A Tor Sapienza vince la rivolta, i rifugiati vanno via

A Tor Sapienza vince la rivolta, i rifugiati vanno via

Tor Sapienza è un quartiere blindato. Appena scende la notte le pantere della polizia girano senza sosta lungo viale Giorgio Morandi, un anello d’asfalto che circonda il lungo serpentone dei palazzi popolari dell’Ater. Sotto la pioggia che batte incessante, decine di agenti in assetto antisommossa presidiano l’ingresso del centro per rifugiati assaltato negli ultimi giorni. A illuminare i caschi e le camionette sono i lampeggianti delle pattuglie, del resto qui i lampioni hanno smesso di funzionare da tempo. Dopo le violenze delle ultime ore l’aria è tesa, il silenzio irreale. Ma almeno la massiccia presenza delle forze dell’ordine riesce a scongiurare un’altra notte di scontri. Dopo due serate di cariche e bombe carta, in Campidoglio possono tirare un sospiro di sollievo. Eppure, nonostante la militarizzazione del quartiere, verso l’ora di cena un immigrato congolese si presenta alle porte del centro, la testa sanguinante. È l’ultima vittima della guerriglia. Ai presenti racconta di essere stato aggredito da un gruppo di italiani. Passano poche ore, nella mattinata di giovedì ancora tensioni, lanci di oggetti e urla da parte di alcuni residenti indirizzati alla struttura d’accoglienza.

Ci sono più di mille famiglie nell’alveare di viale Morandi. Per salire sulla collina delle case popolari bisogna prima attraversare gli stradoni alberati di viale Giorgio De Chirico. La toponomastica scelta anni fa in Campidoglio ha il sapore della beffa. Tra gli scheletri di palazzi appena costruiti e la triste impronta dell’edilizia anni Settanta, a scandire le vie di questa periferia è il ricordo dei principali pittori italiani. Tor Sapienza è anche questo. Un quartiere di Roma lontano anni luce dalla città. Sorto ai margini orientali della Capitale, quindicimila abitanti nell’ultimo lembo di terra prima del grande raccordo anulare. Una borgata difficile, dove la prima impressione confermata da tanti residenti è quella dell’abbandono. 

Fino a poco tempo fa il Comune aveva assicurato almeno la presenza fissa di un vigile urbano. «Adesso ci hanno tolto anche quello» racconta Roberto Torre, vicepresidente del comitato di Tor Sapienza. I politici non si vedono. Qui non conviene nemmeno venire a fare promesse. «Non cercano voti – continua Torre – Tra queste case ci sono novemila elettori, troppo pochi rispetto ai quartieri vicini come Centocelle e Tor Tre Teste. E così da vent’anni ci ha abbandonato anche la politica». Non bisogna faticare troppo per farsi raccontare i drammi di tutti i giorni. I cumuli di spazzatura lungo le strade, pulite in fretta e furia nelle ore dopo gli scontri. I furti che si succedono sempre più frequenti. Nei bar ricordano la vecchietta scippata in strada della pensione pochi giorni fa, l’anziano preso a pugni per dieci euro e rimasto a terra con la mascella fratturata. 

E poi ci sono “gli altri”. Nel quartiere ammettono di sentirsi accerchiati. C’è il centro per rifugiati in via Collatina, nei vecchi uffici Inpdap, dove alloggiano almeno trecento immigrati. Il campo rom di via Salviati ospita circa quattrocento persone. Gli insediamenti abusivi spuntano come funghi. «Intanto questa è diventata la nuova terra dei fuochi – raccontano esasperati al comitato di quartiere – In tutta l’area di Roma Est il traffico di rifiuti è ormai fuori controllo. Nei campi rom i roghi tossici non si contano. E mentre i vigili del fuoco ormai si rifiutano di intervenire senza scorta, le centraline del Comune non sono nemmeno in grado di calcolare la diossina che respiriamo».

La gente di Tor Sapienza si lamenta della prostituzione, un giro di transessuali che attira clienti da buona parte della città. È tutto concentrato nella stessa zona. A poche centinaia di metri dai palazzoni di viale Morandi si allunga il mattatoio, un’enorme struttura che arriva fino alla Palmiro Togliatti. Proprio qui dovrebbe sorgere il primo supermercato Esselunga della Capitale. Di notte il piazzale davanti al centro carni si trasforma in uno dei più osceni mercati della Capitale. Nel quartiere la chiamano la “ztl del sesso”. Per fermare il giro, in Campidoglio hanno provato persino a inibire l’accesso alla strada dalle 20 al 6 del mattino. Senza risultati. Basta passare con l’auto per scoprire l’incessante via vai di clienti, come le prestazioni consumate a pochi passi dai palazzi che affacciano sul parcheggio. A via Longoni, poco distante, i cittadini si sono arresi. Per evitare le aggressioni da parte dei transessuali che si prostituiscono hanno chiesto e ottenuto almeno di spostare la fermata dell’autobus. 

E poi a Tor Sapienza c’è il piccolo centro gestito dalla cooperativa “Un sorriso”, aperto tre anni fa proprio di fronte alle case popolari di viale Morandi. Frettolosamente eletto a simbolo del disagio. Una settantina di immigrati, tutti richiedenti asilo. Egiziani, maliani, afghani. Minori e adulti finiti al centro della rabbia di chi per due notti ha tentato di assaltare la struttura. Pretesto inaccettabile per sfogare la frustrazione di un situazione ormai invivibile. Eppure che i problemi del quartiere siano tanti non è un mistero. Le richieste di aiuto dei residenti si levano da mesi. In Campidoglio arrivano mail di protesta ogni giorno. Almeno fino a lunedì scorso, quando una scintilla ha dato fuoco alle polveri. È sera quando nel quartiere si sparge la voce di un tentato stupro. Una ragazza denuncia di essere stata aggredita nel piccolo parco pubblico da alcuni uomini con l’accento est europeo, poi messi in fuga dal suo pitbull. «Abbiamo portato avanti proteste pacifiche e legali – spiegano ora dal comitato di quartiere – ma in queste situazioni la rabbia esplode sull’aspetto più innocuo, magari nella zona più calda». Ad esempio nei palazzoni di viale Morandi, dove tra disoccupazione e case popolari spesso il disagio fa il paio con lo spaccio di droga.

Intanto esplode la guerriglia. Lunedì sera una prima rivolta dei cittadini contro il centro dei rifugiati viene sedata dall’intervento della polizia. Il giorno successivo la gente scende in strada. Quattrocento persone, donne, anziani, famiglie. Nella tarda serata è il caos, come racconta la Questura: «Le due pattuglie poste per la vigilanza fissa a salvaguardia del centro di prima accoglienza sono state raggiunte da 70/80 persone, molte delle quali travisate e armate di bastoni, che iniziavano un fitto lancio di oggetti contundenti e bombe carta nei confronti degli agenti e del centro». Lo scontro prosegue. I manifestanti piazzano i cassonetti al centro della strada e li incendiano sbarrando l’accesso ai rinforzi della polizia. Dai palazzoni volano oggetti all’indirizzo delle forze dell’ordine. E il centro dei rifugiati diventa un fortino: «Martedì sera i ragazzi erano terrorizzati – racconta Gabriella Rubino, responsabile dei minori – hanno staccato le porte e bloccato le uscite di emergenza per barricarsi dentro». Dalle finestre piovono anche alcune sedie, «legittima difesa». Alla fine saranno quattordici le persone ferite e otto gli automezzi della Polizia danneggiati. La Procura apre un fascicolo e indaga sulla presenza di infiltrati. «Ma ormai è caccia all’uomo – denunciano dal centro di accoglienza – i nostri ospiti devono camminare a testa bassa. Ieri un giovane bengalese era uscito per prendere l’autobus ed è stato picchiato alla fermata». Gli stessi operatori si sentono accerchiati: «Non andiamo più nemmeno al bar per prendere un caffè, hanno giurato che ci avrebbero ammazzato». 

È solo una questione di razzismo? «Sarebbe un grosso errore interpretare politicamente queste vicende – spiegano dalla Polizia Locale di Roma Capitale – Qui non c’entra solo il colore dalla pelle: è una questione di convivenza civile». Gli addetti ai lavori portano l’esempio di Torre Angela, borgata periferica in cui la comunità africana si è integrata da tempo senza problemi. E qualcuno si spinge oltre la linea del politicamente corretto: «I romani sono stati fin troppo pazienti… Da un’altra parte d’Italia sarebbe successo di peggio». Anche il comitato di quartiere di Tor Sapienza respinge gli addebiti: «Alle proteste, prima che degenerassero, hanno partecipato donne e anziani. Sapete qual è la verità? Le istituzioni hanno scaricato nel quadrante est di Roma tutto quello che non era di facile soluzione». La musica è la stessa che, informalmente, si ascolta in autorevoli ambienti della Polizia Locale: «Un rifugiato non crea nessun allarme sociale, ma quando diventano migliaia, magari concentrati nella stessa area, il discorso cambia». Gli assediati di viale Morandi la vedono diversamente. Gabriella Errico è la direttrice della Cooperativa “Un Sorriso” che gestisce la struttura di immigrati. «Questo è un quartiere difficile e il degrado c’era anche prima del 2011, quando ha aperto questo centro. Oggi ci considerano responsabili di tutti i problemi: dalla droga alla prostituzione, dai furti agli stupri. Ma siamo noi le prime vittime di tutto questo».

Nella caccia ai responsabili si consolidano altre certezze. «A Tor Sapienza è andata in scena la prima vera rivolta popolare». Non hanno paura ad usare questo termine le fonti della Polizia Locale raggiunte da Linkiesta. «È successo in questo quartiere, ma le stesse dinamiche potrebbero ripetersi in molte altre periferie della Capitale dove il tasso di esasperazione è altissimo». La battaglia di viale Morandi riassume plasticamente la guerra tra poveri in atto nelle borgate romane. Da una parte della strada il centro rifugiati, dove minorenni scappati dalla guerra vengono avviati al percorso scolastico e lavorativo tra mille difficoltà. Sul marciapiede opposto masticano amaro i residenti delle case popolari. Agli immigrati contestano schiamazzi, malcostume e furti: «Ma se queste cose le facciamo noi ci arrestano subito», spiegano ai giornalisti. C’è chi si sfoga perché è disoccupato e chi recita a memoria la lista dei problemi del quartiere. 

Gabriella Rubino taglia corto. «Sin dall’inizio abbiamo avuto rapporti difficili con il quartiere. Io l’ho sempre letto come un problema di razzismo». Intanto Tor Sapienza conquista le prime pagine dei giornali. Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini ha promesso che a fine mese sarà in visita per portare la sua solidarietà ai residenti. Tra i palazzoni popolari nessuno sembra entusiasmarsi più di tanto. «Di turisti per caso ne abbiamo visti parecchi», raccontano. L’europarlamentare leghista Mario Borghezio, invece, arriverà domani. Sarà a viale Morandi, davanti al centro per i migranti. Ma gli ospiti della struttura gestita dalla cooperativa “Un sorriso” forse non riusciranno nemmeno a vederlo. Gli effetti della rivolta si sono fatti sentire. I primi due minori sono stati allontanati poche ore dopo l’aggressione di martedì sera. Per tutelare la sicurezza, gli altri rifugiati del centro vengono trasferiti nella giornata di giovedì. «Il centro sarà smantellato» conferma un dirigente di polizia mentre incontra i manifestanti del quartiere. «Marino si è preso l’impegno»

Alla fine ha vinto il paradosso, quindi la protesta violenta. In tutta fretta il sindaco ha ricevuto in Campidoglio i comitati di quartiere e un gruppo di residenti di viale Morandi. «Abbiamo portato una lunga lista di richieste, quelle che facciamo da anni con documenti, foto e segnalazioni circostanziate». Interventi per incrementare l’illuminazione pubblica, la pulizia e la manutenzione delle strade. Un argine alla questione rom, alla prostituzione e ai centri di accoglienza per gli immigrati. Il primo cittadino ha preso l’impegno di risolvere tutte le criticità. Ai residenti del quartiere, la promessa di un sopralluogo «in incognito» nelle prossime ore. Nel frattempo, il centro per rifugiati sarà chiuso e i suoi ospiti trasferiti. In un’altra periferia romana.

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