Il Governo ha proposto di dare una nuova struttura alla retribuzione dei docenti. Anzianità, esperienza professionale, qualità professionale sono effettivamente fattori da combinare diversamente e con diversi pesi specifici.
Accettando l’impostazione a “crediti” e sorvolando sulla scelta – che non condivido – di escludere totalmente l’anzianità, certamente la scelta di come strutturare i “crediti didattici” rappresenta una sfida estremamente complessa. In particolare, senza un sufficiente grado di accettabilità sociale non c’è modello valutativo che possa operare. Sia che generi conflitto aperto, sia che inneschi conformismo opportunistico, il risultato è il medesimo: anche il miglior protocollo tecnico valutativo semplicemente non funziona.
I crediti didattici misurano il cuore del lavoro docente: l’insegnamento. L’assunzione di altre e diverse responsabilità (crediti professionali); l’impegno nell’attività di aggiornamento e formazione professionale (crediti formativi) presentano ovviamente problematiche definitorie, di misure, di pesi, di riconoscimenti. Tuttavia, sono “prestazioni” che sono abbastanza facilmente misurabili e documentabili; mentre ciò non è vero per la didattica, la cui qualità è più complessa da valutare.
Per essere attivata, la valutazione dei crediti didattici richiede di rimuovere la condizione di “individualità autonoma” dell’esercizio professionale del docente e di dare spazio all’osservazione, rilevazione e misura del lavoro concreto. Qui la forza (potenziale e concettuale) e qui la debolezza realizzativa del modello proposto ne “La Buona Scuola”.
Indico tre possibili direzioni non alternative e da esplorare in modo integrato.
La prima è radicale. Il nodo problematico del trasformare il lavoro didattico in “credito” (dunque valutabile) sta nel farne oggetto di osservazione diretta e “terza”. Occorrono valutatori professionali, formati ed esperti, a loro volta supervisionati. Il risultato di tale valutazione potrebbe avere rilevanza significativa anche rispetto alla carriera del docente e non solo rispetto alla progressione economica. Tale modello non è certo applicabile immediatamente nel nostro sistema (il numero di osservatori dovrebbe essere ingente), ma si possono iniziare a gettare le basi in questa direzione.
La seconda alternativa è quella di valorizzare i processi che tendono ad innalzare la componente tecnica del lavoro scolastico, ovviamente in presenza di strumenti capaci di rendere la procedura valutativa meno evanescente e più radicata su elementi diagnostici definiti. Ma ciò ovviamente non esime dall’elaborazione del giudizio e dunque dal lavoro di valutazione e dalle sue incertezze. In queste prospettive si può pensare a forme di peer evaluation. Un buon indicatore può essere ad esempio la produzione di “oggetti didattici” consolidati, applicabili e dunque di lavoro ripetibile. Sia chiaro che non ci si riferisce a oggetti non solo progettati, ma anche provati e testati.
Il terzo orizzonte è quello della rilevazione reputazionale. Si trasforma in credito il patrimonio della reputazione accumulata dal docente attraverso la sua attività. Si tratta ovviamente di un oggetto di osservazione non esclusivo che va inserito in protocolli valutativi più complessi. Anche la rilevazione di tale patrimonio, se deve essere confortata da qualche appropriatezza scientifica, è tutt’altro che semplice. Occorre per esempio allargare l’arco degli interlocutori e dei testimoni della reputazione includendo colleghi, dirigente scolastico, studenti, genitori, personale non docente. Più si allarga la rilevazione, più si compensano i rischi di conflitto, opportunismo e concorrenzialità impropria.
In conclusione, per procedere nella direzione dei crediti didattici sarà bene tenere conto di due questioni cruciali. Innanzitutto, un protocollo di valutazione del lavoro dei docenti è sempre un oggetto complesso di ricerca. Non ci sono ricette, ma la necessità di combinare diversi oggetti di osservazione, e dunque metodologie differenziate e singolarmente non esaustive. Quindi, l’osservazione sul campo di un occhio “terzo” è inevitabile: può essere più o meno compensata da altri elementi, come ad esempio l’autovalutazione, la valutazione tra pari, la valutazione “interna”, ma non può non esserci. Dunque occorre disporre di un significativo gruppo di valutatori professionali e supervisionati. È una bella impresa scientifica e un impegno di grande portata che non ha precedenti nella nostra scuola.
*Dirigente Tecnico dell’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche e Ispettore Tecnico del Miur