Federico Fornaro, senatore del Partito Democratico, tra i primi firmatari degli emendamenti alla legge delega sul lavoro che ieri è stata discussa durante la direzione al Nazareno. Fa parte della cosiddetta minoranza che Matteo Renzi, premier e segretario, avrebbe detto di «aver spianato» dopo l’approvazione di un nuovo documento approvato a larga maggioranza. «In ogni caso trovo sgradevole, in un partito che si chiama democratico, sentire toni di questo tipo: “che si spiani qualcuno, che si spiani la minoranza”» spiega Fornaro. «La minoranza fa il suo mestiere e in questa fase non ha assunto comportamenti ostruzionistici, c’è un sentimento diffuso del paese su questo argomento e non credo che tutti i sondaggi siano dalla parte di Renzi».
Domanda: Quindi adesso cosa succede a livello parlamentare?
Risposta: Sono state poste una serie di questioni al governo. Il testo della direzione dovrà essere tradotto in un emendamento al testo attuale della legge delega. In aggiunta c’è il recepimento parziale o totale dei nostri sette emendamenti.
D. Quindi non li ritirate?
R. Ci sono ancora molte questioni aperte in materia, dai voucher ai demansionamenti, fino ai controlli a distanza. In direzione non c’è stato alcun tipo di segnale in merito.
D. Ma i numeri ci sono o no per approvare questa riforma così importante per il presidente del Consiglio?
R. È ancora presto per dirlo. Si è aperta una fase di dialettica parlamentare con il governo. È normale che questo confronto ci sia con le leggi ordinarie. Ancora più importante è per una legge delega: ricordo che quando arriva in aula il parlamento si spoglia di una serie di suoi poteri e li dà al governo. E noi abbiamo sempre criticato la genericità del testo della delega che lasciava interpretazioni differenti.
D. Ma ora con chi vi state confrontando? Si è parlato anche di una mediazione di Sergio Chiamparino, presidente della regione Piemonte
R. A livello parlamentare parliamo con il governo, so di una mediazione anche di Chiamparino, ma avvenuta prima della direzione. Questo è il primo passaggio, poi ci sarà la Camera. Resta un grosso problema…
D. Quale?
R. Il documento di ieri, questo articolo 18 bis, con l’apertura significativa al reintegro in caso di licenziamenti ingiustificati per motivi disciplinari, vale solo per i neoassunti o è da intendersi una riforma erga omnes?
D. Ovvero?
R. Non è stato chiarito se questa legge riguarda chi è assunto adesso con l’articolo 18 o solo i neoassunti. E poi c’è una seconda questione da perfezionare, perché le deleghe, per usare una battuta, camminano sugli stanziamenti. Il miliardo e mezzo tanto annunciato di risorse sulla legge di stabilità è aggiuntivo alle attuali risorse della fiscalità pubblica destinate alla cassa integrazione in deroga oppure è un di cui?
D. La legge di Stabilità è un punto che ha evidenziato D’Alema in direzione
R. Chi ha alzato i toni è stato il presidente del Consiglio. Ha trasformato nelle ultime due settimane l’articolo 18 in un bastone, brandendolo a destra e manca. Peraltro segnalo che l’articolo 18 non compare nella legge delega, né nella relazione, né nell’articolato. E anzi fino ai primi di settembre chiunque accostava l’articolo 18 al Jobs Act era considerato un sabotatore della riforma. Non solo: persino nel programma dei 1000 giorni non si è mai parlato dell’articolo 18.
D. Come mai è ricomparso secondo lei?
R. Renzi, con la sua abilità di comunicazione, ha capito che brandire questo simbolo gli avrebbe dato un segno di capacità riformista, ma la realtà è un po’ diversa.
D. Se voi non votate la riforma e la vota Forza Italia c’è un problema politico?
R. È evidente, ma credo ci sia ancora lo spazio per una sintesi ampia. Nessuno vuole rotture con il governo, vogliamo solo migliorare la delega nel merito.