Un’occasione per l’economia italiana, che può generare centinaia di milioni di fatturato. Una mossa rischiosa per ambiente e legalità, che non può produrre risultati da “bacchetta magica”. Due letture opposte della stessa idea: aumentare gli investimenti nel turismo legato al golf. Secondo dati diffusi nel 2013 dalla presidenza del Consiglio al momento attiriamo il 7% dei 3,6 miliardi di giro d’affari connesso al comparto in Europa occidentale. È troppo poco? Come si può crescere? E vale la pena puntare su questo settore?
Le ragioni del sì
Da noi il settore genera 500 milioni di euro l’anno, secondo dati forniti da un consulente della Federazione Italiana Golf e pubblicati su businesspeople.it. La cifra non collima con quelle citate dalla presidenza del Consiglio, che farebbero individuare un fatturato di circa 250 milioni. Va detto però che tra la diffusione dei numeri governativi e quella delle statistiche del consulente è passato oltre un anno, e in questo periodo il giro d’affari nella penisola sarebbe cresciuto con punte sopra il 40% in alcune regioni. La Iagto – associazione globale dell’industria di categoria – dice che oggi l’Italia è la quattordicesima destinazione più importante al mondo (la quarta nei mesi estivi): in testa la Spagna, seguita da Portogallo, Irlanda, Scozia e Turchia. La stessa associazione spiega che negli ultimi due anni le vendite dei tour operator in questo ramo sono aumentate di oltre il 20%, e che il 2014 sarà il terzo anno consecutivo di crescita mondiale. Il mercato sembra inoltre avere un andamento anticiclico, perché anche in Europa, dove la crisi si è sentita di più, la crescita del turismo nel 2013 è stata del 9,4 per cento.
L’associazione internazionale alla fine di ottobre si riunirà per la propria fiera di settore, l’International Golf Travel Market 2014, per la prima volta in Italia, a Villa Erba, a Cernobbio (Como). Gli oltre mille delegati sentiranno parlare del «grande potenziale inespresso dell’Italia», come recita una nota dell’associazione. «Al momento – continua la nota – solo il 45% dei tour operator della Iagto sta vendendo l’Italia come destinazione (il 64% di quelli europei): questo significa che c’è spazio per il 36% di crescita nel prossimo futuro». È per questo che nel 2015, anno dell’Expo, continua l’associazione, «Iagto ha un piano per lanciare l’Italia», con pacchetti speciali per i tour operator.
Toro è un’azienda statunitense di respiro globale, che si occupa di irrigazione e manutenzione di manti erbosi. Marco Cappelli è il “golf irrigation marketing manager” per Europa, Medio Oriente, Africa e Sudamerica. «Quello che sto per dire può sembrare “interessato”, dato il ramo in cui opera la mia società – ammette. – In realtà parlo da italiano infuriato nel vedere il Paese buttare alle ortiche occasioni di sviluppo. Direi le stesse cose, con le informazioni che ho oggi, anche se non lavorassi nel comparto». Secondo Cappelli dovremmo investire di più nel turismo golfistico, e se lo facessimo potremmo avere un fatturato paragonabile a quello di altri Stati mediterranei che si sono mossi in questa direzione. «Penso a Portogallo, Turchia, Marocco. Ancora meglio ha fatto la Spagna, che però ha raggiunto un giro d’affari talmente importante che non riusciremmo a eguagliarlo nemmeno in vent’anni».
I possibili passi
Che questo business interessi al nostro Paese lo ha fatto capire nei mesi scorsi il ministro di settore: Dario Franceschini ha parlato di «alcune regioni, in particolare del Sud, che ampliando l’offerta riusciranno ad attirare nuovi turisti stranieri». Marco Cappelli ricorda che al momento i campi sono concentrati a Nord, dove però il clima può scoraggiare i visitatori. I golfisti si muovono soprattutto in bassa stagione, e naturalmente preferiscono zone soleggiate anche in primavera o autunno. «Questo comparto – sottolinea Cappelli – può consentirci di aumentare l’afflusso su tutto l’arco dell’anno e differenziare rispetto alle vacanze “mordi e fuggi” delle seconde case, che oltretutto portano spesso a costruire sulle coste in modo discutibile».
Se l’Italia volesse percorrere questa strada, chi dovrebbe attivarsi? Cosa dovrebbe fare? E con quali soldi? «I capitali privati ci sono, sia da noi che all’estero», spiega Cappelli. «Serve un intervento pubblico – continua – che crei le condizioni per sbloccarli. In poche parole: pianificazione e regole chiare. Per attirare turisti non basta un campo, ce ne devono essere diversi vicini, per permettere al golfista di spostarsi da uno all’altro durante la vacanza. Governo e regioni dovrebbero individuare una, due, tre aree ampie su cui puntare, come il territorio di una o più province confinanti. Poi bisogna far sì che chi investe sappia esattamente cosa può fare e in che tempi: una pratica non può essere congelata dieci anni dal veto di un’amministrazione locale. Quella contrarietà è legittima, ma allora si decide subito che la risposta è no e non si fa nemmeno partire il percorso». La mano pubblica, dice Cappelli, può essere utile anche in un secondo momento, per fare pubblicità a questo tipo di offerta turistica.
I dubbi di Legambiente
La più importante organizzazione ecologista italiana non si entusiasma all’idea che il Paese punti con forza su questo settore. «Di sicuro diciamo no a una moltiplicazione di campi senza criterio», spiega Angelo Gentili, responsabile nazionale Turismo di Legambiente. Gli chiediamo se l’associazione si opporrebbe anche a un piano di investimenti ben fatto, attento all’impatto sulla natura. «Non siamo contrari in assoluto, ma non si può pensare di avere in mano la bacchetta magica. Il primo rischio riguarda il consumo di acqua. Spesso i campi ne richiedono tanta, e già ora il Sud soffre per la sua carenza. Non ha senso avere prati inglesi in aree mediterranee: il clima si presta poco alla loro manutenzione». Poi ci sono timori legati all’indotto. «La possibilità di speculazioni edilizie si associa a quella di infiltrazioni della criminalità organizzata».
Insomma, investire in questo comparto è possibile, ma gli ecologisti chiedono cautela. Ovviamente rifiutano anche la costruzione di nuovi alberghi o seconde case, le sedi di vacanze “mordi e fuggi”. «Buona parte del Paese è stata cementificata grazie a piani urbanistici scellerati», ricorda Gentili. Ma allora, su che tipo di ospitalità vorrebbero puntare gli ecologisti? «La vera sfida è sviluppare i turismi un tempo considerati di nicchia: quello in bici, quello naturalistico, quello legato ai beni culturali. Anche in questo modo si allungherebbe la stagione, ma senza danneggiare l’ambiente. I tempi dei grandi residence in Costa Smeralda sono finiti».
Cappelli ammette che i rischi ci sono, ma assicura che vale la pena prenderseli. «La grande maggioranza delle aree interessate resterebbe allo stato naturale: i campi veri e propri ne occuperebbero una piccola fetta. Attirare 100mila turisti in più con il golf ha un impatto sul territorio molto inferiore rispetto a quello dei vacanzieri da seconde o terze case. Per di più i green non vanno piazzati per forza vicino al mare, come invece devono essere le abitazioni dei bagnanti. L’ambiente va tutelato e possiamo imporre anche regole molto stringenti: l’importante è che siano chiare e non cambino in corsa». E il timore di infiltrazioni criminali? «Serve molta attenzione, ma siamo di fronte a un bivio: scommettere o rassegnarci. I gruppi pronti a investire hanno valori etici che mi fanno essere ottimista, e se il governo pubblicizzasse bene l’operazione la possibilità di interventi illegali diminuirebbe». Anche se le vicende di Expo dimostrano che la vetrina globale non scoraggia tutti i malintenzionati.