Già il 2013 era stato difficile, con meno ingressi e incassi rispetto al 2012. Quest’anno pare che il copione per i parchi divertimenti italiani si stia ripetendo: colpa della crisi e soprattutto del meteo. Mettono una pezza i visitatori stranieri – il cui flusso è meno debole di quello degli italiani – ma i profitti scendono, compresi quelli di negozi e punti ristoro. Il target di riferimento restano le famiglie, a cui si affiancano giovani in cerca di attrazioni “forti”. Tra i motivi di difficoltà del settore potrebbe esserci il modello di gestione: da una parte gli imprenditori nostrani che fanno fatica a pareggiare i conti, dall’altra i gruppi stranieri che sembrano meno attenti alla qualità del prodotto.
I dati ufficiali più recenti riguardano il 2013. L’annuario dello spettacolo Siae descrive un calo su tutti i fronti rispetto al 2012: -7% di ingressi, -9% di spesa per i biglietti, -11% di quella complessiva (compresi gli acquisti negli esercizi commerciali). In numeri assoluti l’anno scorso son stati staccati quasi 17 milioni di ticket, e il giro d’affari messo in moto è stato di 305 milioni (contro i 339 del 2012). «A fine 2014 il quadro dovrebbe essere un po’ peggio del 2013», dice Roberto Canovi, direttore della testata giornalistica Parksmania.it: la proprietaria è Amusement Project, azienda di consulenza nel comparto. «Il meteo di questa estate sta avendo effetti disastrosi soprattutto a nord, e anche la crisi si sente. Al netto del clima quest’anno avrebbe avuto il segno più, perché aprile e maggio erano andati molto bene: i primi ponti davano segnali di forte ripresa. Nelle zone in cui il tempo è accettabile, anche ora continua a esserci un leggero aumento di ingressi e spesa. Dove piove, invece, è un pianto greco».
Canovi spiega che anche a nord c’è chi resiste, o addirittura migliora rispetto all’anno scorso, come Gardaland e Leolandia. «Regge chi ha clienti dell’Europa orientale. La fetta che viene in Italia ha portafogli ben forniti, e a volte entra nei parchi acquatici anche con la pioggia. Gli stranieri sono l’unico segmento che tiene, anche a sud: da Etnaland mi dicono che stanno recuperando rispetto al pessimo 2013, ma grazie ai visitatori dell’est, non ai siciliani». A gennaio l’associazione di categoria Anesv–Parchi Permanenti Italiani ha pubblicato un rapporto che conferma l’importanza di chi arriva dall’estero. L’anno scorso il loro numero è rimasto stabile o è aumentato in tutte le strutture, mentre quello dei clienti complessivi è diminuito nella maggior parte dei casi.
Danilo Santi, direttore generale parchi di Gardaland, conferma il quadro: «La verità che abbiamo avuto un ottimo inizio di stagione: nei ponti di maggio e di giugno il tempo è stato buono e abbiamo messo fieno in cascina. L’estate è per noi il picco di stagione ma tradizionalmente è il periodo che ci fa stare più tranquilli, perché va sempre bene. Invece abbiamo avuto l’estate più fredda che io ricordi, con un luglio pieno di pioggia e agosto che ha avuto diversi giorni nefasti». Sotto accusa, in una polemica che si rinnova, finiscono anche i meteorologi: «le previsioni hanno peggiorato gli effetti del clima – continua -. Oggi (22 agosto, ndr), per fare un esempio, davano nuvoloso e invece c’è stato sole. Il fatto è che con la diffusione dei siti specializzati e degli smartphone, le previsioni fanno sempre più parte integrante delle decisioni se fare o meno le vacanze. Così per noi è diventata un’ossessione: io guardo quello che dicono i siti di meteo ogni dieci minuti».
Per Santi non è corretto parlare di un calo rispetto al 2013, ma di «calo rispetto alle aspettative di inizio stagione». A compensare il calo interno ci hanno effettivamente pensato gli stranieri, «ma questo è frutto anche di una scelta aziendale, abbiamo previsto una politica specifica nei confronti dei mercati stranieri».
Il rapporto dell’associazione Anesv descrive anche fatturati stabili o in calo per la maggioranza di negozi e punti ristoro. Negli acquapark, per esempio, metà dei primi è andata peggio del 2012, e tra i secondi la quota sale al 72 per cento. Il giro d’affari complessivo in questo tipo di parchi è diminuito nel 57% delle strutture, è rimasto stabile nel 22% ed è aumentato solo nel 21%. Quest’ultima percentuale scende addirittura fino ad azzerarsi nei parchi tematici e meccanici: il 43% di questi ha avuto un fatturato invariato rispetto all’anno precedente, il 57% lo ha visto calare.
Anche in questo genere di strutture ristoranti ed esercizi commerciali soffrono. Il giro d’affari della ristorazione si è ridotto nel 49% dei casi, è rimasto bloccato nel 38% ed è salito in appena il 13%; le vendite dei secondi sono diminuite nel 57% dei negozi, si sono confermate sui livelli 2012 nel 29% e sono cresciute solo nel 14%. «Negli ultimi 2-3 anni la spesa per foto e oggettistica varia è scesa molto – conferma Canovi. – Cibo e bevande fanno segnare aumenti solo dove ci si è puntato molto, come a Gardaland». Dal parco di Castelnuovo del Garda, Danilo Santi spiega che i visitatori stranieri sono meno affezionati ai pasti nei ristoranti, rispetto agli italiani, e questo «impatta sulla spesa pro capite del parco di divertimenti». Per contrastare la tendenza, aggiunge, sono stati fatti investimenti in nuovi locali, più in linea con le tendenze di mercato, come un punto di ristoro ispirato a una stube di montagna e un ristorante a tema Western, il Buffalo Ranch.
Gente da parco dei divertimenti
Ma in generale chi è il target dei parchi divertimenti? Chi è oggi il visitatore medio? «In linea di massima – spiega Canovi – è la famiglia con genitori tra i 28 e i 45 anni e bambini tra i 3 e i 12. Poi ci sono 5-6 parchi di livello europeo, come Mirabilandia o Rainbow MagicLand, che attirano anche i giovani grazie a montagne russe o altre attrazioni “forti”. Mediamente i teenager spendono più delle famiglie, ma nel complesso sono di meno. Le grosse strutture provano ad allargare il target, mentre le piccole si concentrano su quello classico».
Nel frattempo il panorama dei parchi cambia. Non tanto a livello numerico: Canovi ricorda che negli ultimi anni hanno aperto Cinecittà World, lo Zoo Safari di Ravenna e un paio di acquapark in Puglia, ma la quantità complessiva delle strutture è sostanzialmente stabile. Al loro interno, invece, qualche mutamento c’è. «Le realtà più grosse costruiscono un’attrazione nuova per famiglie ogni 2-3 anni e una per giovani ogni 3-4. Vanno molto i playground per bambini: un’evoluzione dei giardini pubblici un po’ tematizzata, magari con cannoni ad acqua o simili. È il caso di Prezzemolo Land, inaugurata quest’anno sul Garda. Ambienti simili fanno tendenza da 4-5 anni: permettono ai piccoli di divertirsi e ai genitori di riposarsi, sfruttare un punto ristoro e approfittare del wi-fi».
Un altro discorso riguarda la proprietà dei parchi. Negli scorsi anni due tra i più importanti sono finiti in mani straniere: Mirabilandia alla spagnola Parques Reunidos, Gardaland alla britannica Merlin, che ha tra gli azionisti la finanziaria statunitense Blackstone. «In genere le multinazionali devono ottenere percentuali di guadagno particolarmente alte – commenta Canovi – e guardano più al profitto che alla qualità del prodotto, anche se magari se ne accorgono soprattutto gli addetti ai lavori. Poi ci sono i gruppi italiani che non investono perché lo hanno già fatto senza riuscire a recuperare le spese, e sono in serissima difficoltà con le banche». Oltreconfine un esempio positivo ci sarebbe. «La famiglia tedesca Mack, che costruiva giostre già nel Seicento, oggi ha il secondo parco d’Europa dopo Disneyland, poco sopra Basilea. In pratica lo usa come showroom, e migliora le attrazioni per convincere altre imprese a comprarle. Il modello è di successo e anche romantico, ma difficile da replicare, perché richiede incassi altissimi». Un miraggio nell’Italia travolta da maltempo e recessione.