Il mistero dei 46 ostaggi turchi liberati dall’Isis

Il mistero dei 46 ostaggi turchi liberati dall’Isis

L’articolo è stato originariamente pubblicato da Eugenio Dacrema su Ispi

Mentre il mondo veniva shoccato dai video agghiaccianti delle decapitazioni dei giornalisti e dei cooperanti occidentali, sottotraccia si dipanava la trama di quella che è probabilmente la più grave crisi di ostaggi dall’inizio dell’intera guerra siriana e della crisi irachena. Quarantasei dipendenti del consolato turco a Mosul, 44 turchi e 2 iracheni, vennero sequestrati nel giugno scorso quando le forze dell’Isis presero il controllo della città a coronamento della loro travolgente offensiva nell’Iraq orientale. Da quel momento la Turchia é rimasta un alleato paralizzato all’interno della coalizione che nei mesi successivi gli Stati Uniti e i loro alleati hanno imbastistito contro il neonato califfato non predendo parte attivamente a nessuna azione e rifiutando di mettere a disposizione le proprie forze militari.

Tutto questo fino alla mattina di domenica 20 settembre, quando tutti e 46 gli ostaggi – compresi i due iracheni – sono stati consegnati alle autorità turche presso Akcakale, poco oltre il confine siriano a nord di Raqqa.

L’operazione é stata indubbiamente un enorme successo per l’Mit, il servizio segreto turco, e per il governo, di fatto ancora guidato dal potente neoletto presidente Erdogan. Ma alcune domande aleggiano negli ambienti delle agenzie di intelligence internazionali le quali a quanto pare hanno assistito allo svolgersi dei fatti apparentemente ignari delle intenzioni turche.

Come sono stati liberati i 46 ostaggi? Chi ha trattato con chi? È stato pagato un riscatto?

E soprattutto: perché proprio ora? Com’é possibile che l’astuto califfo sia stato convinto a cedere unasset cosí prezioso che in pratica gli permetteva di tenere in pugno una grande potenza regionale a tempo indeterminato?

La ricostruzione ufficiale

Secondo la ricostruzione fornita ai media dagli ufficiali dell’Mit, le origini di questo successo andrebbero ricercate nell’esperienza sviluppata dall’agenzia durante la sua collaborazione con le forze di occupazione americane e, in particolare, nel periodo della “rivolta sunnita” del 2006-2008 sedata dagli americani grazie al voltafaccia operato a loro favore dalle tribù sunite irachene contro le forze jihadiste. I turchi si sarebbero quindi rivolti ai maggiorenti di tali tribù con i quali in quegli anni avevano instaurato un rapporto di grande collaborazione e fiducia reciproca. Oggi molti di loro – in maggioranza ex ufficiali del regime di Saddam Hussein – collaborano con Isis, e l’inizio dei bombardamenti americani avrebbe spostato in loro favore l’asse di questa alleanza rendendo difficili le comunicazioni tra i vari territori dei califfato e lasciando Mosul sostanzialmente nelle mani delle tribù locali. Questo avrebbe permesso ai turchi di poter trattare direttamente con loro e di ottenerne la liberazione senza pagare alcun riscatto.

Cosa non convince

Questa ricostruzione ufficiale, che all’apparenza sembra poggiare su basi piuttosto solide, vacilla peró a una più attenta analisi dei fatti. Se infatti la liberazione fosse dipesa solo dalla volontà delle tribù sunnite irachene a rigor di logica gli ostaggi sarebbero stati consegnati all’avamposto più prossimo dell’alleanza anti-Isis, in questo caso le basi dei peshmerga nell’Iraq settentrionale. Gli ostaggi sono stati invece traspostarti in un lungo e periglioso viaggio fino a Raqqa, nel nord della Siria, una zona considerata la vera capitale del califato dove le tribù sunnite irachene non hanno alcun potere, per poi essere consegnati direttamente in mani turche.

Tutto questo presupporrebbe perlomeno un tacito accordo da parte dei vertici dell’Isis, se non una loro vera e propria partecipazione alla trattativa. Questi dubbi ci portano direttamente alla seconda domanda: perchè ora?

Secondo il sito dell’organizzazione Takvahaber, considerata il braccio di reclutamento dell’Isis in Turchia, il rilascio sarebbe avvenuto su autorizzazione diretta dello stesso califfo Abu Bakr al-Baghdadi, in seguito alla rinuncia di Ankara ad avere un ruolo attivo nella coalizione a guida americana. Anche questa ricostruzione, però, lascia aperti parecchi dubbi: perchè tutti ora? Al-Baghdadi non poteva liberarne la metà,  o anche meno, per “premiare” il governo turco e tenersi gli altri come leva di pressione per il futuro? Secondo molti osservatori, infatti, il nullaosta del califfo, che in questi ultimi mesi ha dimostrato certamente di non essere un ingenuo, non può essere giunto senza una chiara contropartita.

Difficilmente, però, essa sarà svelata dai servizi segreti o dal governo turco. Probabilmente l’unico modo per giungere alla verità su questo misterioso rilascio sarà osservare il comportamento della Turchia nei prossimi mesi. Perché ora che la questione ostaggi é apparentemente risolta non sussite più alcuna giustificazione per il tergiversare della Turchia riguardo alla coalizione anti-Isis. E non sono pochi ad Ankara che hanno già iniziato a chiedere “che fare adesso?”.