“You”, i videogiochi e i videogiocatori raccontati

“You”, i videogiochi e i videogiocatori raccontati

C’è un famoso detto di Bismark che recita: «meno le persone sanno come vengono fatte le leggi e le salsicce e meglio dormono la notte», ecco la stessa cosa di potrebbe applicare al mondo dei videogiochi, e alle persone che sperano un giorno di lavorare al suo interno.

Questo perché creare un videogioco è un po’ come buttare i pezzi di un aereo da 10.000 metri d’altezza e assemblarli mentre si sta cadendo. È un procedimento difficile e complesso che prevede genio, fatica e sacrifici, non sempre ripagati.

Questo è uno degli aspetti che emergono da You (Edizioni Multiplayer, 14,90 €), libro di Austin Grossmann, uno che di videogiochi ne sa visto che ha collaborato a scrivere titoli come System Shock e Deus Ex, che per chi non lo sapesse sono capolavori che risalgono a rispettivamente a 20 e 14 anni fa.

Ma You non è un libro che parla solo di quanto sia complesso il mondo dei videogiochi, e definirlo così sarebbe riduttivo, è un libro che vuol essere molte cose.

Ambientato nel mondo dell’industria videoludica degli anni Novanta, You vuol essere molte cose: un racconto che mescola tecnologia e mistero, una nostalgica fotografia per trentenni che hanno passato la loro infanzia non solo a giocare, ma a discutere e respirare videogiochi, c’è la storia di chi ha capito che qualcosa stava cambiando, e che aveva in mano qualcosa che gli altri non capivano, un punto di vista sulla domande come “I videogiochi sono arte?”, “Vale più il divertimento puro e semplice o ci vuole anche una bella storia?”, ma più di tutto è un appassionante manifesto affinché i videogiochi, e chi li apprezza, vengano presi con un minimo di serietà, o almeno di legittimità.

Per questo You è un ottimo romanzo non solo per chi ama i videogiochi, ma chi vuole capirne le dinamiche, le passioni e la vita di chi li ama, per chi vuole sapere cosa si prova a interagire con qualcosa che ti trasporta in mondi fantastici, che ti fa passare le ore su un rompicapo, che inizi alle nove di sera, e che alle tre di notte non ti ha ancora stancato.

You è scritto dalla prospettiva di Russel, un quasi trentenne che dopo aver fallito la via degli studi di legge trova lavoro alla Black Arts, una prestigiosa software house fondata da alcuni suoi compagni del liceo, da lui abbandonati anni fa per cercare di diventare un produttivo membro della società.

Sulla Black Arts tuttavia si staglia la sinistra ombra di Simon, geniale programmatore che ha creato la società e tutte le tecnologie che la tengono a galla, salvo poi morire in circostanze misteriose.

Appena arrivato, Russell si trova coinvolto in una serie di vicende che gli chiederanno di prendere il controllo della Black Arts e del suo prossimo titolo, un gioco di ruolo medioevale vastissimo e complesso, dal quale dipendono le sorti della compagnia.

Il principale ostacolo di Russell è uno strano bug, un difetto del gioco, che come una sorta di maledizione secolare sembra far risalire la propria origine a un campo estivo in cui tutti i componenti della Black Arts crearono insieme il loro primo gioco.

Per risolvere il bug, Russel dovrà ripercorrere la storia dei suoi amici e della compagnia, rigiocando a tutti i titoli lanciati nel corso degli anni, in una carrellata che non è altro che un modo per regalare al lettore pillole nostalgia videoludica che passano attraverso giochi e generi che hanno fatto la storia. Da Doom ai giochi di ruolo, dalle avventure grafiche alle simulazioni spaziali.

Questi passaggi sono quelli senza dubbio più ostici per chi non mastica di videogiochi, anche perché mescolano gioco, allegorie, dialoghi interiori, dialoghi con personaggi del gioco che sembrano prendere vita, e possono risultare vagamente confuse in alcuni momenti.

C’è un continuo rimbalzare tra la cruda realtà dello sviluppo di un videogioco e l’affascinante filosofia che sta dietro a un fenomeno che qualche anno fa sembrava solo una buffa nicchia di persone strane, tra mondi fantastici e sessioni di programmazione, il che rende lo stile del libro altalenante.

Da una parte abbiamo bellissimi passaggi dedicati al gioco, ai giocatori e alla filosofia che sta dietro il fenomeno dei videogiochi, dall’altra sprazzi di liste e parti molto tecniche che alla lunga possono annoiare, soprattutto nel finale, quando dovrebbe esserci un crescendo, alcuni passaggi risultano inutilmente iper-dettagliati, forse perché Grossman è abituato a scendere molto a fondo nei videogiochi.

Detto questo You rimane un titolo veramente molto godibile in cui tutti possono trovare qualcosa. Leggetelo per capire perché vostro figlio passe le ore di fronte allo schermo, leggetelo per sentirvi parte di qualcosa leggetelo perché amate il mondo dei videogiochi, e perché non capita spesso che se ne parli così bene.

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