Da vile ragioniere com’i’ sono e fui, sono saltato sulla sedia quando ho visto la slide numero 3 usata ieri da Matteo Renzi nella conferenza stampa di presentazione della legge di stabilità 2015. Trovo la suddivisione delle varie voci tra “entrate” e “uscite” alquanto bizzarra. Ma non è questione di pignoleria contabile. Il fatto è che quella suddivisione mette in ombra la sostanza economica, che risulta essere la seguente: con la legge di stabilità 2015 abbiamo riduzione della pressione fiscale per 12,6 miliardi (tanto di cappello, ma non sono 18 come affermato da Renzi) che viene finanziata per circa un terzo con riduzione di spesa e per circa due terzi con nuovo debito. Persiste quindi l’errore di ridurre la pressione fiscale senza ridurre corrispondentemente la spesa, e questo vale anche sotto l’ipotesi che i non meglio specificati risparmi per 15 miliardi della ’’spending review’’ si materializzino effettivamente. In questo breve post illustro come si giunge a questi numeri riclassificando le voci nella slide numero 3 in un modo più rigoroso di quanto è utile ai fini di comunicazione politica.
Il bilancio presentato da Renzi
Il “bilancio” contenuto nella slide numero 3 è riprodotto qui sotto. In questa riproduzione etichetto ogni riga con una lettera dell’alfabeto per identificare più rapidamente le singole voci successivamente. Come illustrato da Renzi, ci sarebbero 36 miliardi di entrate e 36 miliardi di uscite.
Chiariamo innanzitutto rispetto a cosa sono calcolate queste variazioni. Fonti affidabili mi dicono che si tratta di variazioni rispetto al bilancio di previsione 2015 a legislazione vigente. Per essere chiari, questo significa che in quanto segue non sto considerando le riduzioni di spesa e tasse già avvenuti nel 2014 e quindi già incorporati nel bilancio di previsione 2015 (nota: con poco rigore, qui e in quanto segue uso per brevità il termine “tasse”, ma quello che intendo sono imposte, tasse e contributi). L’unica eccezione è il “bonus 80 euro”, col quale il governo sta facendo un po’ il gioco delle tre carte: se lo presenta come nuova riduzione di tasse oggi, allora mentiva quando diceva che era permanente; se invece non mentiva quando diceva che era permanente, allora non si tratta di nuova riduzione di tasse. Ma transeat, capisco il beneficio politico di rendere saliente il “bonus 80 euro” a ogni occasione e non mi aspetto quindi che prevalga l’onestà intellettuale qui.
Quest’ultima dovrebbe però prevalere nella classificazione delle voci. Guardando la tabella qui sopra appare, per esempio, molto bizzarro classificare il maggior deficit come un’entrata. Certo, se prendo a prestito 11 miliardi emettendo nuovi titoli del debito pubblico entra denaro nelle casse dello stato, ma non si tratta di un’entrata nel senso di un conto economico. Confusione simile per i 15 miliardi dalla spending review, che non sono entrate ma minori spese, o la riduzione di Irpef (“bonus 80 euro”) e Irap, che non sono uscite ma minori entrate.
Una riclassificazione
Qui è dove un po’ di pignoleria contabile non fa male, soprattutto se aiuta a chiarire la sostanza economica contenuta nella legge di stabilità 2015. A questo scopo, suggerisco di mettere ordine partendo dal fatto che nel conto economico dello stato ci sono, essenzialmente, due cose: la spesa pubblica da un lato e le tasse (nel senso ampio di cui sopra) e le entrate non fiscali dall’altro. Riclassifichiamo quindi le voci contenute nella slide numero 3 distribuendole tra questi due lati, e usando anche i segni “+” e “-“. Quindi, una voce con segno “-” dal lato della spesa è una riduzione di spesa, e una voce con segno “-” dal lato delle tasse è una riduzione del prelievo fiscale.
Il risultato è la tabella qui sotto. Alcune note rapide per illustrare i criteri che ho utilizzato (ma dovrebbero essere evidenti) e il quadro che emerge da questa semplice riclassificazione.
Lato spesa. ’’Spending’’ e ’’Riprogrammazione’’ sono riduzioni di spesa (non sono sicuro di capire cosa sia la voce Riprogrammazione, credo si tratti di cancellazione di spese senza copertura ma non sono sicuro). Ammortizzatori (maggiori indennità di disoccupazione derivanti dal Jobs Act), Scuola, Giustizia, Roma e Milano, Cofinanziamento e Spese legislazione vigente sono ovviamente tutte maggiori spese, così come lo sono i 100 milioni di esborso atteso per garanzia pubblica all’operazione Tfr in busta paga e il miliardo di rilassamento del patto di stabilità per i comuni. Quindi, dal lato spesa, ci sono 16 miliardi di tagli e 11,6 miliardi di nuova spesa. La riduzione della spesa pubblica è quindi soltanto di 4,4 miliardi di euro. Queste sono le maggiori risorse dal lato spesa nella legge di stabilità 2015.
Lato entrate fiscali. I 3,8 miliardi dall’evasione, se arriveranno, saranno ovviamente maggiori tasse per il settore privato rispetto a quante ne avrebbe pagate a legislazione vigente nel 2015. Idem per le nuove tasse su Slot machine e Rendite. Tutto il resto, invece sono minori tasse via minori tasse e imposte (Irap componente lavoro, Eliminazione nuove tasse) e contributi (Contratto tempo indeterminato), o maggiori detrazioni: (Bonus 80 euro, Partite Iva, Famiglie, Ricerca e sviluppo). Quindi, dal lato tasse, ci sono 21 miliardi di tagli e 8,4 miliardi di maggiore pressione fiscale. Questi 8,4 miliardi sono quasi certamente una sottostima delle maggiori tasse derivanti dalla legge di stabilità perché come il governo stesso ammette è molto probabile che gli enti locali, le Regioni in primis, aumentino la pressione fiscale. La riduzione delle tasse è quindi (al più) di 12,6 miliardi di euro. Queste sono le minori risorse dal lato entrate fiscali nella legge di stabilità 2015.
Lato entrate non fiscali. 600 milioni dalla vendita di frequenze della banda larga.
Riassumendo, ci sono quindi 4,4 miliardi di maggiori risorse dal lato della spesa e 12 miliardi di minori risorse dal lato delle entrate. La differenza è di 7,6 miliardi, che il governo coprirà emettendo nuovo debito pubblico. L’emissione complessiva programmata è in realtà di 11 miliardi (pari allo 0,7% del Pil, da cui l’affermazione del governo che il deficit pubblico nel 2015 salirà dal 2,2% al 2,9%) perché il governo ha creato una riserva di 3,4 miliardi se qualcosa dovesse andare diversamente dal previsto (certamente una buona idea). Per esempio, se dall’evasione di recuperassero solo 800 milioni anzichè i 3,8 miliardi programmati allora il maggior debito messo a riserva coprirebbe l’ammanco di 3 miliardi. Visti i risultati della lotta all’evasione negli ultimi anni, questo scenario mi pare molto più probabile di quello sbandierato da Renzi. Ma, di nuovo, capisco che la comunicazione politica è importante e che dire “recupereremo 3,8 miliardi di evaso” è più efficace che dire “recuperemo 800 milioni e ci indebiteremo per altri 3 miliardi”. Quindi non mi aspetto che prevalga l’onestà intellettuale neppure qui.
Conclusione
Con la legge di stabilità 2015 abbiamo (rispetto al bilancio di previsione 2015 a legislazione vigente) una riduzione della pressione fiscale di 12,6 miliardi, ma questo è un limite superiore che verrà raggiunto solo se gli enti locali non aumenteranno la pressione fiscale in risposta ai tagli. Non sono pochi ma restano considerevolmente meno dei 18 reclamati da Renzi. La riduzione delle tasse viene finanziata per 4,4 miliardi (cioè per circa un terzo) con riduzione di spesa, per 7,6 miliardi (cioè per circa due terzi) con nuovo debito, e per 0,6 miliardi col ricavato dalle frequenze della banda larga. Questa modesta riclassificazione aiuta a rendere ancora più chiaro che il governo sta riducendo la pressione fiscale, cosa per cui bisogna dargli pieno merito, ma senza ridurre corrispondentemente la spesa. In particolare, si conferma l’irresistibile tentazione di utilizzare i risparmi della ’’spendig review’’ non per ridurre la pressione fiscale ma per finanziare nuova spesa di altro (o forse, chissà, in parte dello stesso) tipo. Il motivo è sempre lo stesso: la riduzione delle tasse porta applausi e voti alla maggioranza, la riduzione della spesa netta porta proteste e voti alle opposizioni. L’aritmetica contabile è però, anch’essa, spiacevole e anche in questo caso si sta solo rimandando il momento in cui o la spesa andrà ulteriormente tagliata e le tasse aumentate. A meno che l’economia italiana non riprenda a crescere a tassi vigorosi nei prossimi anni, cosa che sembra al momento del tutto improbabile.