Ci sono famiglie fatte da una mamma e una figlia, un padre e due figli, una mamma e due figli. Famiglie che non si vedono nelle pubblicità dei biscotti o in quelle delle merendine mentre fanno colazione intorno allo stesso tavolo. Eppure i nuclei familiari composti da un solo genitore in Italia sono ben il 16 per cento del totale. Nella maggioranza dei casi (85%) si tratta di mamme che convivono con uno o più figli. I padri sono molti di meno. Dietro ci sono separazioni, divorzi, lontananze forzate, fughe, scelte personali o anche la morte di uno dei due genitori. Storie difficili di madri e padri rimasti soli che faticano a far quadrare i conti, ma anche solo le ore della giornata.
Tecnicamente si chiamano famiglie “monoparentali” o “monogenitoriali”. Qualcuno, come Gisella Bassanini, preferisce chiamarle small families, famiglie piccole. Architetta, ricercatrice e mamma single, Gisella, insieme a Erika Freschi e Michele Giulini, a febbraio 2014 ha creato l’associazione “Smallfamilies”, dove la parola inglese all al centro indica che le famiglie “piccole” in fondo sono come tutte le altre. Nonostante le dimensioni ridotte. «I numeri sono tutt’altro che marginali», spiega Gisella. «Il 16% delle famiglie italiane è composto da un solo genitore. C’è poi l’altro genitore che per almeno la metà dei casi è presente nella vita dei figli e se ne occupa. Se a questo aggiungiamo le nuove forme di famiglia che sempre più sono presenti nel nostro Paese, ci appare un dato che nessuno può più nascondere: la famiglia è cambiata, anche in Italia». Intorno alla famiglia composta da mamma e papà seduti con i propri figli a fare colazione, la «geometria» è variabile. La definizione di smallfamilies racchiude forme e perimetri diverse. Dove il piccolo, small, «rimanda al singolo genitore o educatore che sia, che convive abitualmente con i figli o i minori a loro affidati e a loro dedica ogni giorno tempo, attenzioni, cure, impegno, amore, ma dove le relazioni, i problemi, le gioie, la complessità della vita quotidiana sono tutt’altro che piccoli».
Dietro le small families ci sono separazioni, divorzi, lontananze forzate, fughe, scelte personali o anche la morte di uno dei due genitori
E in fondo neanche le small families sono poi così piccole. Certo, la vita di una mamma o un padre single cambia se si è veramente sole o soli per crescere i figli o se si condivide questo compito con l’altro genitore dal punto di vista educativo, affettivo ed economico. «Tuttavia ci sono alcune difficoltà che accomunano le diverse storie e che amplificano i molti problemi che le famiglie italiane stanno vivendo e tanto più in questo periodo così duro», spiega Gisella. Perché se le politiche di sostegno alla famiglia sono scarse per una famiglia composta da padre e madre, figuriamoci se a portare avanti la baracca c’è un solo genitore. E spesso il lavoro del genitore small è l’unica fonte di reddito del nucleo familiare, quindi o si lavora o niente. È in questi casi che le famiglie “piccole” anziché restringersi si allargano: ai nonni, agli zii o agli amici, che danno un apporto fondamentale nella cura dei figli e sono – soprattutto per un genitore single – l’unico strumento di conciliazione tra il lavoro e la famiglia.
Partendo da un questionario online dal titolo “Di che taglia è la tua smallfamily?”, l’associazione “Smallfamilies” ha individuato cinque profili di genitori small. La maggioranza delle risposte è arrivata da donne, per questo quattro profili sono femminili e uno maschile. A loro Gisella e soci hanno assegnato cinque nomi provenienti da Le città invisibili di Italo Calvino. Eufemia è giovane, laureata, separata o divorziata da meno di cinque anni. Può contare sulla presenza dell’altro genitore per la cura e la crescita dei figli e per lei il problema principale è la solitudine. Dorotea è la donna small families più giovane. Laureata, non sposata, madre single da non più di cinque anni. Ha un solo figlio e può (e deve) fare affidamento sulla rete famigliare sia per la cura dei figli sia per far fronte alle necessità economiche. Spesso è costretta a convivere con i genitori. Zirma ha 45 anni, un diploma, è mamma small da più di cinque anni. È una donna costretta per vari motivi a contare solo sulle proprie risorse per la crescita e l’educazione dei figli, sotto tutti i punti di vista. Zenobia è mamma single da più di dieci anni, ha raggiunto la cinquantina, è diplomata, non potrebbe farcela senza l’aiuto della propria rete familiare, da cui riceve aiuto, in particolare per la cura dei figli. La sua è una vita di precarietà economica e lavorativa. Marcopolo è l’unico uomo di questo quintetto: è laureato, è genitore single da meno di cinque anni, è monoreddito ma riceve spesso un contributo dalla madre dei figli per la loro cura e crescita, desidererebbe avere più tempo per sé.
Dietro ai nomi delle Città invisibili, poi, ci sono le storie e i nomi veri. Come quello di Carmen, 43 anni, che dopo dieci anni di convivenza e due figli, da due anni è una mamma single. Per raccontare la sua nuova vita piena di «nuove difficoltà ma, anche e soprattutto, nuove opportunità», ha aperto anche un blog. Poi c’è Assunta, che con le figlie Giulia e Chiara porta avanti la sua small family. Il periodo successivo alla separazione dal suo compagno è stato brutto. «Inizio a fare mille piccoli lavoretti ma nulla, non riesco mai ad arrivare a fine mese», racconta. «Comincio a trascurare tutto, la casa, le bimbe, me stessa, mi sento inutile, una fallita senza via d’uscita. Passo da un lavoro all’altro sempre più infelice, una sera la cameriera, un giorno le pulizie, mai nulla di concreto. Poi un giorno, tornando a casa e guardando il mio frigo vuoto senza un soldo in tasca e con due bimbe che giocavano lì in terra senza capire cosa stava succedendo, mi sono detta: basta orgoglio, basta far finta che tutto vada bene, devi chiedere aiuto. Mi sono attivata subito e ho iniziato a chiamare un ufficio dove fanno corsi, per riprendere un corso come assicuratrice che avevo lasciato a metà anni prima». Da lì comincia la sua rinascita. Oggi ha un lavoro da assicuratrice e vive serena con le sue due bambine. «Noi tre insieme siamo una forza», scrive. E poi ci sono anche le mamme o i padri rimasti single dopo morte di uno dei due genitori. Isabella è una di queste, rimasta vedova quando la sua bambina aveva poco più di un anno. «Per fortuna ho un lavoro sicuro», racconta, «ma senza il sostegno, economico e non solo, dei miei genitori, non sarei stata in grado di reggere e portare avanti tutto questo, di lavorare mentre mia figlia aveva bisogno di essere accompagnata a scuola, in palestra o dalle amiche, ma soprattutto di fare un mutuo per una nuova casa potendo contare solo sul mio stipendio».
“Per fortuna ho un lavoro sicuro, ma senza il sostegno dei miei genitori non sarei stata in grado di portare avanti tutto questo, di lavorare mentre mia figlia aveva bisogno di essere accompagnata a scuola, in palestra o dalle amiche, di fare un mutuo con un solo stipendio”
Sono profili, dice Gisella Bassanini, che «parlano di solitudine, assenza di interlocutori, difficoltà di conciliazione famiglia e lavoro, mancanza di servizi dedicati». Un esempio? Partiamo dalla casa. «Una nostra socia non ha potuto partecipare al bando per l’housing sociale promosso da una realtà del terzo settore milanese perché il limite di età per accedere agli alloggi per famiglie monogenitoriali era 50 anni e lei ne ha 53 con una figlia di 12 anni. Manca una riflessione seria e una risposta che si adatti alle necessità abitative di queste famiglie. Spesso questo ambito è considerato, ma solo per i casi di più estrema fragilità, però c’è anche il ceto medio impoverito che non ha i requisiti per accedere all’edilizia sociale ma non ha un reddito sufficiente per accedere al libero mercato della locazione». Poi c’è il tema delle vacanze e del tempo libero. «Gli sconti si fanno alla presenza di due adulti», spiega Gisella Bassanini, «solo in rarissimi casi prevedono un adulto con bambini. All’estero non è così». E l’aspetto culturale: «La letteratura per bambini e ragazzi che non c’è, salvo pochissimi titoli. Manca un linguaggio in grado di rappresentare questo fenomeno: sia nelle parole che diciamo ogni giorno, si parla ancora di ragazza-madre o di ragazzo-padre o di matrigna, sia nelle istituzioni che, come per le leggi, non stanno al passo con la società che si evolve e muta».
Il problema è anche che «in Italia non si capisce esattamente cosa sia una famiglia monogenitoriale. Questa libera interpretazione di cosa sia e non sia è il risultato della mancanza di una politica chiara e integrata che coinvolge questa tipologia familiare». Basta guardare i provvedimenti che in Italia le istituzioni mettono in campo sul tema: diversi tra loro, frammentati e con requisiti che si adattano ad alcune ma non a tutte le famiglie monogenitoriali. Prendiamo il Fondo sostegno da 2 milioni di euro per i genitori separati della Regione Lombardia. I destinatari di questo fondo devono essere separati, quindi esser stati sposati in precedenza, avere figli minori e un ISEE non superiore ai 12mila euro. «Se sei una madre sola con tutti i requisiti, cioè con una fragilità economica e un Isee basso, ma non hai un matrimonio alle spalle ti arrangi», dice Gisella. Stessa situazione in Veneto, dove il sostegno è riservato alla «famiglie composte sa un solo genitore, dette monoparentali, sia dei coniugi in caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, in situazione di difficoltà economica e con figli minori». A Latina, invece, il Comune eroga un contributo alle madri sole, ma anche in questo caso devono essere separate o divorziate.
“L’Italia non è un Paese per famiglie, ma men che meno lo è per le smallfamilies”
«Le famiglie monogenitoriali sono una questione sociale e non necessariamente da servizi sociali», commenta Gisella. «Ma se abbiamo un problema, non sappiamo a chi rivolgerci. Riceviamo numerose email di genitori soli, madri e padri, che ci chiedono dove andare a chiedere aiuto che non è solo il pacco dei viveri che ti può offrire la Caritas. Siamo noi che cerchiamo di dire a loro dove andare a chiedere, ma noi non sappiamo cosa viene offerto (se viene offerto qualcosa) dai diversi comuni italiani. Abbiamo anche inserito nel nostro sito una lettera aperta alle istituzioni e anche un appello “istituzioni sensibili cercasi”. Ma non abbiamo avuto alcuna risposta né in un caso né nell’altro. L’Italia non è un Paese per famiglie, ma men che meno lo è per le smallfamilies».
Quello che esiste – poco o nulla – viene anche comunicato male. E riuscire ad accedere a un servizio o a un aiuto economico è una corsa a ostacoli. L’associazione “Smallfamilies” fornisce informazioni e notizie su quello che gli enti locali offrono, ha un osservatorio sull’Italia e sul mondo e anche un servizio di ascolto. «Siamo un’associazione senza scopo di lucro e abbiamo bisogno di essere sostenuti anche finanziariamente sia associandosi sia facendo una donazione», dice Gisella. Con questa intenzione è nato il progetto editoriale che prevede l’uscita di una serie di libri dedicati alle small families. Il primo uscirà alla fine di novembre con il titolo smALLChristmas, «un’antologia di racconti con storie scritte in soggettiva da persone comuni e note, dai 14 agli 80 anni, con al centro la festa più “familiare” dell’anno».