Mossa mediatica o preludio di un cambio di strategia in Medio Oriente? Le dimissioni del ministro della Difesa americano Chuck Hagel annunciate nel pomeriggio di lunedì 24 novembre aprono una serie di interrogativi sulle prossime mosse di politica estera di Barack Obama.
Nel 2013 il Presidente degli Stati Uniti lo aveva scelto per gestire il ritiro dei soldati americani dall’Afghanistan e guidare la graduale riduzione di budget impiegato in operazioni militari. Contrario alla guerra in Iraq di George Bush nel 2003, Chuck Hagel sembrava l’uomo giusto per attuare la politica estera e militare di Obama: allontanarsi dal Medio Oriente e dall’Afghanistan per orientarsi verso il Pacifico, il cosiddetto Pivot to Asia.
Per lo stesso motivo Barack Obama avrebbe scelto un anno e mezzo dopo di liberarsi di lui. «Chuck Hagel è troppo colomba in un momento in cui servono dei falchi», commenta a caldo Gianluca Pastori della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano. «Le dimissioni del ministro della Difesa sono frutto di divergenze in corso da tempo in un momento in cui la politica di Obama in Iraq contro l’Isis non è chiara al cento per cento. Formalmente ci sono interventi aerei e la presenza di istruttori americani sul campo, aspetto quest’ultimo rimasto nell’ombra. Si parla da tempo di escalation militare ma ancora questa escalation non si è vista», dice. «Mentre i raid si mostrano poco efficaci». Una situazione, spiega Pastori, che produrrà tensioni in un Congresso che da gennaio sarà a maggioranza repubblicana».
Chuck Hagel, in particolare, è persona poco gradita ai repubblicani, viste le sue prese di posizione passate, «dall’opposizione alla guerra in Iraq di George Bush alla freddezza nei confronti del sostegno militare a Israele».
Ma c’è anche ci crede che si tratti di una pura mossa mediatica, fatta da un Presidente «anatra zoppa», uscito cioè sconfitto dalle elezioni di midterm dello scorso 4 novembre: Hagel sarebbe l’agnello sacrificale che paga il malcontento dell’opinione pubblica americana nei confronti della gestione obamiana delle ultime crisi internazionali, dalla gestione della minaccia dell’Isis in Iraq all’ebola, commenta il New York Times.
«Due anni fa Chuck Hagel è stato scelto come ministro della Difesa perché repubblicano scontento della politica estera gestita da George Bush, a lui era stato affidato il compito di chiudere la guerra in Iraq», spiega Claudio Neri, direttore del Centro di studi strategici Macchiavelli. «Era la garanzia di essere un uomo di polso per un Presidente che già allora veniva accusato di non essere abbastanza fermo in politica estera». Ma Hagel, spiega Neri, condivideva con Obama anche la politica del Pivot to Asia, la strategia che mirava a rafforzare gli interessi degli Stati Uniti nel Pacifico allontanandosi gradualmente dal Medio Oriente. «Prima di rimanere impantanato nuovamente dal caos mediorientale», con la guerra in Siria e la crisi irachena.
Circa un mesetto fa, una nota riservata del Ministro aveva messo in luce i contrasti tra Hagel e il Presidente Barack Obama. Hagel in particolare criticava le scelte di policy fatte dall’Amministrazione democratica in Siria, e «metteva in luce i limiti e danni arrecati alla strategia militare in Medio Oriente dalla posizione ambigua di Barack Obama verso il Presidente siriano Bashar al-Assad», spiega Claudio Neri. Una questione di incoerenza strategica, visto che Obama da un lato mantiene Assad sul trono siriano e dall’altro colpisce con raid aerei i miliziani dell’Isis, che a loro volta fanno guerra ad Assad.
Difficile dire se la sua sostituzione significherà ora un cambio di strategia in Medio Oriente. Possiamo aspettarci un inasprimento del conflitto contro Isis?
Secondo Claudio Neri siamo solo «all’inizio di una ristrutturazione del gabinetto di sicurezza nazionale statunitense». Ma si tratta di una mossa più mediatica che altro, fatta «per scaricare le colpe del fallimento in Medio Oriente», spiega ancora il Professore. Senza particolari cambi di strategia.
I nomi che vengono avanzati tra i possibili sostituti di Chuck Hagel lo confermerebbero. L’ex sottosegretario alla Difesa Michele Flournoy e l’ex vice ministro alla Difesa Ashton Carter sono entrambi parte del gruppo di persone che al Pentagono ha pianificato la strategia obamiana del Pivot to Asia, ossia lo spostamento degli interessi Usa dal Medio Oriente al Pacifico. Se uno di loro due fosse il sostituto di Hagel, non avremmo un cambio di politica estera e militare, e potremmo escludere un ulteriore coinvolgimento militare degli Usa in Medio Oriente.
«Non è stata una scelta facile per lui», ha detto Obama durante la conferenza stampa di lunedì 24 novembre, in cui ha presentato come volontarie le dimissioni di Chuck Hagel, che un mesetto fa avrebbe deciso «che questo era il momento giusto per completare il suo servizio».
Con questa mossa, in ogni caso, Il Presidente Usa mostra ancora una volta la forte dipendenza dall’opinione pubblica americana. Che in questo momento non chiede un ritorno “boots on the ground” (con truppe di terra, ndr) sul terreno iracheno. «Ma chiede soprattutto sicurezza», spiega Neri. Una sensazione che un Presidente presentato dai media come «troppo debole» non è riuscito a far percepire ai suoi elettori.