A distanza di quattro anni dalle “Primavere arabe”, dopo un processo di Restaurazione in molti Stati e mentre infuria lo scontro (pretestuoso in buona parte) tra sunniti e sciiti, quali sono le prospettive nel futuro prossimo per il Medio Oriente conteso da Iran e sauditi? Quali sono le prospettive di un Medio Oriente in cui è appena stata proclamata la nascita del nuovo Califfato? Abbiamo intervistato Claudio Neri, direttore scientifico dell’Istituto italiano di studi strategici ed esperto di geopolitica.
Dottor Neri, in queste ultime settimane al centro dell’attenzione c’è stata la situazione in Iraq con l’avanzata dell’Isis: la recente proclamazione del Califfato nella regione a cavallo tra Siria e Iraq che importanza reale ha?
Si tratta di una mossa di marketing dell’Isis, non penso abbia molto rilievo. Quel che conta sono i rapporti di forza sul territorio. Nel corso degli ultimi anni in Iraq, specialmente tra il 2004 e il 2009, sono stati proclamati califfati innumerevoli volte, si tratta di operazioni di comunicazione che di per sé non hanno una reale importanza. Più interessante è capire la portata di questo accordo tra Isis (Stato islamico della Siria e dell’Iraq) e Al Nusra (gruppo qaedista siriano, ndr) se riguarda per intero il secondo gruppo o solamente la sua fazione attiva al confine con l’Iraq, se abbia natura strategica di lungo respiro o tattica di breve. Per ora il giudizio rimane sospeso, ma se effettivamente l’Isis avesse raggiunto un accordo ampio con l’intero gruppo Al Nusra si potrebbe dire che l’Isis ha sostituito, o quasi, Al Qaeda come gruppo di riferimento per il fanatismo islamico sunnita. Già ora si può comunque dire che l’Isis è diventato un attore rilevante nella galassia del terrorismo jihadista, anche se va ricordato che dopo il primo decennio degli anni Duemila questa galassia è stata notevolmente indebolita.
Alla costante avanzata dell’Isis in Iraq ha fatto seguito una riapertura del dialogo tra Stati Uniti e Iran sugli equilibri nell’area. Possibile che questa situazione di caos a Baghdad porti un vantaggio a Teheran nella trattativa con gli Usa?
Fin dall’inizio della trattativa Usa-Iran il problema per Obama e Rohani è stato far capire ai rispettivi apparati la bontà di un accordo. Ora, grazie al caos creato dall’avanzata dell’Isis in Iraq, hanno un’ottima carta da spendere sui rispettivi tavoli. L’Iran potrebbe accreditarsi come fattore di ordine e non di caos nella zona e trarne beneficio in termini di riconoscimento del suo ruolo strategico nell’area. Ma, se anche non si raggiungesse un accordo di respiro così ampio tra Teheran e Washington, un qualche patto segreto sarà probabilmente siglato sulla contingenza irachena. Già in passato gli Usa e l’Iran si sono messi d’accordo lontano dai riflettori: è successo per l’Afghanistan a fine anni ’90 e probabilmente era successo già in Iraq nella seconda fase del dopo-invasione americana (nella prima Bush aveva rifiutato di trattare con Teheran, che per risposta aveva finanziato alcune milizie sciite di insorti).
Di fronte all’eventualità di un accordo strategico tra Iran e Stati Uniti, il grande rivale di Teheran e attuale alleato di Washington, l’Arabia Saudita, cosa potrebbe fare?
Riad è in grado di muovere enormi quantità di denaro e sicuramente è in corso una imponente azione di lobbying a tutti i livelli. Anche ipotizzando che un accordo con l’Iran venga trovato – ma in questo la debolezza politica di Obama è un ostacolo – rischierebbe di non sopravvivere alla fine del mandato presidenziale se il futuro inquilino della Casa bianca avesse tra i propri sostenitori la lobby petrolifera saudita o chi, statunitense, dall’intreccio di affari con quella lobby trae il proprio profitto. L’Arabia Saudita poi proseguirà nel finanziamento di vari gruppi terroristi arabi. Non credo che li possa utilizzare direttamente contro gli Usa e l’Occidente, ma per colpire il “nemico vicino” (cioè governi e altri attori mediorientali considerati ostili, ndr) – sicuramente sì.
Gruppi come l’Isis, accreditandosi come nemico comune a Iran, Stati Uniti e molti altri, non rischiano di fare più danni che altro agli interessi di Riad?
Ora come ora l’Isis non dipende dall’Arabia Saudita e Riad non ne ha il controllo (anche se il recente accordo, che pare sia stato raggiunto tra Isis e Al Nusra, potrebbe essere un segnale dell’influenza dei Saud, ndr). Il fatto che la minaccia rappresentata dagli jihadisti iracheni stia avvicinando Usa e Iran è sicuramente un danno per i Saud. Ma nel medio periodo l’Isis in Iraq verrà contenuto e sconfitto e il teatro dove rischia di produrre i danni maggiori sarà la Siria. Se fosse interesse dei guerriglieri – indeboliti e senza le risorse di cui dispongono ora in Iraq – e dei sauditi – che potrebbero finanziare il gruppo per poi usarlo in funzione anti-Assad e non solo – allora un legame si potrebbe creare. Gli Stati Uniti, che formalmente sono ostili ad Assad, avrebbero uno spazio di manovra inferiore rispetto a quello che hanno ora in Iraq.
La Russia ha appena venduto all’Iraq sette aerei Sukhoi, a cui ne seguiranno altri sette. Che ruolo vuole giocare Putin?
La Russia gioca sicuramente il ruolo di venditore di armi, fondamentale per la loro economia. Non è sempre necessario che ci sia dietro un qualche recondito interesse strategico. In questo caso tuttavia si può ipotizzare che Putin abbia ritenuto conveniente per i propri interessi colpire un soggetto, l’Isis, che destabilizza la Siria ed è potenzialmente pericoloso per l’alleato di Mosca, Bashar al Assad. In generale in questo momento a tutte le potenze internazionali conviene che si stabilizzi un minimo l’Iraq. L’Isis ha contro una molteplicità di nemici.
Parlando di Siria e di Iraq, i Curdi si stanno accreditando come una forza di cui tener conto. Hanno respinto l’Isis nel nord dell’Iraq e hanno conquistato la città di Kirkuk, importantissimo centro petrolifero. In Siria oramai da più di un anno controllano i loro territori, respingendo sia i lealisti di Damasco che i fanatici islamici dell’Isis. Speranze di vedere un Kurdistan indipendente? Il leader curdo-iracheno Barzani ha di recente ventilato quest’ipotesi…
Se i curdi iracheni volessero dichiararsi indipendenti adesso potrebbero farlo in qualsiasi momento: sono l’unica entità stabile in un Paese, l’Iraq, che sta cadendo a pezzi. Il punto è che la Turchia – con cui peraltro i curdi iracheni hanno da poco avviato una collaborazione sullo sfruttamento delle risorse petrolifere che bypassa Baghdad – non permetterà mai la nascita di uno Stato indipendente curdo in Iraq, sarebbe troppo destabilizzante e rafforzerebbe le spinte secessioniste dei curdi turchi. Anche gli Stati Uniti potrebbero non vedere di buon occhio la cosa, per tutelare l’alleato turco. A queste condizioni l’indipendenza non conviene forse nemmeno ai curdi, che grazie alla loro “autonomia” formale di fatto già si governano da soli.
La Siria è poi da poco stata oggetto di una serie di attacchi mirati di Israele, come ritorsione per dei colpi di mortaio esplosi contro il territorio israeliano che hanno causato la morte di un quindicenne. C’è il rischio che Tel Aviv venga coinvolta più intensamente nei rivolgimenti in corso nell’area?
Israele non vuole destabilizzare eccessivamente il governo di Damasco, non gli conviene che Assad venga sconfitto da una ribellione così pesantemente infiltrata di elementi legati al fanatismo islamico. D’altro canto vuole evitare che sul territorio siriano si creino delle sacche, dei “paradisi”, per guerriglieri con intenti potenzialmente anti-israeliani (l’Hezbollah libanese, fortemente ostile a Tel Aviv, è uno degli alleati fondamentali di Assad nella guerra in Siria). L’operazione lanciata contro la Siria è una specie di autodifesa preventiva.
Israele ha anche lanciato una vasta operazione contro Hamas in Palestina in risposta al rapimento di tre giovani israeliani. Che prospettive ci sono per la Terra Santa?
In questo momento i Palestinesi sono “abbandonati” dagli Stati mediorientali che in passato li avevano finanziati e armati, ora impegnati su altri fronti. Inoltre le loro capacità militari erano state colpite così duramente da Israele durante gli anni duemila che ora servirà sicuramente del tempo perché le ripristinino. Specularmente Israele non credo compirà azioni militari su vasta scala: da un lato, vista la suddetta situazione di debolezza dei Palestinesi, non ne ha bisogno; dall’altro non ha più la totale copertura dell’alleato americano, irritato anzi per la condotta del governo Netanyahu. La situazione credo rimarrà relativamente calma nel breve periodo, almeno fino a che rimarrà Obama alla Casa Bianca.
PER APPROFONDIRE:
Il caos mediorientale da Bush a Obama. Infografica interattiva