Nel Jobs Act, accanto al dibattito sulla modifica della regolamentazione del lavoro, è presente una vera e propria “rivoluzione” che riguarda le modifiche alle politiche attive e soprattutto dei servizi pubblici per l’impiego in Italia. Vediamo punto per punto cosa prevede la legge delega su questa materia dove sono molti i punti di vista condivisibili per una migliore efficacia dei programmi di politica del lavoro.
Innanzitutto si affronta lo spinoso rapporto tra Stato e Regione, visto che, in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro, la competenza è regionale (concetto sancito anche da una sentenza della Corte Costituzionale nel 2005 e ribadito dalla stessa legge). Nel Jobs Act si “auspica” una possibile intesa fra le due istituzioni in modo da garantire la fruizione dei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, in mancanza di una soluzione unitaria su come sviluppare i nuovi servizi al lavoro, attraverso una deliberazione motivata (Corte Costituzionale permettendo), l’ultima parola spetterà al Consiglio dei ministri.
La necessità di garantire delle prestazioni essenziali su tutto il territorio è una vera sfida: se confrontata all’attuale assetto delle politiche volte alla collocazione dei soggetti svantaggiati, proprio la Garanzia Giovani mostra che il sistema basato su venti modelli diversi è letteralmente “fallimentare” (fatte le solite eccezioni di Lombardia e Trentino). Si pensi che alcune Regioni sono ancora alla fase di implementazione del sistema, mentre altre hanno realizzato semplicemente un “banale” colloquio con il giovane disoccupato, che non possiamo neppure considerare un servizio di orientamento professionale.
Vera protagonista della riforma è la costituzione di una nuova Agenzia, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome (Agenzia unica del lavoro) vigilata dal Ministero del lavoro, che unificherà l’erogazione dei servizi per l’impiego con quella degli ammortizzatori sociali. Il modello che si ispira al meccanismo di One stop shop presente nei Jobcentre plus inglesi, si realizzerà attraverso meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’Inps (nel dettaglio il dipartimento dell’istituto che si occupa di politiche sociali, Aspi e Mini-Aspi), mentre per sviluppare al meglio servizi alle imprese, in particolare l’assistenza all’auto-impiego prevede l’accorpamento dentro alla nuova agenzia di tutti quegli enti che a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimprenditorialità (tra cui le Camere di Commercio). Inoltre, dato che attualmente non è ben chiaro se gli incentivi promossi dal precedente governo abbiano prodotto risultati convincenti, si prevede una razionalizzazione degli attuali eliminando quelli dove l’evidenza statistica mostri basse probabilità di trovare occupazione.
Unendo Isfol, ItaliaLavoro, Camere di Commercio, parte dell’Inps, Cnel e il personale in capo agli uffici provinciali del lavoro e i Centri per l’impiego, il rischio di creare un nuovo ed enorme “carrozzone pubblico” è molto forte, per questo nel Jobs Act è prevista la razionalizzazione degli uffici allo scopo di evitare sovrapposizioni e migliorare la qualità di alcuni servizi al lavoro. Inoltre, data la quota relativamente bassa di lavoratori operanti nei Servizi pubblici per l’impiego rispetto ad altri paesi europei, è prevista la possibilità di far confluire negli organi vigilanti (ispettori del lavoro per intenderci) o dell’Agenzia il personale proveniente da altre amministrazioni.
L’efficacia o meno della struttura dipenderà molto dal livello di “discrezionalità” dei propri dirigenti nella gestione in materia di servizi per l’impiego e dalla definizione di chiari obiettivi facilmente misurabili a livello territoriale che questi dirigenti dovranno raggiungere entro un determinato periodo, pena la loro sostituzione.
L’imposizione di indicatori dovrà rappresentare la prerogativa dell’Agenzia e per poterli raggiungere sarà fondamentale, come evidenzia la riforma, la valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privato nel collocamento dei soggetti svantaggiati. Accanto a ribadire concetti già presenti nella Riforma Fornero ma mai applicati, il Jobs Act avanza un elemento fondamentale nel rapporto pubblico/privato, suggerendo di estendere a livello nazionale (anche sotto forma di sperimentazione) le migliori esperienze a livello regionale. In questo caso è da augurarsi che si applichino i tre “pilastri” del modello lombardo: un rating degli operatori; il principi di “Black-Box” (ovvero prendi i soldi solo se collochi) per disincentivare il parcheggio in attività come orientamento e formazione professionale; e infine (questo aspetto a differenza dei primi due è ben evidenziato nel decreto) l’implementazione a livello nazionale del profiling, uno strumento utile per la personalizzazione dei servizi, basato sulla valutazione dei bisogni della persona misurati in base alla distanza dal mercato del lavoro attraverso l’analisi di strumenti statistici avanzati.
Accanto al profiling si suggeriscono pratiche ormai consolidate in alcuni paesi, come il targeting, ovvero sfruttare le tecnologie informatiche, allo scopo di reindirizzare l’azione dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive. In altri termini, per ciascun individuo si “stimano” gli esiti potenziali per ciascun programma disponibile (formazione mirata, incentivi, supporto all’auto-impiego, ecc…) e ogni persona può essere assegnata al programma che ha la maggiore probabilità di successo.
Infine, il Jobs Act propone di rafforzare il sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e la valutazione delle politiche e dei servizi, all’interno di questa si spera si possa valorizzare l’analisi territoriale tramite le mappe di densità, volte al duplice scopo di: realizzare sul territorio un miglior orientamento professionale nei confronti degli studenti delle scuole superiore; e una più incisiva azione di marketing nei confronti delle aziende più attive in termini di collocamento da parte dei Centri per l’impiego.
La rivoluzione dei servizi pubblici per l’impiego dipenderà tantissimo da come si applicheranno le norme, dato che proprio la difficoltà di implementazione (vista nella Riforma Fornero ), aggiunto alla “reticenza” di parte della tecnostruttura (esattamente quanto è già capitato in passato nel Regno Unito o in Canada), potrebbe rappresentare un ostacolo che rischia di “vanificare” le buone proposte presenti nella Riforma.