Questo pezzo è dedicato con affetto a tutti i complottisti di ogni fede e appartenenza. I complottisti sono convinti che le scelte politiche non sono tanto il frutto del meccanismo democratico di rappresentanza (voto per un partito e/o un candidato, vedo che cosa combina, decido se rieleggerlo), quanto di accordi sottobanco tra i politici e le famigerate “lobby”, cioè individui che rappresentano gli interessi di specifici gruppi di individui, imprese e/o associazioni.
L’interpretazione benigna dell’attività di lobbying è che i lobbisti sono abili individui capaci di fornire informazioni necessarie ai politici che devono decidere: questo trasferimento di informazioni migliora la qualità delle decisioni prese. Tanto per fare un esempio: il lobbista del settore X conosce per bene come funziona il settore suddetto, e dunque –fornendo informazioni ai politici che devono decidere come eventualmente regolamentarlo – ottiene l’effetto di evitare disastri normativi, cioè regole stupide e/o controproducenti.
Ma ecco l’interpretazione maligna: il lobbista ottiene buoni risultati semplicemente in quanto conosce le persone giuste, cioè i rappresentanti parlamentari che si occupano del tema. Anzi: capita spesso che il lobbista abbia lavorato per un certo deputato e senatore, e che a un certo punto si sia buttato nel settore privato diventando un lobbista. Negli Usa la facilità del passaggio dal lavoro politico al lavoro di lobby -e viceversa- viene descritto con il termine piuttosto efficace di “porte girevoli” (revolving doors). Finché il tuo ex-principale rimane senatore o deputato e fa parte di commissioni parlamentari importanti, tutto bene.
Che succede invece quando il tuo ex-principale per varie ragioni smette di essere parlamentare? Se vale l’interpretazione benigna dell’attività di lobbying, il lobbista in questione non dovrebbe risentirne granché, mentre sono volatili per diabetici (prendendo a prestito un’efficace -seppur colorita- espressione di Lino Banfi) se il meccanismo in gioco è il secondo.
Un bell’articolo di Blanes i Vidal e coautori consiste in un’analisi empirica della faccenda, focalizzata sui membri del Congresso Usa. Il risultato principale è che i lobbisti che hanno lavorato nello staff di un senatore guadagnano sistematicamente di più di chi non ha questo tipo di connessioni, specialmente se il il senatore in questione è membro dei comitati più importanti.
Ma il risultato principale ottenuto dai tre autori è un altro: quando il senatore si ritira o non viene rieletto o passa a miglior vita, i ricavi del lobbista connesso a quel senatore calano di un quarto, cioè intorno a 182.000 dollari in meno. E valgono risultati simili per i membri della Camera dei Rappresentanti.
Parafrasando Andreotti: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Coi dati ci si azzecca di più e si pecca di meno.
Ringrazio l’amico Francesco Trebbi per avermi suggerito questo pezzo per #unpapertiralaltro
Per chi vuole saperne di più:
Jordi Blanes i Vidal, Mirko Draca e Christian Fons-Rosen [2012]. “Revolving Door Lobbyists” American Economic Review, 102: 3731-3748. Disponibile qui