Meglio in gruppo che da soli. Il tempo della competizione esasperata è finito. E anche se ci sarà sempre il primo della classe, gli italiani ottengono migliori risultati lavorando con i colleghi. Lo dice il Randstad Workmonitor, l’indagine realizzata dalla agenzia per il lavoro Randstad sul terzo trimestre 2014. Ma lo spirito collaborativo in ufficio non è una qualità innata: la capacità di fare squadra si sviluppa con l’esperienza, la conoscenza reciproca e l’acquisizione di specifiche competenze “sociali”. A dare una mano alla socializzazione tra colleghi di certo ci pensa anche la tecnologia: pc, tablet, smartphone e software innovativi permettono di comunicare senza limiti di spazio e tempo, aprendo nuove possibilità per il lavoro di team e spingendo verso la socializzazione.
«In Italia si denota una crescente attenzione verso il lavoro di gruppo, di cui sia lavoratori che aziende riconoscono la capacità di migliorare le performance», dice Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia. «Merito di una maggiore disponibilità dimostrata dai dipendenti a imparare le buone pratiche della cooperazione tra colleghi. E delle aziende che oggi incoraggiano la collaborazione, anche se ai datori di lavoro viene chiesto un ulteriore investimento per la formazione del team, sia in termini di risorse che di tempo dedicato. Di sicuro è finito il tempo della competizione esasperata tra i dipendenti, sostituito da un atteggiamento più attento e rispettoso del lavoro di sqaudra. Una nuova prospettiva culturale imposta anche dall’avanzamento tecnologico che rende il lavoro sempre più libero da vincoli di spazio e tempo. Se da un lato l’innovazione richiede una maggiore responsabilizzazione delle attività dei singoli, dall’altro sostiene la collaborazione tra colleghi grazie a nuovi strumenti di comunicazione».
Collaborativi non si nasce, si diventa Il 69% dei lavoratori italiani ottiene migliori performance lavorando in gruppo anziché in modo individuale. Una percentuale superiore alla media globale (60%), che vale all’Italia il settimo posto tra i 33 Paesi oggetto dell’indagine di Randstad. Il 67% dei lavoratori italiani oggi passa più tempo di 5 anni fa collaborando coi colleghi. Una tendenza comune al resto del mondo, ma in Italia la percentuale è superiore alla media (61%). Solo poco più di un italiano su tre (37%) pensa che la collaborazione non sia richiesta nel sua settore di lavoro.
Eppure, esclusivamente il 56% dei dipendenti italiani ritiene le persone naturalmente collaborative, come se si trattasse di una dote naturale che assicura una partecipazione spontanea. Una prospettiva che, nonostante l’importanza riconosciuta alla collaborazione. sembra indicare nel lavoro di team soprattutto una capacità da sviluppare nel tempo, con la giusta pratica ed esperienza sul campo. L’Italia e pochi altri Paesi latini (Argentina, Cile, Turchia, Messico e Spagna) si distinguono dal resto del mondo: sono quelli in cui l’effetto positivo del team sul posto di lavoro supera ampiamente l’idea che la collaborazione sia una tendenza “congenita”.
(Grafico tratto dal Randstad Workmonitor)
Cosa serve per collaborare La convinzione comune è che in Italia lavorare in team richieda due componenti fondamentali: specifiche competenze sociali e una consapevolezza delle esigenze degli altri componenti del gruppo per riuscire a trovare la strada giusta per operare insieme. L’83% degli italiani pensa che siano necessarie specifiche “social skills” alla collaborazione sul luogo di lavoro. E la stessa percentuale pensa sia essenziale conoscere le motivazioni che spingono i colleghi a aiutarsi reciprocamente per creare il giusto spirito di collaborazione (87%).
La quasi totalità, ben il 91% dei lavoratori, pensa che la collaborazione cresca di importanza con l’avanzamento della tecnologia, una percentuale superiore alla media globale (87%). Ben vengano gli strumenti e i software che permettono di collaborare a distanza e tutti gli strumenti innovativi per lavorare da remoto: vengono visti come opportunità e non ostacoli allo sviluppo della cooperazione. Con un’avvertenza: nonostante tutto, il 78% degli italiani riesce a collaborare meglio lavorando faccia a faccia, piuttosto che in team virtuali o lavorando con colleghi dislocati in sedi diverse. E su questo aspetto, comunque, le aziende possono fare molto: solo il 55% dei dipendenti riconosce che il datore di lavoro provvede a tutti gli strumenti e alla formazione necessari a facilitare il lavoro in team virtuali.
Il ruolo dei datori di lavoro Le aziende come sono attrezzate? Secondo i dipendenti, sostengono il lavoro di gruppo, ma i risultati non sono ancora del tutto soddisfacenti. Il 72% dei lavoratori riconosce che i processi e le pratiche della loro organizzazione incoraggiano la collaborazione anziché la competizione individuale. E per il 61% questa viene riconosciuta e premiata nell’organizzazione (in linea con la media globale 62). Ma non è sufficiente. Per l’81% dei dipendenti il datore di lavoro dovrebbe passare più tempo a promuovere la collaborazione (una percentuale ben superiore alla media globale, pari al 74%).
L’importanza della diversità Per il 68% dei lavoratori italiani, un team con membri diversi ottiene prestazioni migliori di una squadra con membri simili (73% media globale). Ma cosa significa esattamente “diversità”? Avere in squadra persone differenti per esperienze di lavoro, competenze e capacità varie (secondo l’82%), ma anche età, sesso e background culturale (74%). Anche in questo caso, l’azienda potrebbe fare meglio: solo per il 59% dei dipendenti il datore di lavoro fornisce strumenti e formazione per facilitare il lavoro in diverse squadre.