Il prossimo semestre, ogni mercoledì dalle 2 alle 5 del pomeriggio all’Università della Pennsylvania — una delle più prestigiose università private americane — partirà un ciclo di lezioni un po’ bizzarro dal titolo “Wasting Time on the Internet” (“Perdere tempo su internet”) organizzato e tenuto da un professore che si chiama Kenneth Goldsmith, che al Upenn insegna Poetics and Poetic Practice e che fuori dall’università è un poeta e uno scultore.
Il ciclo di lezioni di Goldsmith si inserisce in un piano di seminari di scrittura creativa e fa parte del programma del corso di laurea di Letteratura inglese. Al di là del titolo, che farà tremare le gambe ai puristi dell’accademia, lo scopo del corso è quello di cercare di provare che la Letteratura può nascere anche dalla noia e dal tempo apparentemente perso.
Così Goldsmith presenta il corso sul sito dell’Università della Pensylvania:
Passiamo le nostre vite di fronte allo schermo, per lo più perdendo tempo: controllando ossessivamente i social network, guardando video di gattini, chattando e facendo shopping. Cosa succederebbe se queste attività — cliccare, mandare SMS, aggiornare status e navigare a caso — fossero utilizzate come materiale grezzo per creare opere letterarie capaci di coinvolgere ed emozionare? Saremmo in grado di ricostruire la nostra autobiografia usando soltanto Facebook? Potremmo scrivere un grande racconto partendo dalla nostra timeline di Twitter? Potremmo rimodulare internet come la più grande poesia mai scritta?
E insiste: «Agli studenti verrà richiesto di stare davanti a uno schermo per tre ore, interagendo soltanto con chat room, bot, social network e mailing list» aggiungendo anche tutta una parte di letteratura critica — come ogni corso universitario — con tanto di lista bibliografica: Guy Debord, Mary Kelly Erving Goffman, Betty Friedan, Raymond Williams, John Cage, Georges Perec, Michel de Certeau, Henri Lefevbre, Trin Minh-ha, Stuart Hall, Sianne Ngai, Siegfried Kracauer e molti altri.
Intervistato da Vice, Goldsmith ha detto:
Sono stufo di leggere ogni settimana articoli sul New York Times che ci fanno sentire male perché spendiamo troppo tempo su internet, spezzettando la nostra attenzione. Io credo che pensare che internet ci faccia diventare più stupidi sia una stronzata. Io credo che ci renda più intelligenti e che sia questa la nuova moralità dell’era digitale, costruita sulla colpa e la vergogna.