Oggi voglio provare a darvi questa informazione: non ve ne state accorgendo, ma vi stanno rubando dei soldi. Oggi voglio provare ad aprirvi gli occhi: se vi rubano il portafoglio gridate “Al ladro!”, se ci dicono che il vostro tasso di sostituzione è calato di due punti sospirate noncuranti e rispondete: “Pazienza!”. Sbagliato.
Il tasso di sostituzione è il numerino che regolerà la vostra vita del futuro, ammesso che possiate permettervi di andare in pensione. E fino ad oggi era un parametro noto agli uomini della previdenza italiana e agli addetti ai lavori custodito con la stessa segretezza della formula della Coca-Cola. Basti pensare che il sito dell’Inps per anni ha ospitato una finestra di calcolo che permetteva di fare una stima della pensione immettendo l’anno di nascita e la situazione contributiva. Per tutti? Macché. I nati dopo il 1968, i cosiddetti quarantenni di oggi sono da anni una sorta di bomba sociale inesplosa, e bisogna tenerli il più possibile nell’inconsapevolezza.
Nel 2010 i dipendenti andavano in pensione con l’83% del loro stipendio, nel 2040 un dipendente prenderà mediamente il 58% di quello che ha versato
Bene, ieri un velo si è parzialmente squarciato con la diffusione del nuovo rapporto della Ragioneria dello Stato sull’andamento delle prestazioni previdenziali. Ebbene, c’è da mettersi le mani nei capelli, perché stime fino a ieri generiche iniziano a trovare una conferma matematica. Per spiegare quello che sto dicendo basta questa forbice: ancora nel 2010 i lavoratori dipendenti andavano in pensione con l’83% del loro stipendio: nel 2040, ammesso che ci si arrivi con 36 anni di contributi, un dipendente prenderà mediamente il 58% di quello che ha versato. Attenzione: non come in passato, con il sistema retributivo, il 58% di quello che guadagnava. Ma esattamente il 58% di quello che ha versato rivalutato al momento della richiesta di passaggio al trattamento previdenziale. E qui c’è il problema: quanti della generazione che ha meno di mezzo secolo hanno contributi previdenziali regolari? Solo i più fortunati hanno contributi in regola almeno un anno su due: la maggior parte, le vittime dei Cocopro, nemmeno quello.
Se il Pil non cresce secondo le stime calerà ulteriormente l’importo dei trattamenti
A questo terremoto bisogna aggiungere altre due variabili: l’andamento delle retribuzioni e quello del Pil. Il che vuol dire, ovviamente, che se i salari calano, cala anche la pensione dei figli degli anni Settanta. Ma anche – e soprattutto – che se il Pil non cresce secondo le stime calerà ulteriormente l’importo dei trattamenti. Se – per esempio il Pil crescesse solo dell’1 e non dell’1,5, nel 2050 le pensioni della generazione mille euro calerebbero di altri sei punti.
L’ultima domanda, la più importante: quanto ci stanno rubando? La stima in cifre nette è difficile: ma calcolando che l’aspettativa di vita si aggirerà intorno agli 80 anni per gli uomini (e molto di più per le donne) e che si vivrà molto di meno a riposo, il furto di futuro varierà dai cento ai trecentomila euro. Tra poco sarà lecito farsi la domanda: avrà sempre e comunque senso pagarsi i contributi per incassare la metà dei padri, lavorando il doppio?