Porta il nome di un atollo lontano, il bikini, che in lingua marshallese andrebbe pronunciato bìkini, con l’accento davanti. Porta il nome di un atollo e come piccole isole il bikini se ne sta qua e là sul corpo delle bagnanti sin dal cinque di luglio del 1946, quando un ingegnere automobilistico francese, forse stanco di starsene al volante, parcheggiò sulla spiaggia, ritagliò dei triangoli di stoffa e il gioco fu fatto.
BIKINI D’AMERICA
La regina mandò a chiamare il giovane navigatore e quando una regina chiama non ci si può certo perdere in chiacchiere, soprattutto se è quella regina lì, che le chiacchiere evidentemente le voleva tutte per sé.
Araldi, tamburini e trombettieri percorsero il regno fino ai villaggi più lontani e, trovato il giovanotto in qualche taverna, lo issarono in sella a un cavallo e lo condussero a corte, senza nemmeno fermarsi lungo la strada per prendere un caffè.
Aveva voglia di ingrandire il regno, la regina, come tutte le regine mai contenta di tutto ciò che già era in suo possesso. Accolse il giovane navigatore con un sorriso, gli fece portare un ghiacciolo alla menta piperita, fece uscire i giullari, le dame di compagnia e i consiglieri di corte, rinfrescò le corde vocali con un sorso di sangria, quindi cominciò a parlare:
«Le metto a disposizione tre splendide caravelle – esclamò – se mi scoprirà l’America…»
«Vorrà forse dire India, mia regina…» Bofonchiò lui, senza sapere che i reali hanno sempre ragione e anche quando hanno torto non è mai il caso di puntualizzare alcunché.
«India… – Borbottò lei – America… stessa roba. Parta per l’india e mi scopra l’America! Le caravelle sono al porto di Palos de la Frontera.»
«Potrei, in alternativa, andare all’atollo di Bikini?» Propose lui, facendo anche il nome di un tal signor Cristoforo da mandare in America al posto suo.
«Che roba è questo bikini?!» Sussultò la regina.
«Allora mi circumnavighi il globo terracqueo! – Esclamò – Per questo di caravelle gliene metto a disposizione addirittura cinque!» E indicò con il dito sulla mappa il porto si Sanlucàr de Barrameda.
Lui osservò incuriosito e sbirciò l’itinerario sul mappamondo.
«Non vorrei apparire ripetitivo – sussurrò – ma davvero io preferirei andare all’atollo di Bikini. Una nave sola mi basta. Anche una scialuppa o una canoa…»
La regina lo guardava sorpresa, ma lui continuò:
«C’è quel portoghese – sorrise – il senhor Magalhaes, che non vede l’ora di mettersi in viaggio e farsi il suo bel giretto del mondo… Non voglio certo rubargli il sogno d’una vita…»
«Mandi lui – concluse – che io mi accontento dell’atollo.»
Avendo fatto uscire tutti, la regina non sapeva da chi farsi aiutare, per convincere quell’impertinente giovanotto, quindi suonò il campanello e strillò:
«Guardie! Guardie! Arrestatelo! Acchiappatelo! Impiccatelo! Fategli il solletico sotto i piedi! Mettetegli il dentifricio nelle orecchie! Chiudetelo nelle galere e gettate la chiave!» Ma per impartire tutti questi ordini ci impiegò mezzo minuto, con le guardie sull’attenti, che quando si mossero per ubbidire non trovarono più nessuno e quello se ne era fuggito alla terza sillaba.
Passarono gli anni. Il signor Colombo scoprì l’America e la regina ne fu felice, allevò pappagalli e mangiò cioccolatini e pomodori in insalata, pur con un velo di malinconia nello sguardo.
Passarono altri anni. Senhor Magalhaes fece il giro del mondo e chissà se ce la fece davvero, ma alla regina importava assai poco, che nel suo pensiero tornava ogni tanto l’immagine di quel giovane navigatore, fuggito sul più bello.
Passarono gli anni e, con la regina ormai anziana, a corte si presentò un bell’uomo forte e robusto, abbronzatissimo e con un sorriso da un orecchio all’altro. Era un navigatore ormai non più così giovane nemmeno lui, tornato da non so quale sperduto arcipelago. La regina lo accolse e gli fece servire un brodo di iguana e due olive.
«Le ho portato un dono dal mio viaggio!» Esclamò lui, con deferenza, porgendo alla sovrana un piccolo incarto. Lei sorrise e fece uscire guardie, dame, giocolieri e menestrelli. Una volta soli, non senza un filo di emozione, scartò il pacchetto.
Tra i suoi polpastrelli vi era un succinto e colorato paio di mutande e un reggiseno, altrettanto minuscolo e variopinto.
«Peccato non aver più vent’anni!» Esclamò, chiedendo all’ospite di voltarsi. Poi si svestì del mantello e dell’abito e si infilò quei due pezzetti di stoffa.
«Si dia inizio alle danze! Strillò, battendo le mani – E si dia il bentornato al marchese di Bikini, principe dell’atollo intero!»
Si ballò e si brindò per la notte intera, ma nessuno a corte osò fare un commento al nuovo abbigliamento della regina, tanto piccolo da essere invidiato da ognuno.
L’atollo di Bikini non ha legato il proprio nome solamente a un costume da bagno, ma anche ad alcuni esperimenti che lasciarono tutti con il fiato sospeso. Proprio lì, infatti, subito dopo la seconda guerra mondiale e per più di un decennio, furono sperimentati gli effetti di esplosioni nucleari, come la terribile bomba a idrogeno. Ovviamente gli abitanti furono forzatamente trasferiti altrove e solo alla fine del millennio la zona fu dichiarata nuovamente abitabile, ma tutt’ora nessuno vi è tornato. Da qualche anno l’atollo è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità e per fortuna gli echi delle esplosioni sono ormai lontani.
Quale fu la colonna sonora delle estati negli anni in cui il bikini cominciò a riempire le spiagge? Quali musiche riempivano l’aria al suono gracchiante dei juke box? Beh, già dal nome i Beach Boys vincono la gara per distacco, con le loro melodie allegre e romantiche e le atmosfere californiane, a cavallo di un’onda o tra le braccia di qualcuno. Funzionava così, mezzo secolo fa: si trovava una parola con la lettera B e ogni cosa funzionava alla grande, dal bikini ai boys sulla beach.
Hai trovato il costume giusto per la tua estate al mare? Bene! Adesso non ti resta che trovare la spiaggia giusta dove sfoggiarlo. Ecco, questo potrebbe essere un problema maggiore di qualsiasi bikini. A meno che non si navighi – e, visto il mare, è il verbo giusto – sul sito delle spiagge più belle e si scelga l’angolo di mondo che faccia per noi.
Dav Pilkey – Capitan mutanda – Piemme
Non sempre per diventare un supereroe serve un mantello, una forza sovrumana e la capacità di volare. Una sorta di Wonder Woman in bikini ancora non la si è vista, ma Capitan Mutanda sì ed è stato il protagonista di tutta una serie di divertenti libri di fantascienza strampalata. Probabilmente anche per lui, quel paio di mutande non era sufficiente per essere un supereroe, ma era senz’altro il migliore degli inizi, come accade in tutti i bei libri.
Alcuni archeologi e studiosi delle culture antiche sorridono, quando sentono dire che il bikini fu inventato nel 1946. Certo, in quell’anno gli fu dato quel nome, ma dei bei costumi a due pezzi esistevano già qualche secolo prima, per non dire millennio. Se passi per la Sicilia, fa’ in modo di fermarti a Piazza Armerina, più o meno nel centro dell’isola. Lì chiedi indicazioni per la Villa del Casale, che è una villa romana del IV secolo, oggi patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Tra i favolosi mosaici conservati in quel luogo vi si trovano rappresentate alcune ginnaste vestite sai come? Con un paio di slip sotto e un bel reggiseno sopra, non certo bianchi e di pizzo, ma colorati come veri e propri costumi da bagno in tutto uguali ai bikini di oggi, a parte il nome, tanto che nelle guide vengono proprio indicate come fanciulle in bikini. Essendo mosaici, per essere precisi e pignoli, si tratta di ben più di due pezzi, ma di centinaia pezzettini e di tessere colorate, ma qui si entra nella tecnica e nella storia dell’arte e a noi è sufficiente una piscina, una spiaggia o una sedia a sdraio.
Più di trent’anni prima dell’invenzione del bikini, c’era una coppia molto famosa che se ne andava in giro in abiti molto succinti. Non sto parlando di Adamo ed Eva, ma quasi: di Tarzan e Jane, che non vivevano sotto un melo, bensì nella jungla, e non avevano un malefico serpente tra pi piedi, ma una simpatica scimmietta. Per il resto è vero: le due celebri coppie si vestivano più o meno allo stesso modo. Tanto erano balneari gli abiti dei due, che a interpretare il più bel Tarzan del cinema fu un campione olimpico di nuoto: il forzuto Johnny Weissmuller. La bella Maureen o’Sullivan era Jane per tutti e, un po’ come nella moda della spiaggia, cominciò con un costume intero, in pelle di qualche animale, per poi diminuire sempre più le dimensioni dell’abito. E chissà come se lo immaginava, lo scrittore Edgar Burroughs, il vestito dei due, mentre ne tesseva le storie. Ne venne fuori una cosa degna di Penelope: tessi di giorno con sostantivi, verbi e aggettivi e accorcia di notte tagliando il tessuto qua e là.
Non sono pochi i giovanotti del Cinquantasei, che una sera al cinema andarono a vedere il film E Dio creò la donna. Pochi tra loro, però, ne seppero raccontare la trama agli amici e parenti. Capita, a volte, di dimenticare le cose al volo, ma in quel caso un’immagine restava talmente fissa nel cervello, da non lasciar spazio al resto. Era la bella e bionda Brigitte Bardot, attrice protagonista, che si mostrava sullo schermo in splendida forma, sulle spiagge di Saint-Tropez, sfoggiando un succinto bikini sopra e sotto l’ombelico. Capito perché i pensieri dei ragazzi di allora se ne andarono ben oltre la trama del film? Non entrò probabilmente nella storia del cinema, la pellicola con B.B., ma in quella del costume di sicuro, e ancor più in quella dei costumi, dando il via alla moda dello spezzato e poco importa se in poche al mondo avessero le misure, la taglia e il fascino elegante della Bardot: un bikini oggi non lo si nega a nessuno.
Esistono costumi talmente succinti, che pare quasi non esistano per nulla, lo so che lo sai! E la quantità di pelle coperta è sempre variata, nel tempo, non tanto per il caldo e per il freddo, ma a seconda delle mode e delle opportunità. All’inizio del secolo scorso, sulle spiagge degli Stati Uniti, passavano in pattuglia i poliziotti della Beach Police, non certo alla caccia di ladri di salvagente o rapinatori di ombrelloni: il loro compito era verificare la corretta lunghezza dei costumi da bagno, non troppo distanti dal ginocchio, mi raccomando! Oggi viene da ridere, ma allora era così: al posto della pistola quegli sceriffi avevano un righello e, chissà, oltre alla paletta per il traffico, anche il secchiello per i castelli di sabbia…