Di solito mia idea di “divertimento” non prevede di stare accucciato dietro un carrello elevatore per circa cinque minuti, e in effetti in questo momento non sono assolutamente divertito, anzi, sono spaventato a morte. Perché io abbia scelto volontariamente di farmi spaventare a morte non lo so, a dire il vero non è stata una scelta, consapevole, io volevo solo provare un videogioco ambientato in uno dei miei film preferiti: Alien.
Alien: Isolation è in effetti proprio questo, un gioco che sceglie di ispirarsi al primo capitolo della saga e non al secondo, come hanno fatto quasi tutti i giochi a tema xenomorfo, che è un po’ come scegliere di fare uno sparatutto sulla Prima guerra mondiale invece che sulla seconda. Il paragone è in effetti totalmente sensato, perché Alien: Isolation è una guerra di trincea, una lunghissima partita a nascondino con l’alieno in cui bisogna avere pazienza e po’ di fortuna.
Il nome d’altronde dice tutto, nel gioco non ci sarà nessun esercito di marine, nessun epico conflitto a fuoco, nessuna cavalleria dell’ultimo momento. Ci siete solo voi, l’unica arma che avete è un rilevatore di movimento, e siete totalmente soli. A dire il vero, qualche arma l’avrete, ma funzionerà solo contro robot e umani, non sperate di fare come Vasquez e Hicks, perché quello è un altro film, e voi non siete un soldato. Vestiremo infatti i panni della figlia di Ellen Ripley, Amanda, (che viene mostrata anche in alcune scene tagliate di Aliens) impegnata a scoprire cosa è successo a sua madre.
Alien: Isolation è un gioco che riesce a spaventarti, e tanto, utilizzando gli stessi trucchi del primo film. Silenzio, ombre, scarsa illuminazione e una minaccia costante ma raramente visibile per intero, che ringhia, soffia, sbuffa e si muove in giro per i condotti di areazione. Ed è proprio nella caratterizzazione dell’alieno, oltre che in un ambiente che riprende la fantascienza “sporca” e realistica degli anni Ottanta, che si gioca tutto Alien: Isolation.
La creatura non segue infatti nessun tipo di azione predeterminata, la sua intelligenza è stata programmata per cacciarci utilizzando vista, suono e olfatto. Il suo comportamento è gestito attraverso complessi algoritmi che sono programmati per sbloccarsi via via che la sua strada si incrocia con quella del giocatore, per dare l’impressione che l’alieno impari dai propri errori e adatti il proprio stile di caccia al nostro comportamento. Questo prevede che col tempo l’alieno si metterà anche ad analizzare i segni del vostro passaggio. Ad esempio, se vede un armadietto o un condotto aperto, si metterà alla ricerca di chi lo ha aperto, magari mentre voi siete a pochi metri di distanza, accucciati dietro un carrello, proprio come sono io in questo momento, mentre cerco di capire le sue intenzioni.
Pur non parlando infatti lo xenomorfo emette dei suoni che possono farci capire il suo stato d’animo. Un grugnito può voler dire che qualcosa lo ha incuriosito, un soffio che è arrabbiato perché ha preso la traccia, se invece urla e viene verso di voi… be’ ci siamo capiti.
In tutto questo, l’unica cosa che potete fare è camminare molto piano, chinarvi e correre, ma fatelo solo se strettamente necessario perché di sicuro non siete più veloci di lui. Per capire dove si trova potrete utilizzare il rilevatore di movimento, praticamente un comprimario del gioco, e una torcia. Farlo però potrebbe farvi scoprire, perché il rilevatore emette dei bip, così come un fascio di luce potrebbe attirarlo.
Addirittura, in alcuni casi potremo premere un bottone per trattenere il fiato, così da non essere scoperti nel caso fosse veramente molto, molto vicino. L’importante è che vi ricordiate di respirare voi (io un paio di volte mi sono accorto che stavo per svenire).
Altro fatto interessante è che, per aumentare ancora di più il realismo, sullo schermo non comparirà alcuna informazione, le informazioni che vi servono dovrete ricavarle guardando gli oggetti (ad esempio impugnando il rilevatore di movimento). Il problema è che guardando loro non vi guardate intorno, quindi rischiare di non notare quella strana forma che si avvicina nell’ombra.
La demo provata all’E3 di Los Angeles, la più importante manifestazione mondiale legata ai videogiochi, era fondamentalmente una scatola in cui bisognava andare dal punto A al punto B senza farsi scoprire, ma è stata più che sufficiente per farci rimpiangere l’idea di aver voluto provare il gioco. Alien: Isolation è semplicemente terrificante, di un terrore reale, che ti fa drizzare i peli sulle braccia anche se sei nella comodità di casa tua e non in un’astronave, solo che è così bello da vedere per chi ama la saga che si finisce per giocarci comunque.
La sua bellezza sta nel farci capire il potenziale di una licenza quando viene sfruttata bene: con Alien: Isolation non vediamo la paura di Amanda (e di conseguenza quella di sua madre), noi la viviamo in prima persona. Il suo respiro è il nostro respiro, siamo noi quelli nascosti sotto la scrivania col cuore che batte a mille, siamo noi a camminare per ambienti scarsamente illuminati che ricordano la Nostromo, siamo noi che viviamo la storia e la facciamo in parte nostra, decidendo di andare in quel condotto piuttosto che passare per le cucine. È cinema che si fa videogioco, è videogioco che si fa cinema.
L’unica speranza è che il gioco finale sappia anche alternare momenti meno intensi, altrimenti nell’edizione speciale faranno bene a mettere una scatola di calmanti.