Era un mito, capace di insediare perfino la monarchia nelle classifiche britanniche sulla fiducia delle istituzioni. Oggi Tesco, la seconda catena di supermercati al mondo per fatturato (dopo Walmart) e la numero uno nel Regno Unito, è in ginocchio. Il valore alla Borsa di Londra, dove è stata per anni una stella dell’Ftse 100, si è dimezzato in pochi mesi, dopo aver toccato i 20 miliardi di sterline. Warren Buffet dice che acquistarne le azioni è stato un “enorme errore”. Otto top manager sono stati sospesi. Il presidente ha annunciato le dimissioni. Il tutto per uno scandalo finanziario che è più di un trucco contabile: è la fine della credibilità stellare della catena di supermercati più rispettata – e imitata – al mondo.
Fonte: London Stock Exchange
Lo scandalo rivelato da una gola profonda
Tutto è partito da un “whistleblower” che ha rivelato ai vertici della società di aver identificato un problema nel modo in cui venivano registrati i pagamenti dei fornitori. La gola profonda, che lavora nella funzione di contabilità e finanza, ha messo a punto un dossier secondo cui Tesco aveva sovrastimato i propri ricavi, per il primo semestre 2014, di 246 milioni di sterline. Il dato successivamente, è salito a 263 milioni di euro. Una volta rifatti i conti, i profitti prima delle tasse si sono ridotti a soli 112 milioni di sterline, il 92% in meno dello stesso periodo dell’anno prima.
Quello che è successo lo stanno cercando di capire gli accertamenti della società di revisione Deloitte. L’inchiesta si sta concentrando sulla tempistica dei pagamenti dei fornitori legati alle promozioni in-store, che sono spesso stabiliti con mesi di anticipo. Alcune spese sono state rinviate dal bilancio e alcuni incassi sono stati registrati con anticipo. Anche il Serious Fraud Office, l’autorità anti-frode londinese, ha aperto un’indagine, con risvolti penali.
Tesco per settimane, dopo le prime notizie sul buco di bilancio, ha parlato di “errori” di contabilità. Ma fonti vicine all’indagine hanno detto al Telegraph che la “gola profonda” che ha scoperchiato il trucco ne aveva già presentato evidenza ai precedenti vertici della società, ma era stata ignorata. Sempre il Telegraph ha scritto che un “piccolo gruppo” all’interno della società aveva deliberatamente ingannato i revisori contabili e che il comportamento è stato “inappropriato”.
Portare fuori strada gli auditor non è impossibile. «Nel mondo del retail una parte significativa dei ricavi è collegata alle iniziative promozionali realizzate con i produttori – spiega Sandro Castaldo, docente di Retail and channel management alla Bocconi -. Il problema di questi contributi promozionali è che non si manifestano in corrispondenza con l’attività specifica. Per esempio, se è previsto un premio di fine anno di 10 milioni, si contabilizzerà un anno dopo. Ma trattandosi di servizi e non di prodotti, c’è molta discrezionalità».
Questo tipo di ricavi, continua Castaldo, «vale il 15-20% del fatturato totale di un distributore. Dato che queste società hanno margini di guadagno dell’1% o poco più, questo cambiamento temporale può fare la differenza tra un bilancio in nero e uno in rosso».
Gli incubi: Walmart e i discount
La società nega che i cambiamenti contabili siano stati voluti e parla di errori. I dirigenti sono stati sospesi solo per non aver individuato l’errore e il presidente Richard Broadbent, annunciando le dimissioni per il prossimo anno, ha insistito sul fatto che nessuno lo ha spinto a darle e che stava facendo un passo indietro per dimostrare “accountability” e «dimostrare al mondo che i principi esistono».
Il presidente dimissionario di Tesco, Richard Broadbent (Andrew Cowie / AFP,ANDREW COWIE/AFP/Getty Images)
Ma sono in molti a pensare che dietro i trucchi contabili ci sia la pressione a cui sono stati negli ultimi tempi sottoposti i vertici. I conti, infatti, non tornano, per almeno tre tipologie di problemi: in primo la fallimentare esperienza negli Stati Uniti, dove il progetto dei supermercati Fresh & Easy ha divorato in sei anni 1,8 miliardi di sterline ed è costato il posto all’ex vice chief operating officer, Tim Mason. Poi il fatto che il segmento degli ipermercati si sia fermato. Infine la concorrenza sempre più dura da parte dei discount, Aldi e Lidl su tutti, che hanno determinato un calo dei ricavi del 4,6% nel primo semestre 2014 e del 56% dei profitti operativi di Tesco.
Secondo Castaldo, il problema di Tesco si chiama soprattutto Walmart, e in particolare risiede nella decisione di voler dare battaglia al colosso americano del retail. «Quando Walmart nel 1999 entrò nel mercato inglese comprando Asda – racconta il docente – Tesco era sostanzialmente un’azienda britannica. Da allora è entrata in 12 Paesi, andando a combattere Walmart nei suoi territori, dagli Stati Uniti alla Corea del Sud, in modo da attaccarla globalmente». Ma sconfiggere Walmart è un’impresa difficilissima, come ha sperimentato negli Usa la seconda catena per grandezza, Target. «Società come Tesco sono come elefanti sull’orlo del baratro – commenta Castaldo -. Fatturano centinaia di miliardi e hanno dei margini minimi. Se fanno uno sbaglio finiscono nel burrone». L’elefante, questa volta, ci è caduto e che possa uscirvi è tutto da vedere.
Il piede in Italia
Tesco ha dimostrato negli scorsi anni di essere all’avanguardia in moltissimi campi: nelle promozioni e offerte, nella comunicazione all’interno dei negozi (esiste anche un network televisivo al suo interno) e nella capacità di lanciare servizi innovativi, come la Tesco Bank, attiva dal 2009. Ma la sua forza principale è la gestione delle informazioni sulla clientela, attraverso il suo sistema di Crm (customer relationship management). Da qualche anno le attività di Crm sono state separate in una società dedicata, la Dunnhumby.
In questi anni, spiega Castaldo, questa azienda è stata usata come il grimaldello per entrare in tutti e 12 i nuovi Paesi. Prima scelgono un partner con cui fare un’alleanza, offrendo servizi di Crm. Poi, se il sistema ha successo, Tesco si compra l’azienda oggetto dell’alleanza. È successo così in Europa, Turchia, Stati Uniti, e in parte anche in Italia. «La società è entrata in Italia e ha provato a fare un accordo con Esselunga, che però ha rifiutato. Successivamente ha fatto un accordo con Pam», spiega il docente.
Cosa succederà in Italia non è però chiaro. Anche perché tra le ipotesi degli ultimi giorni c’è la possibilità che Tesco ceda Dunnhumby, così come le attività in Asia. Il nuovo ceo, Dave Lewis, parla della necessità di un “ritorno alle origini”, che è partito dalla vendita del jet privato Gulfstream da 50 milioni di dollari e che proseguirà probabilmente con un ribasso dei prezzi. Ma per ricostruire un mito ci vorrà molto tempo.