Pochi, non eletti e subito. Chi sono i nuovi senatori

Pochi, non eletti e subito. Chi sono i nuovi senatori

Addio al bicameralismo paritario, al Cnel, alle province, al Senato (almeno per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi decenni). Se la riforma costituzionale approvata ieri a Palazzo Madama sarà  varata definitivamente, cambierà buona parte della nostra Costituzione. Sarà modificata la Camera alta del nostro Parlamento, nei numeri e nelle funzioni. Così come il sistema di elezione del Presidente della Repubblica. Sarà rinnovato il rapporto tra cittadini e politica – con la revisione degli istituti del referendum e delle leggi di iniziativa popolare – e quello tra Stato ed enti locali. Una profonda revisione della Carta, accompagnata in egual misura da critiche e applausi.

Fa molto discutere la rottamazione di Palazzo Madama. Il testo votato venerdì – ma prima della approvazione finale mancano ancora tre letture parlamentari e un referendum confermativo – ridisegna completamente la nostra Camera alta. Dalla prossima legislatura, chi si affaccerà dalle tribune del Senato rischia di trovarsi davanti a tanti scranni vuoti. Al posto degli attuali 315 parlamentari ne rimarranno cento, in rappresentanza delle istituzioni territoriali. Nessuno sarà eletto direttamente (questo resta uno dei passaggi più controversi della riforma). Quasi tutti, novantacinque, saranno scelti dai Consigli regionali tra i loro componenti e qualche sindaco. E così gli inquilini di Palazzo Madama non si insedieranno contemporaneamente, ma di volta in volta. Ogni Consiglio regionale eleggerà i propri senatori ad ogni rinnovo.

Fanno eccezione cinque senatori, che saranno nominati dal presidente della Repubblica. A differenza degli altri colleghi, rimarranno in carica sette anni (ma non più vita natural durante). Meno parlamentari, meno spese. Ai futuri senatori non spetterà alcuna ulteriore indennità. Tra stipendi, diarie e rimborsi vari è stato calcolato un risparmio di circa 50 milioni di euro l’anno. Una sforbiciata non indifferente. Resterà, invece, lo scudo garantito dall’immunità parlamentare. Arresti, perquisizioni e intercettazioni dei parlamentari continueranno ad essere autorizzati dall’Aula di appartenenza.

La revisione del Senato avrà conseguenze importanti anche sul bicameralismo paritario. Se la riforma sarà approvata, la competenza legislativa rimarrà di fatto solo a Montecitorio. Sarà la Camera dei deputati a votare la fiducia al governo. Mentre il nuovo Senato continuerà a esprimersi su leggi costituzionali e ratifiche di trattati internazionali (ma avrà anche competenze sui temi etici, come previsto da un emendamento della Lega Nord approvato a scrutinio segreto). Resta ai senatori anche il potere di interrogare i ministri, dare pareri sulle nomine governative e proporre commissioni di inchiesta. Per i fautori della riforma, questo è uno dei nodi centrali del provvedimento. Al passo con i tempi, il Parlamento italiano potrà legiferare più velocemente. Previsione confermata da un’ulteriore disposizione. I disegni di legge del governo potranno godere di una corsia preferenziale e dovranno essere approvati in tempi certi. 

Alcune modifiche costituzionali arrivano fino al Colle. La riforma rivede il sistema di elezione del presidente della Repubblica. Il capo dello Stato sarà scelto dal Parlamento in seduta comune, senza più la presenza dei delegati regionali. Una platea di 730 grandi elettori. Di fatto, il partito che alle elezioni conquisterà il premio di maggioranza rischia di poter nominare in autonomia l’inquilino del Quirinale. Anche per questo è probabile che nel prossimo passaggio parlamentare il governo accetti di rivedere la disposizione. Magari allargando la platea dei grandi elettori – così proponeva un emendamento di alcuni deputati del Pd – anche agli europarlamentari di nazionalità italiana. Intanto cambia anche il quorum per l’elezione del presidente. Per le prime quattro votazioni – ovviamente resta lo scrutinio segreto – servirà la maggioranza dei due terzi. Basteranno i tre quinti dell’assemblea fino all’ottava votazione. Dal nono scrutinio, sarà sufficiente la maggioranza assoluta. 

La riforma cancella dalla Costituzione i riferimenti alle province, già svuotate di diverse funzioni con la legge ordinaria. Ma soprattutto sancisce la definitiva archiviazione del Cnel. Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro: organismo da molti considerato come simbolo dell’ingombrante apparato burocratico. Intanto lo Stato torna ad avere un ruolo centrale. Con la modifica del Titolo V vengono inserite in Costituzione le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Che potrà esercitare una “clausola di supremazia” nei confronti della regioni a tutela dell’interesse nazionale e dell’unità repubblicana.