Barack Obama si avvicina all’Iran

Barack Obama si avvicina all’Iran

Il 9 ottobre 2009 il comitato di Oslo gli ha conferito il Premio Nobel per la Pace. Da quel momento Barack Obama è diventato un Presidente vittima delle aspettative che il mondo ha riposto in lui. Nel giugno 2009 Obama aveva annunciato al Cairo un «nuovo inizio con l’Islam», promettendo entro l’agosto successivo il ritiro del contingente combattente dall’Iraq, e tutti gli uomini entro il 2012. Gli Usa si preparavano a lasciare il Medio Oriente. 

Cinque anni dopo e tre elezioni dopo, il Presidente Obama guarda da Washington a un Medio Oriente caotico, frammentato, in balia di milizie jihadiste che non lasciano immaginare nessun ritorno all’ordine in tempi stretti. E fa i conti con i risultati di una politica estera che più di tutte sembra – commentano gli analisti all’indomani delle elezioni di midterm – aver contribuito alla sua sconfitta.

In questo scenario, conseguenza anche del ritiro degli Stati Uniti dall’area, Obama sembra tentare una nuova carta: l’Iran, uno dei protagonisti dell’«asse del male» di George Bush, Paese sciita, tradizionale nemico delle monarchie sunnite del Golfo con cui finora gli States sono stati alleati in Medio Oriente, Arabia Saudita in primis.

Il 6 novembre scorso, mentre i negoziati sul nucleare iraniano continuano, il Washington Post ha rivelato l’invio da parte dell’Amministrazione Obama di una lettera segreta indirizzata ad Ali Khamenei, la Guida Suprema dell’Iran, ed ex-Presidente iraniano tra 1981 e 1989.

Secondo le fonti anonime citate dal giornale, la lettera indica nell’Isis, il gruppo jihadista che ha già conquistato ampie parti di Siria e Iraq, un comune nemico di Usa e Iran. Nello stesso documento, l’amministrazione Obama segnala che le operazioni degli Usa in Siria non stanno colpendo Assad – alleato storico dell’Iran – o le sue forze di sicurezza.

Donne iraniane davanti al muro dell’ex ambasciata Usa il 4 novembre 2014 nel 34esimo anniversario dell’assalto del 1979

(Majid Saeedi / Getty Images)

Tra Stati Uniti e Iran le relazioni diplomatiche sono bloccate dalla crisi degli ostaggi del 1979. «Far ripartire buone relazioni con Teheran e chiudere la questione nucleare sarebbe un risultato storico di cui Obama ha bisogno», commenta Claudio Neri, docente e direttore dell’Istituto Italiano di Studi Strategici. Che tuttavia avverte «Anche di trattati tra Usa e Urss durante la Guerra Fredda ne sono stati firmati diversi, senza che la situazione di fondo cambiasse».

«La notizia della lettera segreta mi sembra credibile, commenta Gianluca Pastori, Professore di Storia delle relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, anche se ho qualche riserva sui contenuti. Al di là di Isis, il Presidente ha interesse a portare a casa un accordo con l’Iran». Per un duplice motivo. «In prospettiva regionale, Obama sembra aver capito che la stabilizzazione del Medio Oriente passa attraverso una normalizzazione dei rapporti con l’Iran. Sul piano interno, il Presidente cerca un risultato forte per dare credibilità alla sua amministrazione e a un futuro candidato democratico».

L’avvicinamento all’Iran è per Pastori un processo che continua da tempo. Ma più che a «un nuovo asse sciita», il Presidente americano starebbe puntando alla «distensione dei rapporti con Teheran». Cosa che «Obama ha fatto capire da tempo», spiega Claudio Neri, «frenando Israele quando minacciava di voler attaccare le centrali nucleari iraniane, ad esempio». Tanto che negli ultimi anni – continua Neri – le relazioni tra Washington e l’Arabia Saudita si sono raffreddate, e lo stesso Presidente ha fatto capire di voler alleggerire le relazioni con Riyad», tradizionale alleato degli Usa, ma con cui ci sono stati negli ultimi anni diversi elementi di frizione. «A partire dal fondamentalismo islamico, e dall’uso che ne fanno certe componenti delle classe dirigenti di questi Paesi, di cui anche al Qaeda e Isis sono una conseguenza», aggiunge Pastori.

Donne iraniane davanti al muro dell’ex ambasciata Usa il 4 novembre 2014 nel 34esimo anniversario dell’assalto del 1979

(Majid Saeedi / Getty Images)

Nel settembre 2013, il presidente iraniano Hassan Rohani interveniva per la prima volta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Definito “un moderato” dalla stampa internazionale fin dal giorno della sua elezione, Rohani apriva agli Stati Uniti dichiarando che «l’Iran è pronto ad avviare un negoziato immediato sul dossier nucleare ed è interessato a un accordo-quadro con gli Stati Uniti».

Più che la possibilità di continuare ad arricchire l’uranio, «l’Iran vorrebbe ottenere dagli Stati Uniti il riconoscimento pieno di potenza regionale», e perdere lo stigma di «stato cattivo», spiega Neri. «Esattamente quello che non vuole l’Arabia Saudita e i Paesi dell’asse sunnita».

Non convinto dell’avvicinamento di Obama all’Iran è il professor Marco Sioli, docente di Storia e Istituzioni delle Americhe all’Università degli Studi di Milano. «C’è stato un avvicinamento in passato, l’Iran era un ottimo interlocutore quando si trattava di ricostruire l’Iraq dopo la guerra di Bush, o per arginare le pretese di Netanyahu di bombardare l’Iran, ma non lo vedo ora in modo così palese», afferma.

Donne iraniane davanti al muro dell’ex ambasciata Usa il 4 novembre 2014 nel 34esimo anniversario dell’assalto del 1979

(Majid Saeedi / Getty Images)

Per Sioli, Barack Obama rimane il Presidente della politica del soft power, fatta di «correttezza, promozione dei diritti umani, estensione delle libertà occidentali», che tuttavia si è rivelato più falco di George Bush. «Ha esteso la guerra al terrorismo di Bush senza chiedere l’autorizzazione del Congresso, senza rispettare la Costituzione degli Stati Uniti che riserva al Parlamento questa prerogativa – spiega – e ha avviato operazioni in Somalia, Yemen, Pakistan e Libia. Del resto lo aveva annunciato nel Victory Speech: “per chi cercherà di distruggere il mondo, noi vi distruggeremo”, questo in sintesi il messaggio. E oggi il nemico è Isis». 

Donne iraniane davanti al muro dell’ex ambasciata Usa il 4 novembre 2014 nel 34esimo anniversario dell’assalto del 1979 (BEHROUZ MEHRI / Getty Images)

L’intenzione di un accordo con Teheran è invece palese per Neri e Pastori, ma non è assolutamente certo che il Presidente riuscirà a raggiungerlo. Soprattutto ora che il Congresso americano è maggioranza repubblicana. «È una mossa che comporta passaggi delicati, che solo un’amministrazione accorta saprebbe portare a termine. E quella di Obama non sembra brava in questo», commenta Neri, convinto anche che una relazione più stretta tra Stati Uniti e Iran avrebbe effetti «devastanti» in Medio Oriente, perché significherebbe varcare la linea che separa le potenze sunnite da quelle sciite nell’area, e porre fine definitivamente all’ordine che finora ha retto nell’area: l’alleanza tra Usa e Stati arabi sunniti. Scatenando l’ennesimo guazzabuglio firmato da un Presidente con il Nobel per la Pace.  

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