L’Italia è un Paese strano. Chiediamo maggiore spesa pubblica per uscire dalla crisi, critichiamo l’austerità dell’Europa e contemporaneamente non spendiamo i fondi che ci vengono assegnati per lo sviluppo dei nostri territori, i cosiddetti fondi strutturali.
A queste polemiche si è aggiunta di recente la proposta di Perotti per cui la politica regionale della Commissione Europea sarebbe inefficace e tanto varrebbe rinunciarvi, utilizzando il cofinanziamento per ridurre l’ormai mitologico cuneo fiscale. Questo ragionamento ha avuto, nel corso degli ultimi anni, diversi estimatori ma non ha mai incontrato né il sostegno popolare, né il favore politico. Probabilmente, per diverse ragioni elencate qui di seguito, non è stato un male che questa visione radicale non abbia trovato effettiva applicazione.
1. L’evidenza empirica che oggi abbiamo a disposizione ci indica che l’effetto dei fondi comunitari sulla crescita è modesto, ma positivo. Se si utilizzano tecniche di stima controfattuale, si ottiene un effetto medio sulla variazione del Pil regionale pari allo 0,2% annuo; un effetto certamente modesto, ma tutt’altro che nullo.
2. Esiste evidenza, invece, rispetto all’eccesso di spesa. In altri termini, in alcuni contesti, una riduzione dell’allocazione di fondi non produrrebbe una riduzione dell’impatto.
3. Sappiamo che l’effetto sulla crescita è più elevato nelle regioni con governi più efficienti, con più capitale umano e se non c’è un eccesso di spesa per l’acquisto di servizi.[1]
4. I fondi contengono una moltitudine di interventi e non tutti hanno studi valutativi convincenti a supporto della loro efficacia. Questa pecca, certamente grave, non è un motivo ragionevole per cancellare la politica economica comunitaria.
5. Sebbene la politica di coesione dovrebbe essere addizionale rispetto alla politica economica nazionale, di fatto sappiamo che si è sostituita a quest’ultima su diversi settori. In altri termini, eliminare un fondo per intero non significherebbe cancellarne tutta la spesa. Si pensi, ad esempio, alla Napoli-Bari, in parte prevista dal Programma Operativo Nazionale Trasporti 2007-2013 ed anche nel 2014-2020, oppure alle borse di dottorato finanziate con fondi Fse, spese che l’Italia dovrebbe sostenere con fonti proprie.
L’evidenza seria e credibile che dunque abbiamo oggi a disposizione non fornisce alcun supporto alla proposta di azzeramento della politica di coesione, semmai ci indica alcune questioni che varrebbe la pena affrontare, soprattutto ora che ci si accinge a definire i contenuti per il periodo 2014-2020, per un ammontare superiore ai 32 miliardi di euro.
Innanzitutto, è necessario introdurre tecniche di valutazione controfattuale ex ante ed ex post perché la politica economica locale possa essere indirizzata e possa correggersi per tempo.
Attualmente, entrambi i momenti della valutazione sono di natura squisitamente “qualitativa” e mai rispondono alla domanda “cosa sarebbe accaduto se non ci fosse stato un determinato intervento”? Anche la valutazione ex ante deve informarsi a strategie controfattuali. In altri termini, il fatto che un’azione abbia prodotto buoni risultati in una regione, non significa che li genererà automaticamente altrove. È necessario, dunque, disporre di “funzioni di trasferimento” di tali impatti che vadano a correggere eventuali errori dovuti a non perfetta sovrapposizione di diversi ambiti territoriali.
Sappiamo che la spesa per incentivi alle imprese e per acquisto di servizi è statisticamente improduttiva, mentre molto più alto è il rendimento dell’investimento in istruzione. È importante, dunque, ridurre al minimo le prime voci e selezionare meglio le iniziative di training tendenzialmente finanziate via Fondo Sociale Europeo.
Inoltre, va avviato un radicale processo di miglioramento della governance di questi fondi. Ho già messo in evidenza in un altro articolo come non vi sia correlazione tra capacità di spesa (indicatore di performance notoriamente utilizzato) e crescita regionale. Ciononostante, la Commissione Europea ci ha chiesto conto dell’enormità degli impegni di spesa delle nostre regioni, seguiti da spese effettive solo nel 50% dei casi. Questo è un difetto particolarmente fastidioso dal punto di vista di Bruxelles poiché implica il blocco di fondi su alcune voci di spesa che mai avranno una manifestazione concreta per lo sviluppo territoriale. La Commissione, dunque, ci domandato di esplicitare con quali forze intendiamo affrontare il 2014-2020. La nostra risposta è stata ad un tempo tipica e sconfortante: si scriveranno dei Piani di Rafforzamento Amministrativo e tutte le amministrazioni regionali si apprestano ad assumere nuovi consulenti. Questa occasione deve, invece, essere presa per rivoluzionare le Autorità di Gestione, ormai ridotte a mere appendici delle Presidenze della Giunta.
Va infine rivisto il meccanismo di selezione dei valutatori. Oggi il mercato della valutazione è fortemente concentrato nelle mani di 3-4 società di consulenza che poco o nulla sanno di valutazione. Inoltre sono proprio le Regioni, il cui operato andrebbe appunto valutato, a “scegliere” il valutatore. Questo cortocircuito per cui il valutato sceglie il valutatore rende di fatto inutile qualsiasi Rapporto di Valutazione, spesso macchiato da piaggeria a buon mercato. La commissione deve essere indipendente, magari ministeriale e scegliere i valutatori dei diversi programmi tra quelli con una solida esperienza di analisi controfattuali.
[1] Percoco, M. (2013), The impact of European Cohesion Policy on regional growth: how much do strategy and local economic structure matter?, Università Bocconi, mimeo.