Le voci di stampa sul possibile abbandono del Commissario straordinario per la revisione della spesa Carlo Cottarelli hanno fatto pensare a una precoce conclusione dell’operazione di spending review. Forse non sarà così. Serve però ricordare che i piani di revisione della spesa pubblica intrapresi negli ultimi anni hanno sofferto di un problema di fondo mai risolto. Il guaio è stato quello di descrivere le riduzioni di spesa come fossero una questione tecnica, quasi chirurgica, mentre il problema era ed è politico.
Non è stato un caso quindi che Piero Giarda, Enrico Bondi e Carlo Cottarelli, che si sono cimentati nell’impresa, abbiano vissuto simili disavventure. Hanno stilato liste di cose da fare, anche radicali, ma poi si sono limitati a limare ciò che si poteva limare (o “aggredire”) di quei 680 miliardi di spesa corrente al netto degli interessi che rappresentano la montagna della spesa pubblica italiana. Di fronte a tale montagna, le operazioni marginali dei chirurghi prestati alla politica, così come i tagli lineari dell’ex ministro Tremonti, sono stati l’ammissione dell’impotenza della politica nell’affermare ad alta voce qualche spiacevole verità. Eccone tre.
La prima è che l’eccesso di spesa pensionistica dipende purtroppo più dal peso di milioni di pensioni minime e intermedie troppo alte rispetto ai contributi versati che dalle – scandalose ma relativamente poche – pensioni d’oro (peraltro mai toccate).
La seconda è che l’offerta di beni e servizi pubblici (soprattutto nella sanità, ma non solo) dovrebbe essere condizionata al calcolo di costi standard il più possibile uniformi su scala nazionale.
La terza verità è che il malfunzionamento della pubblica amministrazione e della burocrazia deriva dalla pratica impossibilità di spostare dirigenti e personale in esubero, oltre che da criteri di fissazione degli stipendi che privilegiano l’anzianità.
Il capitale di conoscenze tecniche necessario per affrontare questi problemi certamente richiede che a occuparsi del problema siano persone competenti. Ma il capitale tecnico di competenze è poca cosa rispetto all’enorme capitale politico richiesto per fronteggiare il malcontento sociale e di categoria che sarebbe provocato da azioni efficaci per ridurre la spesa pubblica nelle aree indicate.
È contro questi macigni politici che si sono scontrati Cottarelli e gli altri prima di lui. Uscire da questa trappola non è facile. Sia i primi ministri che i parlamentari aspirano legittimamente ad essere rieletti. Il politico Cincinnato che faccia ciò che si deve fare, tolleri l’impopolarità e poi cambi mestiere – lo si è visto con il governo Monti – non esiste. Eppure una politica che riuscisse nell’ardua impresa di ridurre la spesa e riformare lo Stato preservando i livelli fondamentali di assistenza acquisterebbe meriti che non si misurano nelle fortune di un risultato elettorale ma nei decenni a venire.