Se non avete ancora guardato neanche una puntata di Black Jesus (sono tre) dovreste farlo, fa bene all’anima. In realtà — in quella che definirei l’apoteosi della mia apocrifia — nemmeno io lo conoscevo fino a qualche settimana fa quando, in mezzo a qualche altro show di [Adult Swim], Gerald “Slink” Johnson mi è comparso davanti come un’apparizione. Ho visto la luce, sentito risuonare i cori celesti, si sono stesi di fronte a me i campi Elisi della televisione. No, niente di tutto questo.
Pensavo di sapere cosa aspettarmi dall’idea di un messia nero, che vive in una roulotte a Compton, fuma erba e cammina molleggiato, dando alla definizione di “fratello” tutta un’altra accezione. Soprattutto, pensavo di sapere come un’idea del genere potesse uscire dalla mente di Aaron McGruder, creatore a suo tempo di un’altra piccola chicca afroamericana passata alla storia come The Boondocks . Mi aspettavo la blasfemia, la sovversione dei principi cristiani con certosina passione, dettaglio per dettaglio, saio per saio, senzatetto per senzatetto. Mai avrei creduto che con queste premesse potesse uscirne un prodotto tanto delicato e, devo dire, ben costruito. Gli stereotipi ci sono tutti, piuttosto precisi: Gesù tramuta l’acqua in succo d’uva, cura le ferite da arma da fuoco e crea alibi dal nulla. È immerso nel paradosso e nella provocazione totale, ma non gioca con il ribaltamento religioso. Lo esalta, lo sparge per la stanza e lo lascia ad aleggiare sulle teste dei fedeli spettatori come uno spirito santo di ironia.
C’è una domanda che mi sono sempre fatto, mettendo da parte per un momento l’assurdità della cosa: se davvero ci trovassimo di fronte al messia, lo riconosceremmo o lo tratteremmo come un qualsiasi spostato blaterante e vagamente puzzolente? McGruder, intanto, fissa dei paletti. Se Gesù dovesse mettere piede sulla terra, sarebbe nero e se ne starebbe tra gli ultimi. Sarebbe un senzatetto, con la tendenza all’alcolismo e tutta la buona volontà che occorre in questi casi. E no, nessuno le prenderebbe veramente sul serio. Ben presto si troverebbe a risolvere i piccoli problemi dei suoi compagni vagabondi, piuttosto che prendersi in carico le sorti dell’umanità. Vagherebbe per le strade dei sobborghi e arriverebbe anche lui, prima o poi, a chiedersi cosa ci sta a fare qui. Se poi lo fa con una voce ondulatoria e profonda, infusa di coolness innata, diventa un bello spettacolo ed è più che giusto che vada a finire in televisione e che sia ridotto alla stregua di un intrattenimento per le masse. Anzi, divino.
Ci siamo avventurati abbastanza lungo il sentiero del tutto-è-possibile per parlare, in un caso come questo, di blasfemia. Ma, visto che qualcuno potrebbe sentirsi in qualche modo toccato dall’idea di un Gesù che usa “motherfucker” come intercalare abituale, è bene dare seguito a una piccola riflessione. Non esiste bestemmia più grande di quella pensata ma non espressa. Ecco, se dobbiamo prendere atto di vivere in una società in cui nulla è più sacro di quello che vediamo in Tv, allora Black Jesus è un messaggio celeste, e nessuno dovrebbe aversene a male.
Una decina di anni fa mi ero imbattuto in qualcosa di simile alla lesa maestà guardando un programma geniale, That’s my Bush . C’era di peggio in giro, ma non so perché questa sitcom sull’allora presidente in carica — con tutto il suo enorme bagaglio di gaffe e di motivi per essere sonoramente preso per i fondelli — mi aveva aperto gli occhi sul fatto che non c’è più niente per cui non si possa ridere senza ritegno. E non c’è più nessuno che possa veramente sentirsi offeso. Se veramente il messia dei cristiani è stata la persona alla mano che lasciano intendere, se veramente ha saputo comprendere gli ultimi, avrà senz’altro imparato a capire anche il loro senso dell’umorismo. Pratico, dissacrante, volgare. E non si offenderà se la sua seconda venuta viene dipinta come un fallimento tragicomico, non se la prenderà se verrà messo a confrontarsi con gli spacciatori di meth e i ragazzini col ferro infilato nelle mutande. Perché avrà un suo show in televisione, ed è molto più di quanto chiunque possa sperare, se vuol fare passare un messaggio.
Il personaggio si stacca dal racconto, prende le distanze dal mito e diventa qualcosa di diverso dal reale — anche se qui di “reale” temo ce ne sia pochino. Black Jesus e McGruder hanno l’enorme merito di aver dato una nuova luce a qualcosa di trito e ritrito. Non parlo del messaggio evangelico ma dell’espediente del fare satira ribaltando il sacro. Se l’idea sulle prime sembra ovvia, bisogna vedere come, chi ne ha avuto il coraggio, l’ha messa in pratica. Per tornare a credere, senza ombra di dubbio.