Se ci pensate, alla fine di questa tormentata agonia della Nazionale ci sono le traiettorie opposte di due uomini che lasciano impressa la traccia della loro diversa caratura nel Mondiale. Adesso, per piacere, non parlate più del morso di Suarez sulla spalla di Chiellini, c’era – ovvio – ma non è questo il punto. Adesso, per cortesia, non dite nulla sull’espulsione di Marchisio: era ingiusta – è vero – ma il problema non è lì. Per carità, non mettetevi a discutere sulle mattane dell’arbitro Rodriguez, non evocate lo spettro grottesco dell’arbitro Moreno, che ormai è diventato una utilissima maschera letteraria: ce lo ricordiamo –ovvio – ma stavolta non c’entra nulla, è solo il nostro alibi ideale e ricorrente per giustificare le disfatte, il sempiterno vittimismo nazionale.
In fondo, siccome sono i campioni che raccontano le storie con i loro corpi e le loro scelte, basterebbe incrociare le storie divergenti e opposte di Mario Balotelli e di Gigi Buffon per capire di più: da un lato il campioncino sempre immaturo che manca tutti gli appuntamenti decisivi con la storia, dall’altro il veterano indomabile che malgrado l’età (e l’infortunio) si congeda dal Mondiale con una prestazione superba e cristallina, una doppia parata istintiva da cineteca e un riflesso felino con l’avambraccio che salva il risultato.
Buffon consolato da Prandelli al termine di Italia-Uruguay (YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images)
La differenza tra Balotelli e Buffon, ieri non era il colore della pelle, ma piuttosto la forza del cuore, quella passione che Gigi comunicava platealmente, negli ultimi minuti, in quel tentativo disperato di gettarsi all’attacco, di provare persino di fare goal di testa. Che cosa avremmo gridato, dal Nord al Sud, nelle strade di tutta Italia, se a Buffon fosse riuscita l’impresa rara di essere il primo portiere goleador del mondiale brasiliano. Eppure, a ben vedere, anche in questo chiasmo, il centravanti che guarda imbronciato dalla panchina, il portiere che prova a supplire con il cuore alle carenze dei marcatori c’è la chiave di questo mundial balordo, con due tiri in porta in centottanta minuti.
Che storia anche quel finale di partita amatissimo che vedrei bene raccontato bene in un film epico alla Oliver Stone, Balotelli con le cuffiette sul torpedone, incurante mentre Pirlo pronuncia il suo discorso di addio alla Nazionale. Il giovane avventato e il senatore che scalda i cuori anche nell’ora più dura. Non so se sia vero che Buffon era insieme a De Rossi e Pirlo tra i “senatori” che hanno chiesto a Prandelli di tenere nello spogliatoio Balotelli, ma se avessi potuto essere lì avrei fatto lo stesso.
Balotelli nel fallo su Alvaro Pereira che gli è valso il cartellino giallo (YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images)
Per piacere, non dite che l’Uruguay non ha mai attaccato, perché altrimenti come avrebbe potuto, Buffon, compiere quel doppio miracolo? La verità, sempre difficile da metabolizzare, è che in questa sconfitta non c’è solo la disfatta di una squadra, ma anche la fotografia di una nazione, dei suoi difetti fatali, del suo difficile ricambio generazionale: se la nuova Italia è quella di Balotelli, datemi la maglia granata del Buffon che corre all’attacco. Si può perdere, certo: ma con la schiena dritta è un conto, con le cuffiette è un altro. Buffon ha perso una partita, Balotelli ha perso se stesso.