L’economia russa è in serie difficoltà. Mosca è isolata politicamente sul lato occidentale, dove la crisi ucraina ha creato un fossato tra il Cremlino e le cancellerie europee. Con Bruxelles è scontro aperto, così come con Washington. Tra Stati Uniti e Russia si è tornati ai toni della Guerra fredda. Ma c’è l’altra faccia della medaglia: sul lato interno Vladimir Putin è più forte e popolare che mai e su quello orientale internazionale, cioè non solo transatlantico, proprio solo non è. La fuga dal G20 di Brisbane è stata criticata anche a casa propria, dove lo scatto di nervi del Presidente è stato accolto con una certa sorpresa, anche perché tra i rappresentanti dei venti Paesi più industrializzati qualche amico forse c’era, a partire dal numero uno cinese Xi Jinping. Con Pechino il rapporto non è mai stato facile e lineare, ma Putin non ha scoperto l’altro ieri che la Cina è un partner fondamentale strategico, cioè geopolitico ed economico, per l’equilibrio di quel nuovo ordine mondiale che secondo Mosca non deve pendere solo dalla parte degli Stati Uniti.
Il conflitto ucraino ha rafforzato le relazioni economiche tra Russia e Cina
Le relazioni economiche sino-russe sono diventate reciprocamente essenziali e non sono frutto dello spostamento che è avvenuto da quando il conflitto ucraino ha cominciato a pesare sulla scacchiera mondiale. La prova viene naturalmente dal contratto del secolo sul gas, firmato quest’anno tra Mosca e Pechino, ma le cui radici vanno indietro di un decennio, in tempi poco sospetti, in cui Vladimir Vladimirovich guardava all’Europa, ma sapeva che il futuro era a Est. Anche se i 400 miliardi di dollari stimati per le forniture russe sino al 2030 sono forse esagerati, è chiaro che la fiducia tra le due parti esiste. Dal 2010 la Cina è il primo partner commerciale per la Russia. Dal 2000 al 2012, cioè da quando Putin è arrivato alla Presidenza, il volume d’affari è più che decuplicato, passando da 8 a 87,5 miliardi di dollari. Nel 2013 è stato di oltre 66 miliardi di dollari, nei primi sei mesi del 2014 di 43. Entro il 2020 dovrebbe arrivare a 200. I legami economici non significano automaticamente alleanze politiche, stanno però a indicare che la Russia ha i suoi punti d’appoggio.
Mosca sta reagendo alla crisi economica
Tolti i Paesi europei occidentali, che nonostante le difficoltà delle sanzioni hanno rapporti ottimi e abbondanti con la Russia (in prima fila, per ordine di importanza, Olanda, Germania e Italia), ad avere strette relazioni con Mosca sono ovviamente gli ex Paesi dell’ex Urss (Ucraina e Bielorussia) e la Turchia. Nel 2013 la Russia ha investito per quasi 60 miliardi di dollari all’estero, dallo spazio postsovietico all’Europa, all’Asia. I settori privilegiati sono quelli della finanza e dell’energia, seguiti da nuove tecnologie e trasporti. Mosca insomma non sta ferma, si muove, cerca di reagire a quella pesantezza di un modello di gigante dai piedi d’argilla che si sposta come un bradipo solo sulla spinta dell’export delle proprie risorse naturali. Se l’economia singhiozza e per il prossimo anno è prevista in sostanza crescita zero, Putin assicura che il Paese è pronto per sopravvivere alla frenata e agli effetti collaterali, come il crollo del rublo, o la fuga di capitali (una cinquantina di miliardi di dollari solo nella prima metà del 2014).
Unione Eurasiatica ancora allo stato embrionale
Un discorso separato deve essere fatto per quello che doveva essere il nuovo asse portante politico-economico della Russia dei prossimi decenni e che invece è ancora in uno stato poco più embrionale. L’Unione Euroasiatica che partirà dal 2015 con Bielorussia, Kazakistan e Armenia, avrebbe dovuto concettualmente inglobare anche l’Ucraina, ma il progetto è andato di fatto a rotoli. Mosca ha reclutato Astana e Minsk, inghiottito Erevan, ma senza Kiev e il mercato ucraino il piano è traballante. Difficile prevedere cosa ne verrà fuori e quali saranno le possibilità di integrazione delle altre repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, rette ancora da autocrati d’altri tempi e in bilico tra il proprio incerto presente d’indipendenza e vicini ingombranti, dalla Russia alla Cina. È certo però che anche attraverso l’Unione e la vicinanza sia geografica che potenzialmente strategica agli attori regionali che gravitano intorno alla direttrice tra Caucaso e Pamir, da Ankara sino a Pechino passando per Teheran, il Cremlino potrà permettersi di distogliere lo sguardo dall’Europa e percorrere nuove strade.