juncker al Berlaymont si mostri più indulgente con le esigenze italiane (e francesi). Non a caso proprio questo lunedì da Berlino sono giunte parole ampiamente concilianti: «il Patto di stabilità e crescita – ha detto il portavoce della cancelliera, Steffen Seibert – prevede possibilità di un’attuazione flessibile per singoli casi». Naturalmente il tutto mantenendo il rispetto delle regole, cosa condivisa (almeno a parole) anche da Renzi e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
La quadra, insomma, si sta trovando – anche se poi, naturalmente, bisognerà vedere che succede quando si tratterà di metterla in pratica. Là le scintille ci saranno eccome. Certo è che chi è all’angolo è ormai sempre più il premier britannico David Cameron, che ha ben capito di aver perso la partita per fermare Juncker. Stando al Financial Times, Cameron si è sentito in sostanza tradito da Germania e Italia, che avrebbero espresso in privato dubbi su Juncker, ma in pubblico si sarebbero espressi in modo del tutto diverso – soprattutto la cancelliera Merkel, che pubblicamente ha continuato a sostenere il lussemburghese. Anche svedesi e olandesi, che all’inizio avevano mostrato sintonia con il britannico, sono andati via via ammorbidendosi fino, praticamente, a far sapere a Downing Street di non sentirsela di mettersi contro Berlino. Altro duro colpo per Cameron, il sostanziale endorsement per Juncker arrivato anche dai leader socialisti sabato a Parigi.
Di qui la decisione del premier di Londra di arrivare almeno a una sorta di show down, la «resa dei conti finali», con la richiesta, ribadita anche questo lunedì a Londra a Van Rompuy, di andare al voto a maggioranza qualificata sulla nomina (come previsto dal trattato di Lisbona). «Cameron – spiega una fonte Ue a Bruxelles – vuole che sia registrato nero su bianco il suo no a Juncker, per poter dire di aver lottato fino all’ultimo». Per una volta, non è una mossa stupida: i principali partner di Londra, a cominciare dai tedeschi, volevano evitare di arrivare a dover mettere in minoranza un grande Paese Ue, e speravano – soprattutto la Merkel – di trovare una forma di consenso. Non a caso a Bruxelles si sente dire con insistenza che la leader tedesca sia molto irritata per l’atteggiamento intransigente di Cameron, nonostante lei lo abbia più volte invitato a cercare uno «spirito europeo». «Molte cancellerie europee – ha commentato una fonte Ue – sono sconvolte dall’atteggiamento di Cameron pronto a creare un grande clamore a Bruxelles pur di soddisfare esigenze di pura politica interna».
Secondo il Times di Londra, comunque, a Bruxelles si starebbe cercando il modo per attenuare l’immagine dello scontro frontale degli altri leader contro Cameron – non tanto per lui, quanto per l’immagine stessa dell’Ue. Le stesse nomine potrebbero essere uno strumento. Perché oltre al presidente della Commissione, sono aperte anche quella di presidente del Consiglio europeo (Van Rompuy è anche lui in scadenza), presidente dell’Eurogruppo, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue. Ricorre – non è chiaro con quanta credibilità – il nome di Tony Blair per il posto di Van Rompuy, anche se per questa carica rimane in lizza un nome (peraltro gradito anche a Londra): quello dell’attuale premier danese Helle Thorning-Schmidt. Altro possibile “contentino” a Londra sarebbe quello di un importante portafoglio economico alla Commissione – si parla di Mercato interno o Concorrenza. Sono in molti i governi, comunque, che vorrebbero chiudere l’intera partita nomine – e non solo quella della presidenza della Commissione – al summit di questo giovedì e venerdì.