Per il divorzio breve vero e proprio dovremo ancora aspettare. Quello resta nei cassetti del Senato, mentre quasi 1.700 persone hanno aderito allo sciopero della fame promosso dai Radicali della Lid (Lega italiana per il divorzio breve). Dal 6 novembre, però, in teoria separarsi dovrebbe essere più semplice. Per la prima volta si potrà concludere un accordo di scioglimento del matrimonio davanti a un avvocato o davanti al sindaco, senza passare dal tribunale. Purché si tratti di un divorzio consensuale e tutto fili liscio. Cambia la legge sul divorzio, che resta ancora lungo come quello del 1974, ma diventa più leggero, facile o fai-da-te. Le novità sono contenute nel decreto sul processo civile, a cui la Camera ha dato il via libera per la conversione in legge. Ma la vera rivoluzione, quella che potrebbe abolire finalmente i tre anni di attesa tra la separazione e il divorzio vero e proprio, rimane ferma nei cassetti del Senato.
La nuova legge prevede che lo scioglimento del matrimonio possa avvenire attraverso una negoziazione assistita dagli avvocati. La procedura è possibile sia in assenza sia in presenza di figli minori, di figli maggiorenni portatori di handicap gravi o non autosufficienti. In caso di assenza di figli, l’accordo raggiunto viene vagliato dal solo Procuratore della Repubblica. Nel secondo caso, oltre al vaglio del pm è previsto un possibile passaggio davanti al presidente del tribunale. L’accordo raggiunto a seguito della negoziazione assistita dagli avvocati è equiparato ai provvedimenti giudiziali per gli accordi di separazione. I legali dovranno poi trasmettere i documenti entro dieci giorni al procuratore della Repubblica, che darà l’ok se l’accordo risponde all’interesse dei figli.
Nel caso di divorzio consensuale ci si potrà rivolgere all’avvocato o al sindaco senza passare per il Tribunale
Ma c’è anche un’altra novità. Marito e moglie possono anche chiedere al sindaco, in quanto ufficiale dello stato civile del Comune, di concludere un accordo di separazione o scioglimento del matrimonio. In questo caso l’assistenza degli avvocati non è obbligatoria. Questa modalità ultrasemplificata è possibile solo in assenza di figli minori o portatori di handicap e a condizione che l’accordo non contenga atti con cui si decide il trasferimento di diritti patrimoniali. Dopo la prima audizione davanti al sindaco, marito e moglie dovranno presentarsi in Comune a distanza di 30 giorni per «una maggiore riflessione sulle decisioni in questione».
Una procedura completamente al di fuori delle aule di tribunale, quindi, fatta per snellire i tempi della giustizia civile (il procedimento in Italia è consensuale nell’85,4% delle separazioni e nel 77,4% dei divorzi), che però crea qualche dubbio anche tra gli stessi avvocati matrimonialisti. «Resto molto scettico sul fatto che questa riforma possa incidere sensibilmente sull’enorme carico della giustizia civile», dice Lorenzo Puglisi, avvocato e presidente dell’associazione Family Legal. «Anche perché se è vero che non servirà più l’udienza davanti al giudice, resta il fatto che prima di trasmettere l’accordo raggiunto tra i coniugi all’ufficiale di stato civile, l’avvocato dovrà comunque richiedere il visto del pm, almeno nei casi in cui sono coinvolti i figli. Mi chiedo se gli uffici delle Procure saranno pronti a un onere così impegnativo o se al contrario si formeranno tempi di attesa pari a quelli precedenti, se non addirittura peggiori».
Il rischio è che negli uffici delle Procure si formeranno tempi di attesa pari a quelli precedenti se non addirittura peggiori
E gli avvocati avranno un ruolo ancora più forte di prima. «Il fatto che sia richiesto un preventivo visto da parte del pm limita in parte la responsabilità degli avvocati», dice Lorenzo Puglisi. «Ciò nonostante il rischio che la “parte forte” tra i coniugi possa prevalere c’è ed è per questo che sono certo si continuerà a preferire l’assistenza di un proprio difensore di fiducia soprattutto nei casi in cui sono in gioco patrimoni di un certo valore». Altro problema riguarderà i minori, visto che gli avvocati potranno occuparsi della negoziazione consensuale in presenza di minori, ma per legge non possono incontrare i figli degli assistiti, mentre i giudici sì. «Questo potrebbe rivelarsi un limite per quanto riguarda la regolamentazione del loro collocamento presso l’uno o l’altro genitore», continua l’avvocato. «Non dimentichiamoci però che la riforma riguarda solo le separazioni consensuali e i divorzi congiunti e in questi casi non è prevista neppure oggi l’audizione del minore, in quanto i coniugi si limitano a chiedere la ratifica di un accordo già raggiunto».
Al di là dei rischi legati alla tutela dei minori e un’ulteriore carico dei tribunali con separazioni e divorzi consensuali, quello che manca ancora è il cuore della riforma. Cioè la riduzione del termine dei tre anni per poter sciogliere definitivamente il vincolo matrimoniale. «Resta, quindi, alto il malcontento della maggior parte degli interessati che, se può permetterselo, continuerà a preferire la via del divorzio all’estero in giurisdizioni come quella spagnola ove in 6-8 mesi si può divorziare direttamente senza passare dalla separazione», continua Puglisi.
Gli avvocati non possono incontrare i figli e questo potrebbe essere un limite per la regolamentazione del collocamento presso uno o l’altro genitore
Dopo il tentativo (fallito) da parte di alcuni membri della commissione Giustizia del Senato di inserire l’emendamento della riduzione dei tre anni tra separazione e divorzio all’interno del decreto di riforma del processo civile, ora la legge è destinata a continuare il lento iter parlamentare. Ma il rischio è che tutto venga affossato, per l’ennesima volta.
Negli ultimi anni l’idea del divorzio breve è apparsa e scomparsa più volte. La prima proposta di riforma è della deputata dei Democratici di sinistra Elena Montecchi, nel 2003. Ma dopo l’accordo in commissione, il testo venne cestinato. I cattolici preferirono rimandare la discussione (il presidente della Camera allora era Pierferdinando Casini). E Francesco Rutelli, prima sostenitore della legge, dichiarò: «Nell’agenda delle priorità italiane il divorzio breve è al cinquecentesimo posto». Nel 2008, con la nuova legislatura, la riforma torna puntuale nelle aule di Montecitorio su proposta di Maurizio Paniz, del Popolo delle libertà. Ma rimane chiusa in un cassetto fino al gennaio 2012, quando la Commissione giustizia della Camera esamina il testo e lo approva. Alla Camera viene messa all’ordine del giorno la discussione della norma, che prevedeva la riduzione dei tempi per ottenere il divorzio da tre a un anno, due anni se la coppia ha figli minorenni. Ma nel calendario dell’aula della proposta si perde traccia. L’ennesimo tentativo viene dal disegno di legge di cui è relatrice Alessandra Moretti del Pd. Nell’ultima versione la legge prevede il passaggio da tre a un anno di attesa prima dello scioglimento del matrimonio, e sei mesi (prima erano nove) se non ci sono figli minori. Il disegno ha avuto il primo via libera dalla Camera e ora è fermo nella «palude» del Senato (come la stessa Moretti ha detto). «È frustrante prendere atto che le frange più conservatrici del Parlamento abbiano avuto di nuovo la meglio», dice l’avvocato Puglisi. «Se, infatti, la ratio dei tre anni è quella di consentire ai coniugi di tentare di ricomporre la propria unione, non si può trascurare che nel 99,9% dei casi ciò non si verifica. L’impostazione quindi è anacronistica e assolutamente priva di utilità».
Per chiedere di accelerare i tempi di approvazione della nuova riforma, la Lega italiana per il divorzio breve ha lanciato nuovamente uno sciopero della fame, al quale, come ha dichiarato il segretario Diego Sabatinelli, hanno aderito già 1.700 persone. «Non lasceremo», dice Sabatinelli, «che il divorzio breve abbia anche in questa legislatura lo stesso destino della scorsa, quando la discussione alla Camera venne insabbiata completamente».