La legione straniera, leggendaria armata di dannati

La legione straniera, leggendaria armata di dannati

«Quello che vivi nella Legione straniera ti resta dentro. Lo spirito di corpo, certo. Anche una certa fratellanza. Ma soprattutto l’assenza di paura, un’assenza di paura tale che rasenta quasi la follia». Vittorio Augenti, questo il suo nome di battaglia, è un ex legionario. Prima di congedarsi ha prestato servizio in Djibuti, Burkina Faso e Afghanistan. È uno dei sessantamila italiani che in quasi due secoli di storia si sono arruolati nel leggendario corpo d’élite dell’esercito francese. Quasi un primato. Durante la Prima guerra mondiale i militari che venivano dalle Alpi erano così numerosi che fu necessario formare un’apposita legione garibaldina. 

Al museè de l’Armee di Parigi, sulla spianata degli Invalides, tra spade, archibugi e cannoni, l’inconfondibile divisa è ancora tra le più ammirate. ll simbolo di un soldato entrato di diritto nella storia dei costumi e dell’iconografia, persino del cinema. Il tipico copricapo bianco, il « kepi », la camicia di tela kaki (la stessa che fu adottata dall’esercito britannico di Sua Maestà nel 1935), i pantalonicini corti – il ‘Bombay Bloomer’ memore delle esperienze coloniali inglesi in India – la fondina e le cinture di cuoio, la borraccia di due litri ed il fucile MAS, di fabbricazione francese. Un’uniforme entrata nel mito. È stata immortalata in decine di documentari d’epoca o in film come « March or Die» (con Gene Hackman, Catherine Deneuve e Max Von Sydow) o « Il Legionario » (con Jean-Claude Van Damme) e addirittura cantata dalla ‘môme’ Edith Piaf e da Serge Gainsbourg. Nella Legione straniera hanno servito personalità come il nipote di Garibaldi, il re di Serbia, il ministro dell’istruzione fascista Bottai o scrittori come Arthur Koestler e Curzio Malaparte. Ancora oggi, dopo 183 anni, sono i legionari a chiudere la tradizionale parata militare del 14 luglio. Sfilando orgogliosi sugli Champs Elysèes di Parigi, sotto lo sguardo vigile e rassicurante del Presidente della Repubblica.

Creata nel 1831 dal re di Francia Luigi Filippo per accogliere stranieri che volevano servire la Francia senza creare reggimenti in funzione delle diverse nazionalità, la Legione Straniera si è nel tempo consolidata all’interno dell’esercito francese come corpo d’élite per i teatri di guerra e le operazioni più difficili. Nella storia di questo reggimento militare centinaia di reclute, facendo prova di coraggio, hanno spesso valicato, anche illegalmente, frontiere fuggendo da persecuzioni, guerre civili, processi pur di oltrepassare la soglia di Aubagne, la Maison Mère sede del Comando Centrale dove l’anno scorso, nel 150esimo anniversario della battaglia di Camerone in Messico (in cui un pugno di legionari tennero testa per 10 giorni a 800 ribelli), è stato anche inaugurato un Museo della Legione in un vasto edificio che s’estende su 1.200 metri quadrati. Dal Messico all’Indocina, passando per il Ruanda e l’Afghanistan, la Legione Straniera ha operato, nei suoi 183 anni di storia, nei teatri di guerra più disparati. La Legione Straniera era in Marocco, Siria e Libano durante la Prima Guerra Mondiale, in Norvegia nel 1940, in Indocina nel 1945, in tutta l’Africa del Nord negli anni ’50, in Madagascar, Guyana francese e Djibouti negli anni ’60 fino all’Afghanistan, il Ciad, il Libano, la Costa d’Avorio ed il Mali di oggi.

(Kenzo Tribouillar/Afp/Getty Images)

Ma l’origine del fascino che sempre ha esercitato la Legione Straniera, oltre al képi bianco, il forte spirito di cameratismo di stampo internazionale e gli esotici scenari di guerra, è radicata nel mito su cui si fonda la Legione stessa. Siamo nel 1831, la conquista dell’Algeria è ai suoi inizi. La Legione viene creata appositamente per fornire sostegno militare alle truppe francesi. La prima Legione si forma a partire da soldati professionisti disoccupati dopo le varie guerre imperiali francesi ma anche da rivoluzionari provenienti da tutta Europa che avevano trovato rifugio in Francia, dissidenti che lasciavano clandestinamente il proprio paese per motivi politici, economici o giuridici. Per facilitare il reclutamento la Legione Straniera autorizzava le nuove reclute ad arruolarsi su semplice dichiarazione d’identità. Questa disposizione, che all’inizio era stata adottata per semplificare le procedure, permise in realtà alle reclute che fuggivano da guerre, persecuzioni, processi, di nascondere la propria vera identità e cominciare una nuova vita nella legione dietro il motto «Legio Patria Nostra» (La Legione la nostra Patria ndr) e, dopo 3 anni di servizio, anche poter, in via teorica, ottenere la naturalizzazione francese. È questa «seconda chance» che la Legione offriva a coloro che ne accettavano le regole a costituire parte del mito su cui si fonda ancora oggi la storia della Legione. In cambio dell’anonimato e di una nuova identità, la Legione chiedeva sacrificio, una vita di solitudine lontano da casa e famiglia e una quotidianità fatta di dura disciplina militare. Ad oggi più di 35.000 stranieri sono caduti servendo la “patria” che costituiva in sé la Legione. Tra questi tanti, tantissimi italiani.

(Pascal Pochard/Afp/Getty IMages)

Dal 1831 ad oggi si calcola che oltre 60.000 italiani hanno servito nei ranghi della Legione. Dopo i vicini tedeschi, il gruppo di stranieri più corposo in tutta la storia della Legione sono stati dunque gli italiani (tale da provocare, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la formazione, all’interno della Legione, di una Legione Garibaldina composta esclusivamente da repubblicani, mazziniani e sindacalisti italiani). Ma cosa spingeva gli italiani, agli inizi del ‘900, ad arruolarsi per un esercito di un paese straniero? «La prima motivazione che spingeva gli italiani immigrati in Francia negli anni della Prima Guerra Mondiale – spiega a Linkiesta Stéphanie Preziosi, professore associato presso l’Istituto di Storia Economica e Sociale della Facoltà di Scienze Politiche di Losanna e specialista della questione del reclutamento collegato all’immigrazione italiana – è quella di sfuggire alle conseguenze disastrose di una partecipazione dell’Italia dal lato sbagliato della guerra, cosa che avrebbe provocato l’arresto, la cattura. Un’altra motivazione è ottenere facilmente la nazionalità francese, vitale per coloro che erano in fuga dall’Italia per motivazioni politiche. L’altra è la povertà estrema. Zone depresse come il Friuli, l’Emilia Romagna, le Marche già dagli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento funsero da basi a partire dalle quali migliaia di migranti approdarono in Francia, spesso con le loro famiglie, per installarsi e cominciare una nuova vita. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, per lottare contro i sentimenti anti-italiani che si manifestavano nella popolazione francese e dimostrare l’attaccamento al loro paese d’adozione, molti italiani scelsero dunque di arruolarsi».  

  (Remy Gabalda/Afp/GettyImages)

Nei ranghi della Legione Straniera confluirono negli anni garibaldini, repubblicani, fascisti, antifascisti, anarchici, comunisti e negli anni ’70 anche terroristi di destra. Un esempio è quello di Umberto Marzocchi. Espatriato in Francia per sfuggire alla persecuzione fascista, combatté nella guerra civile spagnola e dopo la sconfitta si arruolò nella Legione Straniera per poter rimanere legalmente in Francia dove prese parte alla Resistenza e da dove rimpatriò nel 1945 per riprendere la direzione del movimento anarchico italiano. Rocambolesca la storia del parmense Giovanni Mezzadri: emigrato in Francia giovanissimo, intraprese la militanza comunista e nel 1939 s’arruolò nella Legione straniera. Fu rimpatriato nel ’42 dalle autorità di Vichy e arruolato di forza nell’esercito italiano e spedito a combattere in Nord Africa. Con la caduta del fascismo prese parte alla Resistenza e infine fu costretto dalla disoccupazione ed emigrare nuovamente. Un’altra storia legata alla legione è quella dell’avvocato antifascista Gustavo Camerini. Anch’egli espatriato in Francia per sfuggire alla repressione del regime fascista, nel 1940 si unì ai volontari di De Gaulle e combatté nei ranghi della Legione in Norvegia, in Siria, a Tòbruk, ad El Alamein e nella campagna d’Italia ricevendo poi nel ’45 diverse onorificenze tra le quali quelle di Capitano della Légion d’Honneur e di Compagnon de la Libération. Tra gli ex legionari figurava anche un certo Silvano Girotto, personaggio quasi cinematografico e noto alla stampa degli anni ’70 come «Frate Mitra». Figlio di un maresciallo dei carabinieri, venne condannato per rapina quando era ancora minorenne e fuggì in Francia. Qui si arruolò nella Legione Straniera con il falso nome di Elio Garello. Rientrato in Italia venne arrestato nuovamente per rapina. In carcere decise di farsi frate francescano e nel 1969 si recò come missionario in Bolivia dove, in seguito al golpe militare, decise di entrare nelle file dell’opposizione armata al dittatore colonnello Hugo Banzer Suarez. Partecipò anche attivamente alle rivolte che scoppiarono in Cile dopo la deposizione di Allende ed il golpe militare di Pinochet. Quando rimpatriò in Italia, collaborò attivamente con i carabinieri del generale Dalla Chiesa e fece catturare i capi e fondatori delle Brigate Rosse Renato Curcio e Alberto Franceschini. 

(Boris Horvat/Afp/Getty Images)

Ed oggi? La Legione Straniera ha perso quell’aura che aveva un tempo – basti pensare che  dall’epoca gloriosa questo corpo scelto di soldati di tutte le nazionalità è passato da 40.000 effettivi a poco più 7.700 effettivi – ma resta un corpo d’élite che attira sempre candidati di tutto il mondo. I criteri di selezioni sono estremamente rigidi anche se in via teorica non servono particolari caratteristiche per entrare a far parte della Legione Straniera: forma fisica e psicologica idonea e un’età tra i 17 e i 40 anni non compiuti. La prima ‘ferma’ dura 5 anni, con possibilità di reingaggio. «La parte fisica non è importante – racconta a Linkiesta un ex legionario italiano il cui nome di battaglia è Vittorio Augenti – certo devi dimostrare che ce la metti tutta ma in fondo il fisico te lo forgiano loro. È la parte psichica ad essere più difficile. Nei colloqui psicoattitudinali non ti mollano finchè non sei realmente sincero sul perché hai deciso di arruolarti. Scavano finchè non sei realmente sincero e non sei un bandito che cerca di scappare da qualcosa. Oggi non c’è più spazio per i dannati. Non più. Vogliono essere sicuri che sarai un buon soldato. In fondo la Legione è uno dei migliori eserciti al mondo». 

L’arruolamento avviene in uno dei due centri di preselezione (a Parigi/Fontenay sous Bois o Aubagne) e consiste in un colloquio con uno specialista per testare le reali motivazioni e in una visita medica. Superata la preselezione, l’aspirante legionario viene inviato al Comando Centrale di Aubagne, dove nei dieci giorni che seguono svolge test psicoattitudinali e visite mediche più approfondite. In questa fase le prove fisiche sono la corsa cadenzata, le trazioni alla sbarra, la salita alla fune di 5 metri, le flessioni addominali ed il test “Luc lèger” (per determinare la velocità aerobica del candidato). Se supera questi test il legionario può finalmente firmare il contratto di arruolamento e iniziare il suo percorso di formazione, che dura quindici settimane, prima di integrare uno dei reggimenti della Legione Straniera. «Io ho fatto il corso a Djibuti – ci racconta Vittorio Augenti – poi in Burkina Faso e dopo mi hanno spedito nella base aerea militare di Bagram, in Afghanistan. Quello che ho vissuto in Legione mi è rimasto dentro. Spirito di corpo, una certa fratellanza e soprattutto l’assenza di paura, un’assenza di paura tale che rasenta quasi la follia».

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