La rottamazione c’è, ma non si vede. La politica italiana avrà pure cambiato verso, ma alcuni riti sembrano sempre gli stessi. Certo, adesso l’Italia ha un presidente del Consiglio giovane, mediaticamente innovativo, efficace. L’epoca delle riforme è stata finalmente avviata (resta da vedere se gli ambiziosi obiettivi saranno raggiunti). Eppure a seguire le cronache di Palazzo si rimane spesso colpiti una fastidiosa sensazione di déja vu. Riunioni di maggioranza, scontri tra correnti, eserciti di franchi tiratori, decine di partitini pronti a ricattare l’esecutivo. Nel migliore dei casi, roba da prima Repubblica.
L’hanno chiamata rottamazione, assomiglia a una restaurazione. Come descrivere altrimenti quella lunga lista di invitati che poche sere fa si sono presentati a Palazzo Chigi per sottoscrivere un’intesa sulla legge elettorale? Nel raccontare l’arrivo a piazza Colonna di una decina abbondante di leader di partito – le cui sigle restano a volte un mistero – c’è chi non ha esitato a rispolverare la vecchia Unione di Romano Prodi. Seduti attorno a un tavolo, gli esponenti di tutti i gruppi parlamentari che sostengono l’esecutivo hanno concordato la nuova versione dell’Italicum. Rappresentanti di partiti talvolta inchiodati allo zero virgola qualcosa. Parlamentari sconosciuti al grande pubblico, qualcuno persino agli addetti ai lavori. C’erano i delegati del Partito democratico, ovviamente. E con loro quelli del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Ma anche i legati del Centro democratico, Per l’Italia, Scelta Civica, Maie, Socialisti. Insomma, un format già visto. Un vecchio vertice di maggioranza, di quelli che andavano tanto di moda qualche anno fa.
Eppure la politica italiana ha cambiato verso. Il leitmotiv degli ultimi mesi è sempre lo stesso: «Il governo parla con tutti, ma decide da solo». Ecco un altro proposito che rischia di rimanere nel cassetto delle buone intenzioni. Abbassando le soglie di sbarramento al tre per cento – così al momento prevede la nuova legge elettorale – il Parlamento italiano resterà popolato di tanti piccoli cespugli. Partiti e partitini destinati a frazionare oltremodo i fronti di maggioranza e opposizione. E che difficilmente accetteranno di rimanere in silenzio.
Cambia la sostanza della politica italiana, non la forma. Ad esempio restano di grande attualità gli intrighi di Palazzo che hanno caratterizzato tanti passaggi della prima Repubblica. Le congiure parlamentari, croce e delizia di tanti politici, sono ancora all’ordine del giorno. È accaduto con l’ultima elezione del presidente della Repubblica e durante le più recenti nomine dei giudici della corte Costituzionale. Battaglie combattute nel segreto dell’urna da eserciti di franchi tiratori. Ne sa qualcosa Romano Prodi, impallinato dai misteriosi 101. Ma anche i numerosi esponenti scelti da Forza Italia per salire alla Consulta, immancabilmente accoltellati alle spalle da anonimi sicari. Del resto le correnti di partito sembrano più vive che mai. Il presidente del Consiglio ne ha sempre preso nettamente le distanze. «Non chiamateci renziani, sembra una malattia», ricordava spesso ai giornalisti. Peccato che l’ultima kermesse fiorentina della Leoploda sia stata interpretata da molti come l’ennesima riunione della componente fedele al premier. Oppure, così si sarebbe detto fino a qualche tempo fa, come la più classica delle iniziative di corrente.
Che poi risulta difficile cambiare veramente verso, se i protagonisti sono sempre gli stessi. Non è il caso di scomodare Massimo D’Alema, tornato sulla ribalta politica proprio grazie agli scontri con il presidente del Consiglio. Meglio concentrarsi sul protagonista indiscusso della Seconda Repubblica, Silvio Berlusconi. Perso il titolo di Cavaliere, il leader di Forza Italia sembra aver decisamente scampato la rottamazione. Con il capo del governo ha sottoscritto il patto del Nazareno. Il più discusso – e talvolta romanzato – accordo politico che si ricordi. È stato costretto a sottoscrivere l’intesa per non finire ai margini della scena, spiegano oggi tanti commentatori. E forse è pure vero. Intanto, però, si è guadagnato la possibilità di sedere da protagonista al tavolo delle trattative quando il Parlamento sceglierà il nuovo presidente della Repubblica. Non è proprio un premio di consolazione.