La rivista statunitense Fast Company racconta le promettenti nuove ricerche e il lavoro delle nuove aziende che stanno creando videogiochi che sostengano la medicina: giochi che potenziano gli effetti dei farmaci, aiutano la diagnosi di malattie o, semplicemente, completano il lavoro fatto dalle medicine. I campi di applicazione più interessanti, al momento, sono quelli psicologici, dall’ADHD (il disturbo da deficit di attenzione/iperattività) alla depressione, dagli attacchi di panico al disturbo post traumatico da stress.
Uno dei primi videogiochi ad aver ottenuto dei risultati misurabili è stato, nel settembre del 2013, Neuroracer. Neuroracer è un videogioco semplicissimo: un gioco di guida in cui il giocatore deve tenere un’automobilina al centro di una strada parecchio tortuosa. La difficoltà aggiunta è che sopra all’auto appaiono dei simboli colorati: un quadrato rosso, un cerchio blu, un triangolo verde e così via. Il giocatore deve premere un pulsante solo quando vede apparire il simbolo che gli è stato indicato prima di iniziare a giocare e mai negli altri casi. Lo studio, guidato dal neuroscienziato Adam Gazzaley dell’università di San Francisco, si è concentrato su persone con più di 60 anni e ha dimostrato che dopo solo 12 ore totali di gioco nel corso di un mese, i partecipanti mostravano miglioramenti nell’abilità nel gestire contemporanea di più attività, nella memoria a breve termine e nella capacità di mantenere l’attenzione per lunghi periodi di tempo, tutte abilità celebrali che di solito peggiorano invece di migliorare quando invecchiamo. Neuroracer non è ancora un prodotto, ma il dottore Gazzaley dice di sperare che giochi come il suo possano essere usati sia come terapia, sia come strumento per individuare i sintomi di malattie degenerative.
E i primi risultati cominciano già a saltare fuori: Akili interactive labs è una società che sviluppa giochi per il settore medico e ha creato un videogame basato sulle stesse premesse di Neuroracer chiamato EVO. Il gioco è pronto per essere pubblicato ma sta venendo testato in studi clinici per verificarne l’efficacia nel trattamento sia dei disturbi da deficit di attenzione nei bambini, sia come strumento per individuare in anticipo i primi segni di Alzheimer negli anziani. Eddie Martucci di Akili, ha detto a Fast Company che «i dottori sono disposti a provare e hanno la mente aperta. Ma se vogliono raccomandare dei giochi ai propri pazienti, hanno bisogno di prove cliniche. Nei prossimi anni vedremo molti studi a riguardo e soluzioni che includono sia medicine sia videogiochi».
Un altro gioco, questo già in commercio, che cerca di aiutare i bambini con un disturbo da deficit dell’attenzione è Plan it commander (Comandante della pianificazione), un videogame che affronta i problemi comportamentali dei bambini, guidandoli attraverso sfide sempre più difficili legate al disturbo di cui soffrono. Tom Aelbrecht, della società che ha sviluppato il gioco, dice che «la terapia a base di medicine per l’ADHD è concentrata principalmente sui sintomi come la concentrazione e l’impulsività. Problemi secondari come la capacità di gestire il tempo e le interazioni sociali non sono affrontabili con le medicine. Abbiamo bisogno di qualcosa che possa affrontare questi problemi — non sostituendo le medicine ma avendo un altro strumento. I bambini sono molto sensibili all’idea di un gioco serio». Plan it commander è stato progettato con la divisione farmaceutica di Johnson & Johnson, sarà sottoposto a test clinici per valutarne l’efficacia e usato come modello di strumento da affiancare alle medicine per la cura di malattie come Alzheimer e schizofrenia.
Un area invece già molto esplorata dei videogiochi come forma di terapia è quella della realtà virtuale. Da alcuni anni si parla e studia l’uso di simulazioni tridimensionali per trattare il disturbo post traumatico da stress. Uno dei casi più noti è Virtual IRAQ, un videogioco creato per i soldati di ritorno dal IRAQ che hanno problemi a gestire eventi shoccanti vissuti in guerra, come attacchi terroristici. I soldati indossano un visore tridimensionale e delle cuffie che li isolano dal mondo esterno e, spesso, sono equipaggiati come se fossero ancora in una zona di guerra, con giubbotto antiproiettile e fucile. Poi, un terapeuta li guida seguendo un trattamento molto efficace del disturbo da stress post traumatico chiamato terapia dell’esposizione, in una simulazione che permette ai soldati di rivivere gli eventi traumatici, di affrontarli e superarli.
Un altro sorprendente esempio è Snow World, un gioco creato dall’università di Washington e usato con successo durante il trattamento di vittime di ustioni. In Snow World il giocatore è un pupazzo di neve che lancia palle di neve in mezzo a un ambiente innevato. I pazienti vengono fatti giocare a Snow World mentre i medici cambiano i bendaggi delle zone ustionate, una procedura molto dolorosa. I risultati mostrano che i pazienti che, oltre agli antidolorifici, giocano a Snow World durante l’operazione, provano molto meno dolore rispetto a quelli che prendono solamente antidolorifici.
La tecnologia necessaria a questi videogiochi fino all’anno scorso era molto costosa e confinata a realtà come gli ospedali o l’esercito, ma l’arrivo di prodotti come Oculus Rift e Project Morpheus di Sony sta cambiando le cose. E possiamo aspettarci che, oltre a una miriade di videogame veri e propri, arriveranno presto nelle nostre case anche le prime applicazioni mediche basate su esperimenti di successo come Virtual IRAQ e Snow World.